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"Una crisi pagata dai giovani", di Samuel Bentolila, Tito Boeri e Pierre Cahuc

La disoccupazione giovanile è al 20 per cento in Europa. Si tratta anche di una conseguenza di riforme del mercato del lavoro rimaste incomplete. Per rendere politicamente accettabili quelle intraprese a partire dalla fine degli anni Ottanta, si è lasciato che influissero solo sulle nuove assunzioni. Si è così creato un dualismo nel mercato del lavoro, tra contratti a tempo indeterminato e contratti a tempo determinato. Che è iniquo e fortemente distorsivo. Si può risolverlo ricorrendo a forme di tutela progressiva del lavoro.

Mai prima d’ora una crisi aveva colpito così tanto i giovani. Questa volta non abbiamo avuto soltanto il congelamento delle assunzioni, anche una grande quantità di contratti temporanei non sono stati rinnovati. Di conseguenza, la disoccupazione giovanile nell’area euro è balzata in maggio al 20 per cento con livelli più alti nei paesi con maggiore dualismo nel mercato del lavoro, dal 15 per cento di prima della crisi. In Spagna, quattro giovani su dieci che partecipano al mercato del lavoro sono disoccupati, in Italia uno su tre, in Francia e Svezia – due paesi con un dualismo simile nel mercato del lavoro – siamo a uno su quattro. È il momento di correre ai ripari se non vogliamo perdere un’intera generazione.

CONSEGUENZE DELLE RIFORME
I governi europei hanno fatto sforzi notevoli per riformare le istituzioni del mercato del lavoro e uscire così dalla Eurosclerosi degli anni Ottanta: nei venticinque anni che hanno preceduto la grande recessione, nei paesi dell’Europa a 15 sono state avviate circa 200 riforme delle tutele dell’occupazione, che in più della metà dei casi hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro.
Un effetto delle riforme è un aumento della volatilità dell’occupazione. L’occupazione cresce di più nei periodi di crescita che in assenza di riforme . Questo ha contribuito all’eccezionale andamento dell’occupazione negli anni 1995-2007, quando la disoccupazione è scesa di un quarto, la disoccupazione di lungo periodo si è dimezzata e sono stati creati 21 milioni di nuovi posti di lavoro. È il lato positivo della flessibilità. Il lato negativo lo abbiamo visto nel corso della recessione: la riduzione dell’occupazione associata al calo della produzione è considerevolmente superiore nei paesi che hanno attuato queste riforme duali. In altre parole, la perdita di posti di lavoro sarebbe stata minore senza le riforme.
Il fatto è che le riforme si sono fermate a metà ed è l’ora che i governi le completino. Per renderle politicamente accettabili, le riforme hanno per lo più comportato cambiamenti solo per i nuovi assunti e hanno introdotto un vasto assortimento di nuove figure contrattuali flessibili, a tempo determinato, oppure hanno esteso il loro raggio d’azione laddove già esistevano. Non c’è stato alcun cambiamento delle regole per i contratti regolari a tempo indeterminato
Di fatto, si sono così creati due mercati del lavoro: uno largamente al riparo dagli shock e formato dai lavoratori con contratti a tempo indeterminato; l’altro formato dai lavoratori temporanei, sul quale si sono concentrati tutti i rischi.
Un esempio eclatante di dualismo è il settore delle costruzioni spagnolo, colpito dallo scoppio della bolla immobiliare e dalla recessione: nel 2009 l’occupazione dipendente è scesa del 25 per cento, con perdite del 35 per cento tra i lavoratori a tempo determinato, ma i salari reali dei lavoratori a tempo indeterminato sono cresciuti del 4 per cento circa.
Oltre a sollevare importanti problemi di equità, una simile asimmetria è fortemente distorsiva. La coesistenza di forte tutela del lavoro a tempo indeterminato e lavoro a tempo determinato comporta una inefficienza del turnover nel mercato del lavoro perché le aziende sono riluttanti a trasformare i posti di lavoro a tempo determinato in posti di lavoro a tempo indeterminato. I lavoratori temporanei hanno accesso a minore formazione perché né i lavoratori né i datori di lavoro vedono un futuro per il rapporto di lavoro. È probabile che la perdita di formazione di capitale umano divenga più acuta negli anni a venire.

COME ELIMINARE IL DUALISMO
La ripresa dopo le crisi finanziarie è generalmente associata con un ampio utilizzo di contratti temporanei, dal momento che incertezza e vincoli di liquidità scoraggiano le aziende dall’assumere impegni a lungo termine. L’esperienza del Giappone e della Svezia negli anni Novanta lo dimostra. All’uscita dalla recessione, i due paesi hanno sperimentato un forte incremento nella quota di contratti temporanei, che ha significato anche una minore acquisizione di qualificazione sul posto di lavoro per le nuove generazioni di lavoratori.
Nella maggior parte dei paesi europei i lavoratori con contratti a tempo indeterminato sono fortemente tutelati. Per fare qualche esempio, in Italia i lavoratori a tempo indeterminato sono protetti fin dall’inizio del rapporto di lavoro da norme che obbligano il datore di lavoro a reintegrarli in caso di licenziamento senza giusta causa. In Francia il licenziamento per ragioni economiche è praticamente impossibile se l’azienda realizza profitti. In Spagna è prassi usuale contestare in tribunale il licenziamento per motivi economici: i datori di lavoro perdono la causa in tre quarti dei casi, cosicché generalmente evitano il ricorso al tribunale pagando in anticipo al lavoratore l’indennità a cui l’avrebbero condannato i giudici. Indennità che possono arrivare a 36 mesi di salario in Italia e a 42 mesi in Spagna. I procedimenti giudiziari in questi paesi sono molto lunghi e costosi.
Per completare i processi di riforma, i governi dovrebbero combattere il dualismo dei mercati del lavoro europei, ma le misure finora adottate sono ben lungi dall’essere soddisfacenti. Per esempio, il 16 giugno il governo spagnolo ha approvato una riforma che abbassa l’entità delle indennità nei contratti a tempo indeterminato. Ma il provvedimento non risolverà il dualismo del mercato del lavoro spagnolo perché le procedure amministrative e giudiziarie per il licenziamento fanno sì che i contratti temporanei siano ancora molto più vantaggiosi per le aziende.
Una strategia migliore è quella di garantire una tutela progressiva del lavoro con flessibilità in ingresso. In particolare i governi dovrebbero favorire un ingresso a fasi nel mercato del lavoro a tempo indeterminato, facendo sì che il grado di tutela aumenti via via che i lavoratori completano il percorso che li porta al lavoro permanente, con dettagli che si possono definire in accordo con le legislazioni nazionali. Se la tutela del lavoro cresce di pari passo con l’anzianità, è possibile evitare il divario tra lavoratori con uno status diverso, che produce inefficienze del turnover nel mercato del lavoro, e considerare anche i costi psicologici associati alla perdita del lavoro, che normalmente aumentano all’aumentare del tempo trascorso in un posto di lavoro. Resterà così la flessibilità, senza però la necessità di creare una struttura duale del mercato del lavoro.
da www.lavoce.info