cultura

"Scala, giù il sipario", di Paolo Zonca

Lissner: “Al governo dico: basta parole o si chiude”
Duro intervento del sovrintendente del teatro milanese da settimane bloccato dagli scioperi dei dipendenti contro il decreto Bondi. “Se non ci daranno l´autonomia sarà il declino definitivo”
La vertenza dei lavoratori contro la legge Bondi si è abbattuta sulla Scala come uno tsunami e ha creato per tre mesi confusione e tensioni, con scioperi e proteste eclatanti. Una situazione delicata che ora spinge il sovrintendente Stéphane Lissner a uscire ancor di più allo scoperto e a fare pressioni sul ministro, sottolineando la specificità del tempio della lirica: «Basta con le parole, ora pretendo atti». Gli atti a cui si riferisce sono i passi per ottenere un regolamento ad hoc in virtù dei parametri di eccellenza che il teatro raggiunge da tre anni (pareggio di bilancio, rilevanti ricavi propri, apporto rilevante dei soggetti privati). La posta in gioco è molto alta: «Se non avrà l´autonomia, la Scala chiuderà». Parole che contengono un paradosso ma che, in maniera più realistica, significano: «Non potremo più lavorare professionalmente e mantenere il nostro livello di qualità».
La richiesta è che Bondi presenti entro fine luglio il regolamento al consiglio dei ministri per l´approvazione in modo da ottenere entro i 60 giorni previsti il via libera dalla conferenza unificata con enti locali e regioni, dal Consiglio di Stato dalle Commissioni Cultura di Camera e Senato. «Potrebbe entrare in vigore il 31 ottobre», spiega Lissner. Si metterebbe così la parola fine sulla vertenza che ha messo (quasi) in ginocchio la Scala con nove scioperi compreso quello annunciato sulla “prima” del Barbiere di Siviglia di venerdì prossimo, a cui si sommano due recite dimezzate del Faust con orchestrali e coristi in jeans e maglietta, tournée a Pompei il 21 e 25 luglio e a Buenos Aires tra fine agosto e inizio settembre annullate, 1 milione e mezzo di euro in meno per i mancati incassi al botteghino. Situazione difficile per la quale Lissner non incolpa i sindacati mettendo invece sotto accusa il governo. «Lo sciopero è un diritto sacrosanto, anche se ci sono momenti per scioperare e altri per deporre le armi – afferma – Certo se nel decreto fosse stata sancita nero su bianco, come nella prima stesura, l´autonomia della Scala, le proteste ci sarebbero state, ma non così dure».
Insomma, se da una parte quello che è successo negli ultimi mesi a Milano va inquadrato nel contesto più generale della battaglia contro una legge che tutti, sindacalisti e artisti, considerano sbagliata perché affossa le fondazioni liriche invece di risollevarle, dall´altro il problema è proprio che la Scala non è un teatro come tutti gli altri, con le sue 319 alzate di sipario, un bilancio che pesa solo per il 40% sui finanziamenti pubblici (il 25% su un budget di circa 120 milioni l´anno). E, in virtù di questa diversità, forse potrà ottenere dei vantaggi rispetto alle altre 13 fondazioni: finanziamenti certi su tre anni, assunzione degli stagionali che completano l´organico fissato a circa 800 dipendenti, possibilità di una contrattazione degli integrativi. Punti sui quali sovrintendente e sindacati potranno forse trovare un accordo in vista della convocazione a Roma di Lissner (che ai rappresentanti dei lavoratori ha chiesto di indicare quali sono le loro priorità) per iniziare la discussione sul regolamento scaligero. «C´è bisogno di un contratto nazionale di lavoro – spiega Giancarlo Albori della Cgil – Col riconoscimento della specificità della Scala chiediamo libertà di negoziazione degli integrativi, la sistemazione dell´occupazione e un Fondo Unico per lo Spettacolo certo, per programmare con serenità senza essere costretti ad annullare alcune produzioni». Già, perché dietro l´ulteriore taglio del Fus (che passa dai 414 milioni del 2010 ai 300 nel 2001, di cui il 47% va alla lirica) si profila il tentativo del governo di centrodestra di privatizzare la cultura. Disegno contro il quale si scaglia Lissner: «Come la sanità, l´educazione, la ricerca, la cultura deve restare pubblica. Un paese ha bisogno di artisti, di coloro che pensano, che fanno domande scomode. Vogliamo finire a Disneyland, pensare soltanto al divertimento, così nessuno farà più domande? Io non ci sto».

la Repubblica del 7 luglio 2010