politica italiana

L'ira del fronte del Nord "Senza dialogo sarà rottura", di Marco Alfieri

Formigoni: «Non posso pensare che si aprirà uno scontro istituzionale»
Tensione, impotenza e nervi tesi. Ma soprattutto l’impellenza di uscire politicamente dal cul de sac dopo giorni e giorni di un pressing sul governo amico decisamente a rischio flop.
Per i governatori forzaleghisti del Nord l’ennesimo muro di gomma alzato da palazzo Chigi sulla manovra imbarazza non poco, dietro i desiderata di una correzione al fotofinish, le minacce di restituire le deleghe, e la richiesta pressante di riaprire un dialogo «perché non posso pensare che si voglia far partire uno scontro istituzionale» (copyright di Roberto Formigoni). «Soprattutto perché l’ennesimo stop arriva direttamente dal peone Azzollini», sbotta una fonte vicina al Pirellone. «Mica da Tremonti né tantomeno da Berlusconi. Come si fa, dai…». Per le Regioni, ha ribadito il relatore della manovra, tutto resta com’è. Niente «equa spalmatura dei sacrifici, pur a saldi invariati», come richiesto da Formigoni.
Nemmeno è servito a placare i governatori l’annuncio del ministro Raffaele Fitto, che in serata ha confermato la presenza del ministro Tremonti (ma non di Berlusconi) alla conferenza unificata di giovedì, tanto più a pochi minuti dal via alla discussione in aula. «La convocazione del tavolo non risolve in alcun modo la questione, non è la soluzione», ha tuonato il presidente dei governatori, Vasco Errani. «Anzi, conferma ancor di più l’urgenza di un incontro con il presidente del consiglio perché si parla tanto di federalismo ma si prende esattamente la direzione opposta».
Eppure se Errani è costretto a tenere insieme tutto il quadro delle regioni italiane, virtuose e viziose – «anche quelle sudiste paradossalmente più disponibili ad accettare i tagli di Tremonti in cambio di concessioni sul patto di stabilità e sui deficit sanitari», nota maliziosa una fonte padana – la fibrillazione sopra il Po, riserva elettorale del centrodestra, sta ormai tracimando. Si va dall’ottimismo di maniera di un Roberto Cota, che saluta con soddisfazione l’approvazione in Senato di un emendamento sulla flessibilità per le regioni virtuose perché «è un’anticipazione dei meccanismi che il federalismo renderà strutturali», ma senza commentare la probabile fiducia che metterà il governo sulla manovra, al più bellicoso Lombardoveneto, che ogni anno lascia 40 miliardi di residuo fiscale a Roma.
Anche qui doppio registro. Cuore oltre l’ostacolo nelle dichiarazioni ufficiali: «il Parlamento sta accogliendo in queste ore alcune delle nostre istanze», enfatizza Luca Zaia; ben altri aggettivi a microfoni spenti, da parte del suo entourage, verso il “povero” Azzollini. Più muscolare, a parole, Roberto Formigoni. «Quella di Tremonti – spiega il governatore lombardo – è una posizione a priori, visto che i nostri tagli valgono il 14% dell’intero budget regionale, quelli ai ministeri appena l’1%». A questo punto «restituire le deleghe non sarà tanto un atto ostile, bensì un fatto inevitabile».
Ma è un fuoco di paglia impotente anche il suo, visto che in serata il governo amico ha blindato i conti. Salvo clamorosi dietrofront (il Pirellone sta lavorando ad un’ennesima controproposta), tagli confermati alle Regioni per 8,5 miliardi sui 14 totali applicati agli enti locali. Al massimo sarà la conferenza Stato-Regioni a decidere dove toccare. Ma senza alcun meccanismo cogente che premi o sanzioni virtuosi e viziosi e soprattutto con lo spettro di un voto di fiducia che spazzerebbe via qualsiasi refolo di miglioramento.
Per capire il clima tra l’imbarazzato e lo schizofrenico che si respira in Padania alla vigilia del federalismo fiscale, bastava in fondo ascoltare l’altra mattina un dibattito sulla manovra a cui hanno partecipato il sindaco leghista di Varese, Attilio Fontana, e il potente assessore regionale al Bilancio, il formigoniano Romano Colozzi. Entrambi concordi nel massacrare il federalismo demaniale del tandem Tremonti/Calderoli, giudicato inutile e dannoso.
Insomma Lega e Pdl; Pdl e Lega, e la solita faglia irrisolvibile Nord-Sud, che rischia di sfasciare il governo. Una linea che fatica a restare sottotraccia in queste ore febbrili, come conferma anche Fontana. «Non si è voluto andare a colpire i centri di spreco che sappiamo tutti dove sono, questa è la verità», chiosa il presidente di Anci Lombardia. «Si sappia che se si fanno i tagli lineari, senza colpire i cialtroni e premiare i virtuosi, sarà la morte di ogni speranza di cambiamento in questo paese…».
La Stampa del 7 luglio 2010