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"Bersani: «Da sette anni ghe pensa lù. È questa la malattia»", di Sara Bianchi

«Non si può lasciare il paese in questa situazione se la maggioranza non ce la fa, se non ce la fanno, bisogna pensare a qualche altra ipotesi». A dirlo è il segretario del Pd a margine dell’assemblea regionale del partito, a Milano. Pier Luigi Bersani risponde anche all’affermazione del presidente del consiglio che, intervistato dal Tg1, parlando dei problemi del paese ha promesso, in dialetto milanese: «da lunedì ghe pensi mì». «Sono sette anni -dice Bersani- che ghe pensa lù. Questa è la malattia, non la medicina».

Perché l’idea populista, prosegue il segretario «più che risolvere i problemi li suscita». La manovra? «Non sta in piedi – ribadisce Bersani – è ingiusta in modo radicale, se la prende con poliziotti e insegnanti». Ed è anche «improbabile. Con meccanismi di taglio lineare, lotta all’evasione e una crescita così bassa ci porta verso un’ulteriore manovra». Andrebbe dunque cambiata attraverso un dibattito in Parlamento. A Giulio Tremonti, ricorda che lui stesso ha ripianato i buchi di bilancio dei Comuni di Palermo e Catania guidati da «cialtronissimi» del centrodestra. «Come definiamo quel ministro del Tesoro – ha detto Bersani riferendosi all’attacco di Tremonti contro le Regioni del Sud incapaci, a suo parere, di spendere i fondi Ue – che ha preso soldi per gli investimenti nel Mezzogiorno e li ha dati ai cialtronissimi di Catania e Palermo per ripianare dei buchi di bilancio mentre tutti gli altri Comuni d’Italia, a cominciare da quelli virtuosi, li ha messi nei guai?».

Poi detta le regole del cambiamento: mettere in piedi un cantiere di riforme, fiscale, del welfare, della giustizia. Ma la cosa più urgente da fare è una manovra diversa. Come? «Introducendo un’aliquota al 20% sulle rendite finanziarie da immobili con una franchigia sulla prima casa e sui bot, pensare un piano per la razionalizzazione delle spese con programmi di acquisto, bandire gare per le frequenze liberate dal digitale terrestre, bloccare il ponte sullo stretto, promuovere un pachetto di investimenti, approvare misure d’urto su benzina, farmaci, massimo scoperto». Queste sono le proposte del Pd, rimarca il segretario «perchè nessun organo d’informazione ne ha fatto una valutazione?» La colpa non è di Berlusconi, piuttosto «del conformismo». Ma senza discussione pubblica «il paese non trova una strada».

Bersani parla anche di federalismo. «È un tema che prendiamo sul serio», premette. Ma «tagliando 15 miliardi a regioni e enti locali si abbassa la base di partenza». Il rischio, sottolinea è «che il federalismo diventi per qualcuno la via italiana per abbattere le prestazioni sociali». Al governo un avvertimento chiaro: «se buttano per aria il sistema dei comuni non siamo disponibili a sederci al tavolo per parlare di federalismo». Alla Lega l’invito ad accettare uno confronto/scontro vero con l’opposizione «non possono giocare tutte le parti in commedia».

Su Milano e le amministrative del 2011 il segretario Pd rispolvera uno slogan di Walter Veltroni. «Si può» (dal we can obamiano) e quindi «si dovrebbe», perché «Milano deve dare un segno nazionale». Insomma dalla metropoli lombarda dovrebbe partire «una riscossa morale e civile». Expo 2015? «Siamo passati dalla preoccupazione all’allarme». «La preoccupazione su questo è dell’intero Paese: abbiamo buttato via due anni per responsabilità precise tutte del centrodestra. Da Roma, alla regione Lombardia, al comune di Milano, ed è una cosa che non possiamo permetterci».

C’è spazio anche per un richiamo ai suoi, perché il confronto interno avvenga nella dignità della politica. Tanto per chiarire l’idea: «mi chiamo Bersani e sono moderatamente bersaniano». Perciò no a toni autodistruttivi, perchè «se ti stimano prima o poi ti votano».

da www.ilsole24ore.it