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«La famiglia, la percezione della crisi, le strategie di sopravvivenza», di Paola Di Nicola

Sembra che la crisi, che ha investito i paesi europei, si faccia sentire meno in Italia a causa, tra l’altro, della stabilità economica e della parsimonia delle nostre famiglie.

La famiglia italiana è infatti meno dipendente dal mercato per l’acquisto di beni e servizi che sono prodotti al suo interno (in particolare tramite il lavoro di cura e il lavoro domestico svolto dalla donne): la famiglia italiana, dunque, dispone di un reddito occulto, che non entra nella composizione PIL, in virtù del quale nonostante un livello di retribuzione del lavoro molto più basso che a livello europeo, gli italiani sarebbero molto più ricchi di quanto possa apparire dalle statistiche ufficiali. Ricchezza sulla cui natura, entità e composizione si sono interrogati A. Ichino e A. Alesina (L’Italia fatta in casa, Milano, Mondadori 2009), mettendone in evidenza, tuttavia, non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi, in termini di sotto-utilizzazione del capitale umano delle donne, di bassa mobilità geografica e lavorativa dei giovani (i figli si ‘radicano’ accanto ai genitori e tendenzialmente non cercano altrove migliori opportunità occupazionali), di mancato sviluppo di un mercato dei servizi più differenziato e competitivo. L’altra forza della famiglia italiana sta nella sua capacità di risparmio, che le consente di fronteggiare con più tranquillità fasi di contrazione della disponibilità economica.
Su questa forza e stabilità della famiglia italiana consentono di interrogarsi i dati recentemente pubblicati dall’Osservatorio nazionale sui consumi delle famiglie, istituito dal CriS (Centro ricerche Sociali) dell’Università degli Studi di Verona in collaborazione con la società di ricerca SWG di Trieste. La rilevazione, che ha interessato un campione nazionale rappresentativo costituito da 2022 famiglie risale al dicembre 2009. Dalla lettura dei dati si coglie una quota, stimabile nell’ordine del 19-20%, di famiglie che dichiarano una situazione di sofferenza imputabile sia ad un peggioramento della situazione lavorativa dei percettori di reddito, che al non allineamento tra entità delle retribuzioni e aumento del costo della vita. Se circa il 79-81% delle famiglie dichiara che nell’ultimo anno la situazione lavorativa dei componenti il nucleo non si è modificata, una quota di circa il 15% dichiara un peggioramento della condizione lavorativa di almeno uno dei genitori e analoga percentuale è rilevata per i figli (se occupati). Pur in presenza di una relativa stabilità delle condizioni lavorative dei componenti il nucleo, la maggior parte delle famiglie intervistate giudica scarse o appena sufficienti le risorse economiche di cui dispone. Il 20,5% delle famiglie dichiara assolutamente insufficienti le risorse per arrivare a fine mese, il 44,4% appena sufficienti (per arrivare a fine mese si fanno tagli alle spese e sacrifici), il 27,5 valuta le risorse sufficienti a soddisfare tutte le esigenze familiari, ma non si opera più alcun risparmio ed infine il 7,6% dichiara che riesce non solo a soddisfare tutte le esigenze, ma anche a tesaurizzare qualcosa. Ma come fanno le famiglie il cui reddito è insufficiente a giungere a fine mese? Le strategie sono articolate ed in generale si adottano più soluzioni in contemporanea. Per più della metà delle famiglie in difficoltà la prima e più importante valvola di sicurezza è rappresentato dal risparmio accumulato precedentemente (51,3%), segue quindi l’aumento degli straordinari (18,7%) e il fare ‘qualche lavoretto’ (11,9%). Sempre dell’ordine del 18% circa sono le famiglie che usano di più le carte di credito, giocando sulle date di addebito. Chi non ce la fa a fronteggiare la penuria con le sole risorse interne, accede al prestito sia informale (il 18,7% del campione si rivolge a parenti ed amici) che ufficiale (18,9%: banche, finanziarie)1.
Dalla distribuzione di questi dati si possono trarre alcune considerazioni, relative ai due piloni sui quali poggia la sicurezza delle famiglie italiane: il risparmio e il lavoro domestico. Per quanto riguarda il primo puntello, il fatto che le famiglie in difficoltà attingano ai risparmi precedentemente accumulati, significa che esse hanno effettivamente sperimentato una rilevante riduzione del reddito disponibile e che fronteggiano la situazione consumando quanto hanno risparmiato. E’ ovvio che la loro tenuta molto dipenderà da quanto hanno accumulato precedentemente e da quanto tempo durerà la crisi. Al momento, le formiche sono appena il 7,6% del totale, verosimilmente i nuclei più abbienti che meno hanno risentito dell’attuale congiuntura. Per quanto attiene al secondo pilone (il lavoro domestico) il fatto che le famiglie chiedano dei prestiti (quindi s’indebitano) e che cerchino di fare quadrare i conti ricorrendo agli straordinari e a qualche piccolo lavoro, significa che il valore del lavoro domestico e di cura non può essere stimato convertendolo in un equivalente monetario (prezzo di mercato dell’analogo bene: per es. pasto a casa rispetto al pasto in un ristorante; servizio di assistenza di un anziano a casa o presso una residenza sanitaria assistita). Al di là della natura di bene relazionale di difficile quantificazione e che caratterizza molti dei beni e servizi prodotti in casa, rimane il fatto che mentre con il denaro si può accedere a pressoché tutti i beni e servizi di tipo domestico e di cura, non è vero il contrario. La cura domiciliare di un anziano, ad esempio, richiede farmaci, assistenza specialistica, supporti fisici, terapie che spesso devono essere acquistati con denaro sonante. La ricchezza ‘occulta’ della famiglia italiana è dunque una risorsa, che circola bene entro le pareti domestiche e rende i suoi destinatari più ricchi anche e non solo da un punto di vista affettivo e psicologico, ma non è un mezzo di scambio generalizzato, che dà accesso a tutti i beni e servizi che hanno un prezzo e dei quali non sempre si può fare a meno.
Appare dunque evidente che ciò che è sempre stato considerato la forza del sistema Italia – una famiglia che produce beni e servizi e che, anche per questo, ha più facilità di risparmio- si sta lentamente indebolendo, rischiando, se mai le difficoltà si protraessero a lungo nel tempo, di diventare essa stessa un fattore di alimentazione della crisi. Al di là di qualsiasi richiamo all’ottimismo, che ha il sapore di una mera rassicurazione, la recente crisi sta dimostrando non tanto la forza della famiglia italiana, quanto la sua sostanziale fragilità: il suo essere un piccolo ed autarchico produttore di beni e servizi, che si stanno lentamente deprezzando rispetto ad un mercato delle merci al quale molte famiglie accedono, consumando quanto hanno prima risparmiato o indebitandosi. E’ necessario, dunque, rompere l’autarchia, sostenere i redditi familiari con politiche adeguate, favorire l’occupazione femminile e ampliare il mercato dei servizi alla persona, per far sì che il sistema Italia non perda uno dei suoi punti di forza: la famiglia, da molti considerata uno dei più significativi ammortizzatori sociali.

1. Le percentuali non fanno 100, perché sono state calcolate sul totale dei rispondenti e non delle risposte.

da www.nelmerito.it