politica italiana

Ma nel "suo" Veneto nessuno piange per Aldo, di Michele Brambilla

Reportage di MB INVIATO A BARDOLINO (Verona)

L’ufficio di Aldo Brancher è ad Affi, sopra un grande centro commerciale. Sulla porta d’ingresso c’è una scritta: «Meno male che Silvio c’è». Ci riceve un signore che ci lascia sull’uscio: «Il signor Brancher? Non è qui. Lo abbiamo visto in tv impegnato in altri luoghi». Chiediamo almeno della fedele segretaria, Mary: «Non c’è neanche lei, è impegnata in Comune. Adesso mi scusi ma ho una telefonata in corso».

La caccia al ministro dal ministero più breve della storia (è durato la metà del pontificato di un altro veneto illustre, Albino Luciani) prosegue a casa sua, a Cisano di Bardolino, sui colli. Una stradina dove appare, a un certo punto, una siepe immensa. In mezzo, un cancello. Sul citofono due campanelli. C’è scritto semplicemente «Azienda agricola» e «Rustico A. B.». Al primo non risponde nessuno. Al secondo una gentile voce femminile informa: «Il signor Brancher non c’è, non so se torna, non ha lasciato detto niente». Dal cancello si vede, molto in lontananza, il «rustico» e, sullo sfondo, il lago. E’ in questa specie di reggia che venne decisa la candidatura di Flavio Tosi a sindaco di Verona, alla presenza di Bossi e Berlusconi, quest’ultimo arrivato in elicottero: in casa Brancher lo spazio per atterrare non manca.

L’origine della fortuna è un cambio netto di vocazione. Nato nel 1943 a Trichiana, in provincia di Belluno, da famiglia umile, Brancher si laurea in teologia, ma fa strada con un’altra scienza: la finanza. Era infatti diventato prete paolino. Fatte salve le debite differenze, è impressionante la somiglianza della sua vicenda umana con quella interpretata da Luca Zingaretti nell’ultimo film di Pupi Avati, «Il figlio più piccolo»: un ex francescano diventato commercialista e genio di finanza creativa. Per Brancher il primo uomo del destino è don Emilio Mammana, il prete paolino che crea la prima vera grande struttura imprenditoriale per la raccolta pubblicitaria di «Famiglia Cristiana». E’ don Mammana a intuire le capacità imprenditoriali del giovane don Brancher e a volerlo alle sue dipendenze.

Efficiente e intraprendente, forse troppo, don Brancher si scontra presto con don Leonardo Zega, lo storico direttore del settimanale. Alcuni dicono che è stato per quello; altri dicono per una donna: sta di fatto che Aldo Brancher lascia il sacerdozio per gli affari. Apre un’azienda che produce cassette di plastica a Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria. Poi torna alla pubblicità, questa volta con quella Publitalia di proprietà del suo secondo uomo del destino: Silvio Berlusconi. A Publitalia Brancher si mette presto in evidenza, tanto che Fedele Confalonieri gli affida i «progetti speciali» della Fininvest Comunicazioni.

E’ in quel ruolo che Brancher inciampa nei primi guai. Viene arrestato dal pool di Mani Pulite nella primavera del 1993 con l’accusa di aver versato tangenti per 300 milioni al Psi e per altri 300 a Giovanni Marone, segretario dell’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, in cambio di una serie di spot anti-Aids sulle reti Fininvest. In cella Brancher resta tre mesi e si comporta come l’eroe della canzone milanese partigiana «Ma mi», che di fronte a chi lo interroga tiene la bocca chiusa; o, per restare a Mani Pulite, come il dirigente del Pci-Pds Primo Greganti, che sulle tangenti rosse dice di aver agito in proprio salvando il partito. Il 3 giugno 1993, interrogato dal giudice Italo Ghitti, Brancher dichiara di voler finalmente rispondere, ammette il versamento delle tangenti ma assicura che il tutto è stato fatto a giovamento di una sua personale società. Silvio Berlusconi ha detto: «Quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore io e Confalonieri giravamo intorno al carcere. Volevamo metterci in comunicazione con lui». Per via telepatica, ovviamente, essendo vietati i colloqui. Brancher viene condannato a 2 anni e 8 mesi per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio: ma il primo reato cade in Cassazione per avvenuta prescrizione, il secondo viene depenalizzato dal governo Berlusconi.

Qui nel Veronese Brancher arriva una decina di anni fa. Viene eletto alla Camera nel collegio Garda Baldo nel 2001 – l’anno in cui è regista del riavvicinamento tra Bossi e Berlusconi – nel 2006 e nel 2008, sempre con Forza Italia-Pdl. In Veneto ha i suoi uomini: Davide Bendinelli, che ha fatto eleggere in Consiglio regionale; Giuseppe Venturini, presidente della funivia del Monte Baldo e dell’ente che gestisce l’edilizia popolare a Verona; Daniele Polato, assessore a Verona. Ma ha anche molti nemici, soprattutto all’interno del Pdl. Primo fra tutti Alberto Giorgetti, coordinatore regionale del partito. Considerato ufficiale di collegamento fra Berlusconi-Tremonti e la Lega, Brancher da queste parti non è mai stato vissuto come uno di casa. Neanche in paese. L’anno scorso ha sostenuto, come sindaco di Bardolino, l’uscente Pietro Meschi del Pdl: ha vinto il rivale, Ivan De Beni di una lista civica, con il 53,5 per cento contro il 34,1. Ecco perché ora, da queste parti, non si trova molta gente che piange.

La Stampa del 6 luglio 2010