attualità, politica italiana

«L’agenzia segreta di Carboni per aggiustare giudici e politici», di Claudia Fusani

A volte ritornano. Forse, peggio, non sono mai sparite del tutto. Sono le cricche, più o meno occulte, che muovono i fili del nostro paese. Se ha agito in modo «palese» la cricca di Anemone e Balducci pur in barba alle regole e al mercato, quella di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino «era caratterizzata dalla segretezza degli scopi volta a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali e di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali». Una nuova P2. Di sicuro una sorta di agenzia segreta che aveva come obiettivo il condizionamento di giudici e politici per aggiustare e orientare sentenze e pronunce, decisioni importanti, dal Tar alla Cassazione, dal Csm alla Corte costituzionale. Il tutto in favore del Presidente del Consiglio (lodo Alfano), di qualche procuratore e presidente di Corte d’Appello (Milano), di governatori (Formigoni) e aspiranti tali (Cosentino).

Molte volte, come vedremo, il presunto sodalizio piduistico è andato a buca. «La figura di merda l’amme fatta nuje cu chille d’a Corte d’Appello (…). Pasquà tutta gente inaffidabile come Fofò, Pasquale, Nicola… noi non contiamo un cazzo» si lamenta al telefono il 4 marzo 2010 Arcangelo Martino con Pasquale Lombardi. Il «rammarico» nasce dal fatto che non sono riusciti ad agire sulla corte d’Appello di Milano, nonostante i buoni uffici col presidente Alfonso Marra per la cui nomina avevano scomodato mezzo Csm (da Mancino al consigliere laico Tinelli, passando per i togati Berruti e Ferri), per far riammettere la lista di Formigoni alle regionali.

Altre volte invece ha avuto successo, come nel caso delle nomine in Sardegna delle persone amiche che dovevano favorire gli interessi economici del gruppo nel settore dell’eolico. Comunque c’hanno provato in continuazione, sempre. Associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso, alla violenza privata e alla diffamazione. Non basta: l’aggiunto della procura di Roma Giancarlo Capaldo contesta a Carboni, Lombardi e Martino anche l’articolo 2 della legge Anselmi, quella che ha sciolto perché illegale la loggia P2.

I promotori dell’associazione sono tre vecchie conoscenze: Flavio Carboni, l’uomo che ha intrecciato – sempre indenne a parte il crac dell’Ambrosiano – tutti i misteri d’Italia, dalla P2 alla morte di Roberto Calvi; Pasquale Lombardi, esponente della Dc campana, ex sindaco del suo paese in provincia di Avellino ed ex componente di Commissioni Tributarie; Arcangelo Martino, assessore socialista al comune di Napoli già coinvolto in Tangentopoli. Tre che forse un esponente delle istituzioni farebbe meglio a non frequentare. Tre, invece, che chiedono e vengono ricevuti, al Csm dal vicepresidente Nicola Mancino, in Cassazione dal presidente Vincenzo Carbone, da sottosegretari (Caliendo e Cosentino), da decine e decine di parlamentari, da Dell’Utri a Verdini, entrambi pdl, a Lusetti (Pd, ex Margherita). Come tutti i sodalizi criminali, anche questo ha un luogo e una data di nascita. La sera del 23 settembre 2009 nel bellissimo appartamento di Denis Verdini, palazzo Pecci Blunt in piazza dell’Ara Coeli, si ritrovano Carboni, Martino, Lombardi, il senatore Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. Motivo della riunione è l’esito del Lodo Alfano, lo scudo processuale che avrebbe dovuto mettere il premier al riparo dai processi in cui è imputato.
La Consulta si riunirà il 6 ottobre e tutta la maggioranza è in fibrillazione. Sarà quella, come poi dimostrato dalle cronache, una data spartiacque delle legislatura. Specie se, come poi è avvenuto, la Corte dovesse bocciare il Lodo.

Tutti cercano di dare una mano al premier. Di farlo sapere e di averne in cambio favori. «Tra settembre e ottobre – si legge nell’ordinanza del gip Giovanni De Donato – Carboni, Martino e Lombardi hanno tentato l’avvicinamento di giudici della Corte Costituzionale per influire sul Lodo. L’operazione si intreccia con il tentativo dei tre di ottenere la candidatura dell’onorevole Nicola Cosentino alla presidenza della Regione Campania, contropartita in cambio degli interventi compiuti sulla Corte Costituzionale».
Il gip, al momento, dà conto di sei tentativi di condizionamento, per sei questioni diverse: Lodo Alfano; nomina di Cosentino; gli impianti per l’eolico in Sardegna; la riammissione della lista Formigoni alle regionali; le pressioni sul Csm per le nomine di alcuni procuratori (Isernia, Nocera Inferiore, Corte d’Appello di Milano); le pressioni sul ministero per inviare un’ispezione a Milano alla Commissione che aveva bocciato la lista Formigoni.
Lo scheletro dell’inchiesta sono le intercettazioni, telefoniche e ambientali. A proposito del Lodo, il 30 settembre Lombardi chiama l’ex presidente emerito Cesare Mirabelli: «I suoi colleghi, su che posizione staranno? La donna, dicono che è amica sua, possiamo intervenire almeno su di lei?». Il Lodo sarà bocciato con 9 voti contrari e sei favorevoli. E Lombardi dirà a Martino: «Che figura di merda, noi non cumandamm manc ‘o cazz».
Per far fuori Caldoro in favore di Cosentino («quel bravo ragazzo» dice Martino a Carboni) alla guida della Campania, il gruppo agisce su due piani. Da un lato Lombardi agisce col presidente della Cassazione Vincenzo Carbone per intervenire a favore del ricorso contro la richiesta d’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa del sottosegretario (ricorso che sarà poi rigettato). Dall’altra il gruppo agisce per diffamare, via internet («tutto on line, come siamo moderni noi») Caldoro e sue presunte abitudini sessuali. «Un Marrazzo in Campania» si diverte Martino al telefono con Sica, sindaco di Pontecagnano «che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci, povero Berlusconi».
Andranno in porto due operazioni su sei (Sardegna, Corte d’Appello). «Se è vero che il sodalizio non sempre riesce nei propri scopi – scrive il gip – la mancata realizzazione degli obiettivi non esclude il reato di associazione segreta». Anche perché questa nuova presunta P2 agirà, come vedremo, anche su altri fronti.

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«Ma quali reati, era solo normale lobby»… di Angela Camuso

Ha respinto le accuse, sostenendo che le pressioni da lui esercitate al fine di favorire, ad esempio, la nomina di Ignazio Farris a presidente dell’Arpa in Sardegna ovvero a caldeggiare la candidatura di Cosentino a presidente della Regione Campania erano «normali attività di sostegno politico», cioè attività lecite di lobby. E che se altri suoi amici hanno commesso reati, come acquisire informazioni coperte dal segreto ovvero realizzare dossier contro Stefano Caldoro, costoro lo hanno fatto «a sua insaputa». Così, ieri mattina a Regina Coeli, si è difeso affiancato dal sua avvocato Renato Borzone il faccendiere Flavio Carboni, nel corso dell’interrogatorio di garanzia durato quasi due ore e interrotto da un malore accusato dall’indagato, che ha lamentato le sue gravi condizioni di salute per problemi cardiaci, facendo presente di aver subito un infarto soltanto un anno e mezzo fa. Davanti a Carboni, oltre al gip Giovanni De Donato, il pm Rodolfo Sabelli e il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, che gli hanno contestato le numerose telefonate che dimostrerebbero, secondo l’accusa, l’esistenza di una società segreta volta a condizionare attraverso la commissione di reati l’andamento democratico delle istituzioni della Repubblica. L’avvocato Borzone, al termine dell’interrogatorio, ha mantenuto la posizione già annunciata subito dopo l’arresto, sostenendo la debolezza dei capi d’imputazione dato che a Carboni, nell’ordinanza, non viene contestato alcun specifico episodio di corruzione ma soltanto una serie di attività svolte a fare pressioni a politici. Borzone ha anche chiesto l’immediata scarcerazione di Carboni per la sua malattia. Già ieri, a Regina Coeli, l’avvocato lo aveva trovato al centro clinico, dove era stato trasferito per un malore immediatamente dopo l’arresto. «Carboni era sconvolto, quasi in uno stato confusionale», ha detto Borzone, dicendosi ottimista. «Questa storia finirà come tutti gli altri processi che hanno coinvolto il mio assistito. Carboni viene inquisito soltanto perché ormai si è fatto una brutta fama», dice l’avvocato, che ha difeso il faccendiere anche nell’ultimo importante processo a suo carico, quello per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi, finito con un’assoluzione per insufficienza di prove. D’altra parte, c’è da dire che stando a indiscrezioni circolate in ambienti giudiziari l’inchiesta contro la società segreta avrebbe subito un’accelerazione a seguito di fughe di notizie. L’inchiesta, infatti, si basa quasi esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche, diventate inutili nel momento in cui gli indagati ne sono stati informati.

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«Professò, ci aiuti per il Lodo Alfano, so’ anche amici suoi»…
di Massimo Solanitutti gli articoli dell’autore

Nicola Cosentino presidente della Campania. Per il gruppo di Carboni è una missione. Così, quando il sottosegretario è raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare per i suoi rapporti con i Casalesi, la “ditta” si attiva per correre ai ripari: la prima mossa è intervenire con la Corte di Cassazione per chiedere (senza successo) l’annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Il 17 gennaio 2010 Lombardi telefona al primo presidente Vincenzo Carbone. «Ieri sono stato con molti amici bravi, parlano tutti bene di te, dicono che tu dovresti stare altri due anni alla Cassazione (…) Comunque venerdì sto da te perché ti voglio riferire quello che hanno detto». Il 25 gennaio Lombardo informa il sottosegretario Cosentino del suo intervento. «Io ho fatto il 90%, il dieci lo devi fare tu. Tu domattina te ne vai un po’ da Letta, Gianni, il quale è in ottimi rapporti con il mio amico». Il 26 gennaio Lombardi richiama Carbone: «Io mi so fatto portare l’olio e te lo porto domani mattina. Ti ha chiamato Letta?». L’intervento sulla Cassazione non sembra funzionare, e ecco allora pronto il piano B. «Dopo che i vertici del partito avevano individuato come candidato alla presidenza della Regione Campania Stefano Caldoro – scrive infatti il gip – il gruppo ha iniziato una intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato tentando di diffondere notizie diffamatorie sul suo conto». Al progetto partecipa anche Ernesto Sica, all’epoca sindaco del Comune di Pontecagnano. Il 21 gennaio Martino chiama Sica. Martino: «Allora, noi abbiamo messo in piedi una cosa strepitosa. Questa cosa va accompagnata e assecondata fino all’ultimo». Sica: «Non so, tu pensi che una valanga mediatica sia opportuna? Ci vorrebbe un regista mediatico bravissimo». I due si sentono anche il giorno successivo. Sica: «Dico, mò tanto uscirà quella bomba e uscirà al momento opportuno!» Martino: «Ma quello, ma lui quando sta costruendo il dossier lo costruisce per fare questo, sennò che senso avrebbe?» L’8 febbraio Martino riceve un sms: «Dicci a Nicola che dovrebbe uscire il rapporto di Caldoro coi trans. Forse del problema ha parlato anche un pentito. Che fine abbiamo fatto, siamo finiti in un mondo di froci. Povero Berlusconi». Nel pomeriggio del 9 febbraio Sica chiama Martino dopo che su un sito web è stata pubblicata una notizia infamante sul conto di Caldoro. Sica: «Mo stavo leggendo, ho visto Internet, una cosa incredibile, dice: “Un Marrazzo in Campania, nuovo caso Marrazzo”. (…) Parla di queste passioni erotiche che c’ha Caldoro». Il Lodo Alfano deve passare al vaglio della Corte Costituzionale, e il gruppo di Carboni si spende perché la Consulta non bocci l’ombrello legislativo predisposto per il premier Berlusconi. Lombardi gioca la carta pesante. «Dopo essersi procurato il suo numero personale – scrive infatti il gip – la mattina del 30 settembre telefona al presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli. (…) «No dicevo questo, siccome il sei ottobre si verificherà il lodo del ministro… In quell’occasione i suoi amici colleghi, ex colleghi, su che posizioni staranno?». Alla risposta generica dell’interlocutore Lombardi chiarisce in termini espliciti il suo interesse. «Quella della Consulta che è la donna, dice che è sua amica». Nonostante il crescente imbarazzo di Mirabelli l’altro non desiste: «Possiamo intervenire almeno su questa signora?». La replica dell’interlocutore, che cerca con evidenza di sottrarsi alla richiesta inopportuna («Mah, non è che gli interventi valgano granché») non frena Lombardi, che lo informa che «abbiamo fatto un po’ tutto noi, abbiamo fatto almeno accertare di raggiungere un po’ quasi tutti e le dico il risultato, quattro negativi, cinque positivi, tre ni», e insiste: «Vedi un po’ se sulla signora possiamo avere un riscontro». Poi la chiusa: «Professò, mi stanno mettendo in croce gli amici miei… Sono anche amici suoi eh?”».

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Gerardo D’Ambrosio: «Il peggio non è mai passato Ma nel potere si aprono crepe»

Dottor D’Ambrosio, è tutta colpa di Flavio Carboni se abbiamo pensato a lei. È riemerso il faccendiere di tutti i faccendieri, è il passato che torna e che forse non se n’è mai andato, un incrocio epocale tra malaffare, misteri, politica, potere, un brandello della nostra più triste mitologia. Da Calvi all’Ambrosiano, da Moro alle cosche ed eccolo qui vivacissimo e ficcante, di nuovo, titolare di quell’incrocio, nei servizi offerti a un potere che si sviluppa come una gonna plissettata, fatta di angoli acuti disegnati però sempre dallo stesso filo. Carboni momentaneamente in cella, un presentimento oscuro nel cuore, uno scandalo nuovo dai contorni fin qui sfocati che, per via di quel nome, pare già vecchio. Saremo dei sentimentali, dottor D’Ambrosio, ma abbiamo pensato a lei che aveva ficcato il naso nel crack dell’Ambrosiano. Che effetto le fa ritrovare il nome di Flavio Carboni nei titoli di testa delle nostre cronache? «Non me ne meraviglio, pochissimo tempo fa è riemerso perfino Chiesa dalle nebbie della Prima Repubblica…» Prima, seconda…dobbiamo stare al gioco? « Ciascuno faccia come crede. Il malaffare in Italia non ha subito traumi significativi negli ultimi decenni, si muove allo stesso modo, penetra forse meglio e più di un tempo nei gangli della pubblica amministrazione, governa mercato e politica. Dov’è che inizia la Seconda Repubblica?» Dicono da Mani pulite. Da quando lei e altri bravi colleghi avete dato uno scossone a quel sistema di relazioni di potere ben nascoste dai caveau e dalle segreterie… «Scossone…Mi viene in mente Solone: diceva che bisognava dare uno scossone per alleggerire…dovremmo farlo oggi più di ieri perché la mia opinione è che dopo Mani Pulite sia incrementato…chiamiamolo il “coefficiente di penetrazione” del malaffare nelle commesse pubbliche. Non siamo passati dal paradiso all’inferno, sia chiaro. Anche in altri tempi le commesse, pur passando dalla fase della gara d’appalto, veleggiavano sulla base di sentieri spesso oscuri e predefiniti; ma oggi con ciò che si è fatto e si tende a fare distribuendo pass “politici” per urgenza e “grandi eventi”, si saltano formalità deterrenti rispetto alla spudoratezza dell’agire a “man bassa”, soprattutto si legittima ciò che la forma condannerebbe all’illegittimità, è una virata etica notevole, del tutto al passo con la nostra contemporaneità…» Scherza? Sta dicendo che abbiamo fatto passi indietro rispetto a quel verminaio? Che l’Italia è più marcia di allora, di quando si faceva suicidare il padrone di una banca sotto un ponte londinese e uno come Carboni veniva accusato di aver collaborato a quel “suicidio”; non solo, gli si imputava persino di aver fatto mercato dei segreti custoditi nella borsa di Calvi su un “banchetto” gestito dallo Ior? « Sì, confermo, stiamo peggio ma sono ottimista: mi pare che la gente, i cittadini, la base del paese stia dando segnali incoraggianti, non ne può più di questo stato di cose, ne ha consapevolezza, lotta. Dai cittadini de L’Aquila ai disabili: troppe crepe in questo presente che si vorrebbe blindare, anche con la legge bavaglio…» Come si fa a raccontare alla gente che Mani Pulite è servito così a poco? «Basta spiegare che Mani Pulite è finita mentre stava per affrontare il passaggio più alto e impegnativo nella lotta al malaffare e alle sue connessioni con la politica. Alla vigilia di quella fase, la magistratura fu messa al centro di un vortice tremendo in cui la parola d’ordine era una sola: sono i giudici i criminali, e quella parola d’ordine ci fu sistemata sulla testa come una lapide…come stanno facendo anche oggi…» Per essere sinceri, ricordo anche illustri esponenti della sinistra accodarsi, con qualche garbo in più, a quel coro… «E mica l’hanno concluso. Che senso ha garantirsi – come proponeva qualcuno nel Pd – che il presidente della Repubblica possa insediarsi al Quirinale anche se è sotto processo per un grave reato? Ce l’ha solo se si pensa di voler stendere uno zerbino in vista della salita al Colle di Berlusconi. Fortuna che questa cosa è rientrata, ma che aria è questa? Ci vuole uno scossone, lo dicevo prima…».

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«Personaggi e interpreti», di G. M. Bellu

Tutte le ragioni della legge bavaglio in 70 pagine. Un testo realizzato dal Tribunale di Roma grazie alla collaborazione non volontaria di alcuni tra i più autorevoli specialisti dei vari rami della complessa materia, da Flavio Carboni (rapporti con l’imprenditoria) a Denis Verdini (relazioni istituzionali). Il fatto che sia stata resa pubblica proprio nel giorno dello sciopero dei giornalisti, dà all’ordinanza di custodia cautelare che ha riportato in cella il leggendario faccendiere l’aura di misteriosa sacralità propria dei testi iniziatici. Ha infatti plurimi livelli di lettura. In un primo momento credi d’esserti imbattuto nella mediocre sceneggiatura di un film a tesi. Una storia esagerata che si apre con un incontro tra un importantissimo dirigente del partito al governo, un senatore condannato a sette anni di carcere per rapporti con la mafia e un anziano maneggione. I tre, circondati da una corte di magistrati, affaristi e furbacchioni, ragionano su un certo business da mettere in atto in un’isola lontana per il tramite del fragile governatore che l’amministra per loro conto. Dopo una dissolvenza, ecco che il maneggione allarga i suoi interessi a tutte le vicende politiche più importanti del momento: una legge che dà l’immunità al capo del governo, una decisione amministrativa che potrebbe escludere una lista dalle elezioni. Il gruppetto non ha freni: tenta addirittura di interferire sulle scelte della corte suprema. E, quando deve decidere chi sostenere come candidato al governo della Campania, sceglie un indagato per associazione camorristica che fa anche il sottosegretario. Bum! Stai per buttare via l’inverosimile script quando ti cade l’occhio sull’intestazione: “Tribunale ordinario di Roma”. Altro che fiction: era tutto vero. Sgomento per il brusco ritorno alla realtà, cominci ad abbinare i personaggi agli interpreti: Flavio Carboni, il maneggione, Denis Verdini, il coordinatore, Marcello Dell’Utri, il senatore condannato per mafia, Nicola Cosentino, il sottosegretario indagato per camorra. E poi gli altri, i comprimari. Come quell’incredibile Pasquale Lombardi (finito dentro con Carboni) che, per interferire nella decisione sul lodo Alfano, telefona a un imbarazzatissimo Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, e alla fine, un po’ deluso per non aver fatto breccia, gioca la carta che conosce meglio: «Professo’, mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che sono anche gli amici suoi». Una frasetta che contiene un’idea del mondo e sintetizza bene le insidie del metodo. Non sempre Carboni e soci raggiungono l’obiettivo. Ma ci provano sempre, e senza remore: sono ora cordiali, ora seduttivi, ora melliflui, ora minacciosi. Fanno anche qualche piccolo regalo. E aggiungono nuovi nomi alla loro agenda. No, non era una fiction. Il tuo Paese si è veramente ridotto così. È allora che rilevi la curiosa coincidenza tra il tuo sciopero e la divulgazione di quest’opera. E ti viene il sospetto che non sia un caso, ma una beffa di qualche dio della libertà di stampa. Ti ha voluto dire che, se quella legge fosse stata in vigore, quella storia non avresti potuto né leggerla, né scriverla. E i suoi protagonisti avrebbero continuato a avvelenare indisturbati il tuo paese.
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