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"Violenza sulle donne «Io minacciata di morte»", di Mariagrazia Gerina

Maria è una donna di quarantacinque anni con due figlie ormai grandi. La chiameremo così, come una delle due vittime di Gaetano De Carlo, il “serial killer” dello stalking delle cronache di questi ultimi giorni. La sorte che ha riservato alle sue ex è l’incubo delle donne perseguitate da uomini violenti. L’incubo di poter essere la prossima.

Maria lo scorso aprile si è decisa. Ha trovato la forza di reagire. Si è rivolta al questore della sua città perché fermasse l’ex marito che le stava, e le sta, rendendo la vita un inferno. Voleva mettere fine a quella sensazione di non avere scampo, che ti bracca ancora quando per fuggire ti sei lasciata alle spalle tutto. Finora, non ha ancora avuto risposta. E sono passati più di due mesi. Due mesi di paura. Una sentimento con cui Maria convive da quando ha sposato l’uomo che ora la perseguita. La prima cosa che Maria ha cercato di lasciarsi alle spalle nel tentativo di mettersi in salvo è stato il suo matrimonio, fin dall’inizio una giostra di minacce, prima psicologiche, poi anche fisiche, a cui magari seguivano i mazzi di fiori. È andata avanti così per anni. Poi, quando le figlie sono cresciute, Maria ha trovato il coraggio di rompere.

Ma lui non si rassegnava, l’idea della separazione gli era inaccettabile. In quel momento, quando Maria ha cercato di riprendersi la sua vita, è iniziato lo stalking: «Il telefono squillava nel cuore della notte, mi cercava ovunque, mi aspettava sotto casa, all’uscita dal lavoro».

Per sfuggirgli Maria le ha provate tutte. «Ho cambiato cinque volte il numero di cellulare. Ho cambiato anche casa perché le telefonate notturne continuavano». A più di quarant’anni, in cerca di rifugio, è tornata per un po’ a vivere dalla madre. Non è bastato. «È venuto a cercarmi anche al lavoro. Ne ho trovato un altro, ma le minacce sono continuate». Di pari passo col progredire della causa di separazione. Un vero e proprio detonatore per la furia dell’ex.

«Se continui ad andare dall’avvocato, t’ammazzo». Quando ha sentito quella frase Maria ha capito davvero cos’era la paura con cui viveva da vent’anni. Non arrivava all’improvviso. Prima c’erano state altre minacce e botte. Ma Maria non si è scoraggiata. Anche perché nel frattempo, rivolgendosi al Telefono Rosa, aveva trovato sostegno psicologico e legale.
Ha denunciato gli episodi di lesioni e percosse. E poi seguendo il percorso tracciato dalla legge sullo stalking, si è rivolta al questore. Rassicurata dal meccanismo previsto dalla norma. Le è stato spiegato che, ancor prima ancora di sporgere denuncia (cosa che lei aveva già fatto) avrebbe potuto presentare la richiesta di protezione e ottenere un ammonimento formale da parte del questore. Se l’avesse saputo prima si sarebbe evitata tanti momenti di paura.

La lista delle cose che attraverso l’ammonimento possono essere interdette a uno stalker nel tentativo di arginare la furia che lo spinge a devastare la vita della sua vittima è lunga: sostare sotto casa della donna, o di telefonarle, o di presentarsi davanti al suo luogo di lavoro. E se l’uomo trasgredisce uno solo dei divieti sanciti dal questore a quel punto può scattare l’arresto.
È questa, come fu spiegato a Maria, la filosofia della legge: mettere di fronte al potenziale carnefice un percorso a ostacoli per impedirgli di nuocere e, in questo modo, “liberare” una donna che altrimenti non avrebbe avuto la forza di reagire perché paralizzata dalla paura.

Maria l’aveva capita alla perfezione questa filosofia quando, lo scorso aprile, ha fatto appello al questore. Lei la denuncia l’aveva già fatta e, pensava, c’era un motivo in più per intervenire rapidamente. Ha presentato (corredata delle mail e dei messaggi che provavano l’ossessione dell’ex marito) un’istanza di ammonimento. Ha anche aggiunto, come documentazione, copia delle denunce per molestie e per minacce presentate quando il matrimonio era ancora formalmente in piedi e dopo la separazione. Sono passati due mesi e Maria attende ancora risposta.

da www.unita.it

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«Ecco come tagli e burocrazia lasciano le donne senza difesa», di Mariagrazia Gerina

Le segnalazioni aumentano, ma i tempi di risposta di polizia e magistratura si allungano. Giardullo (Silp Cgil) «Chi dice che si può tagliare garantendo comunque la sicurezza mente»

Donne che hanno paura di fare la stessa fine delle donne uccise dallo stalker seriale. Figli che hanno paura per le proprie madri: «Non ce la faccio più a vedere mio padre, il suo ex marito, che la tormenta ». Persino una anziana donna che a 79 anni vive nel terrore dell’ex marito di 83. Il Telefono Rosa in questi giorni squilla in continuo. L’ultima richiesta di aiuto arriva da una ragazza che ha troppa paura di restare a casa sua. E chiede di essere accolta in una abitazione protetta. La cronaca che ogni giorno sforna nuove morti funziona come un campanello d’allarme. A marzo, a un anno dall’entrata in vigore della legge le denunce erano già più di 7mila. E poi c’è l’estate: «Le amiche partono, i vicini di casa anche e le vittime di stalking si ritrovano più isolate che mai», spiega la presidentessa di Telefono Rosa Gabriella Moscatelli. Il primo consiglio per le vittime di stalking che vedono a rischio la loro incolumità è chiedere l’intervento immediato del questore. Uno strumento che permette di bloccare subito il molestatore, senza attendere che l’escalation raggiunga gli esiti più drammatici, Utilissimo, a patto che venga applicato inmodo tempestivo. «Così avveniva all’inizio», racconta Eugenia Scognamiglio, avvocatessa di Telefono Rosa. Istanze esaminate in pochi giorni, risposte immediate. «Adesso invece le istanze sono aumentate e anche i tempi di risposta, arrivati fino a 3-4 mesi». Un’attesa infernale per una donna che vive una situazione di estremo disagio e di rischio. La disponibilità da parte delle forze di polizia non c’entra: le domande sono tante e probabilmente il personale a disposizione è troppo poco, spiegano le associazione. «A Roma, per esempio, abbiamo fatto un grande lavoro di sensibilizzazione insieme alla Squadra Mobile», ricorda Anna Baldry, di Differenza Donna, responsabile dello sportello anti- stalking istituito nel 2007 prima ancora che entrasse in vigore la legge, che ha allargato ulteriormente il margine di intervento delle forze di polizia. Fondamentale non solo nel caso in cui la donna non abbia ancora sporto denuncia ma anche per affrontare il lungo periodo che intercorre eventualmente tra la notizia di reato e il giudizio. Tanto più che i giudici, che pure potrebbero adottare misure cautelari a difesa della donna spesso – sottolinea Baldry – scontano una mancanza di «strumenti adeguati alla valutazione del rischio». Il punto è che anche il questore per firmare l’ammonimento ha bisogno che venga esaminata la raccolta dei fatti e questo richiede tempo e personale. Lo sportello Anti-stalking ha anche creato una «Agendalba» per guidare le donne nella raccolta di tutti i dati che possano essere utili alla loro causa. Ma il problema resta. «Quando si riduce il personale, i mezzi, le ore di straordinario è evidente che diminuiscano le capacità di contrasto anche in un campo sensibile come il contrasto alla violenza », rilancia la denuncia delle associazioni Claudio Giardullo, del Silp Cgil: «Chi racconta al paese che si possono mantenere gli stessi livelli di sicurezza in presenza di una riduzione della spesa dice il falso».

da L’Unità

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«Per la Cassazione non è reato maltrattare una moglie forte», di Mariagrazia Gerina
Non basta subire «continue ingiurie, minacce e percosse» dal proprio marito.Nonbasta essere «scossa, esasperata» dal suo comportamento. La donna, per essere considerata vittima di maltrattamenti, deve rispettare per intero il cliché, ovvero deve mostrarsi debole e indifesa.
Se invece, come Roberta B., ti mostri forte, reagisci, provi a tenere testa a tuo marito, allora anche botte e minacce possono essere derubricate a «tensione tra coniugi». E il coniuge può essere mandato assolto.
Lo ha deciso la Cassazione, concedendo l’assoluzione a Sandro F., il marito di Roberta B., già condannato in primo grado dal tribunale di Sondrio nel settembre 2005, e nell’ottobre del 2007 anche dalla Corte d’appello di Milano, che lo aveva ritenuto colpevole di maltrattamenti ai danni della moglie, condannandolo a 8 mesi di reclusione con le attenuanti generiche.
La Corte d’appello, allora, aveva confermato la sentenza di colpevolezza «sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale» della moglie sottoposta a «continue ingiurie, minacce e percosse». Non abbastanza per parlare di maltrattamenti secondo la Cassazione che ha accolto la tesi difensiva di Sandro F.. L’uomo ha spiegato che sua moglie è di «carattere forte», «per sua stessa ammissione», e per di più non «era intimorita dalla sua condotta». I giudici quindi si erano sbagliati a condannarlo perché avevano «scambiato per sopraffazione esercitata dall’imputato» quello che era solo «un clima di tensione fra coniugi». La Cassazione gli ha dato ragione.
I fatti «incriminati» in questa vicenda- spiega la sentenza n.25138 della sesta sezione penale – «appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell’arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela)». Mentre «perché sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza».
Un identikit che non concide con il profilo di Roberta B., secondo i supremi giudici. Tanto più che «la condizione psicologica» della donna «per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella diuna persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente», scrivono riprendendo la tesi difensiva del marito. «Sentenza vergognosa, un’offesa alle vittime di violenza», replica Telefono Rosa. Il maschilismo è duro a morire anche nei tribunali, attacca Rosy Bindi.
Mentre il ministro Mara Carfagna si dice «amareggiata per la miopia dei giudici».

da L’Unità del 3 luglio 2010