attualità, politica italiana

"Il ritorno del Pentapartito", di Francesco Merlo

Manzoni racconta che in una cena venne deciso il rapimento di Lucia. E non fu politica ma cosca.
Allo stesso modo quello in casa Vespa non fa pensare ad un incontro di antico stampo democristiano, ma ad un summit. E solo in superficie il «sistema Berlusconi» ricorda i riti bizantini del pentapartito che tentava di governare l´ingovernabilità con le cene e i convegni più o meno segreti, appunto. C´era saggezza in quel tempo senza tempo. E nei patti delle frittelle, delle crostate e nelle staffette, persino negli scambi inconfessabili, nel doppio gioco, nel dire per non dire, e in tutte le antiche forme del potere che si prolungava oltre gli orari e oltre i luoghi istituzionali, insomma nella potenza dell´impotenza c´erano le radici lontane del sissizio greco, dello stare assieme aristocratico e della tavola rotonda. Il banchetto era la risorsa dell´antropologia italiana.
Certo, è sorprendente che la politica sia ritornata ai nidi di vespa, con le offerte sottobanco (oggi a Casini, ieri al Pci,) con i ricatti, gli ultimatum e i penultimatum (ieri di Craxi e oggi di Maroni), con i salotti di regime (ieri nella casa-divano Angiolillo e oggi nella casa-covo Vespa), con il crescente ma irrisolvibile disagio morale (ieri del Pri e oggi di Fini). E però la differenza è enorme è non solo perché non erano mai stati segnalati ospiti stranieri come il segretario di Stato vaticano né altissime figure di garanzia come il governatore della Banca d´Italia, ma soprattutto perché è cambiata la natura della nostra ingovernabilità .
Una volta l´inconcludenza italiana era il frutto della incompatibilità di interessi sociali contrapposti: i ceti popolari e la razza padrona, la rendita e il profitto, lo Stato e le professioni liberali… E dunque si cercava di servire sulla tavola paraistituzionale dell´Angiolillo di turno le spezie senza odore, il sale scipito, il pomodoro bianco, insomma il salotto era l´impossibile ricomposizione dell´Italia anarchica, il disarmo delle sue ideologie perennemente contrapposte con sullo sfondo la politica dei blocchi, la cortina di ferro e la guerra fredda.
Alla fine i governi non governavano e sempre decidevano di non decidere perché erano assediati dalla lotta di classe e dalla divisione dei mondi. Oggi sono assediati dal diritto penale e a loro volta lo stanno contro assediando anche con il ricorso alle vecchie strategie conviviali. Il pentapartito non aveva una morale, ma almeno cinque: «I sei partiti del pentapartito…» fu l´incipit memorabile dell´articolo di fondo di un grande giornale. Adesso sono due i partiti del pentapartito: Pdl e Lega. Ma hanno un solo vuoto morale.
Ed è vero che Fini somiglia a un La Malfa di destra. Quello era il paladino del rigore in una corte di mollezze: sognava di accumulare ed era costretto a dissipare. Questo Fini sogna il classico ordine della destra ottocentesca ma è costretto al disordine, è il paladino della legge ma deve legittimare il delitto. Crede che la libertà di stampa non sia mai abbastanza e sta in un governo che la vuole imbavagliare.
Persino la Chiesa, come ha detto recentemente il Papa, è piena di pericoli, e deve fare i conti più con se stessa che con i nemici esterni. È insomma un nido di vespa: dalla pedofilia alle case di Propaganda Fide, dalle complicità nel caso Boffo alla devozione della cricca di Stato e ai drammatici sospetti sul cardinale della più generosa, popolare e appassionata diocesi italiana, dove ci vuol poco a descrivere i fedeli come tarantolati e l´annuale miracolo del sangue che si scioglie come una superstizione medievale… Ebbene, con la Chiesa venata dai sospetti, il cardinale Bertone, come fosse un Verdini o un Bonaiuti, un Dell´Utri un Ghedini o un Blancher, partecipa al conclave degli inguaiati in casa Vespa, incredibile giornalista sensale, «Bel Ami» del Popolo della libertà. Negli anni del pentapartito i giornalisti potevano essere di parte ma non si ricordano mezzanie. Craxi e De Mita non trattavano in casa Zavoli. La Malfa e Berlinguer non fecero accordi alla tavola di Andrea Barbato.
Al vertice del nuovo pentapartito c´è ovviamente Berlusconi che sembra la Dc ma non ne ha la serietà né la ricchezza e la grandezza politiche. Il suo obbligato ritorno alla tecnica del pentapartito cerca solo di neutralizzare l´illegittimità dei comportamenti. Ecco perché questo neo pentapartito non è il pentapartito ma è un «un pendaglio» di partiti. Non un neo, ma un tumore della politica italiana.

La Repubblica 11.07.10

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“Il partito ora è logoro e la gente sempre più stanca una svolta o il Pdl muore”, di Goffredo De Marchis

Alemanno: meglio la scissione di conflitti continui. Il realismo di Gianni Alemanno. «Vedo una grande stanchezza in giro, nella nostra gente. Si rischia di logorare il Pdl. Non si può continuare a lungo con questo stillicidio». Per uscirne, anche male se proprio è inevitabile, non c´è che una strada. «Un chiarimento profondo e sincero tra Berlusconi e Fini. Un chiarimento anche finale ma un chiarimento», dice il sindaco di Roma.
E se l´esito fosse negativo come lei non sembra escludere?
«Io mi auguro che sia positivo naturalmente. Alcuni scogli concreti sono stati superati con la mediazione e alla fine con una convergenza di vedute. Penso al caso Brancher o alle intercettazioni. Ma per tenere in piedi un partito bisogna essere non dico una comunità di amici ma almeno di persone che si rispettano».
Cosa ci sarebbe dopo una rottura ufficiale tra i co-fondatori del Pdl?
«Ripeto, spero che non ci sia. Ma se ci fosse non vedo mezze misure. Per intenderci, gruppi parlamentari separati nell´ambito dello stesso partito sono impensabili. Avremmo una scissione, si romperebbe il Pdl. Dobbiamo evitarlo. Magari dal chiarimento possono nascere una minoranza e una maggioranza ma con delle regole comuni che devono essere rispettate per evitare di portare i conflitti nella vita parlamentare».
Più chiaramente: una rottura significa elezioni anticipate o nuovi governi di larghe intese?
«Se arrivassimo a una scissione del Pdl l´esecutivo ne uscirebbe indebolito, a prescindere dai rapporti tra Fini e Berlusconi. Non è detto che ci debba essere per forza una crisi, ma il governo sarebbe meno forte, non c´è dubbio. Proprio per questo bisogna fare di tutto per tenere unito il Pdl».
Il ritiro della legge sulle intercettazioni farebbe tornare Fini sui suoi passi?
«Per quella norma occorre trovare con il Quirinale un punto di sintesi. Vedere quali sono le correzioni da fare e portarlo avanti in Parlamento. Al di là delle campagne sui bavagli, che ci sia stato un uso eccessivo delle intercettazioni è innegabile».
Casini dice a Berlusconi: per riconquistare l´Udc occorre un nuovo governo e una nuova maggioranza. Si può fare?
«È un´ipotesi che non mi convince. Premesso che io considero Casini naturalmente nel centrodestra, la rigidità delle sue posizioni dimostra che la via maestra per salvare il governo è quella di rilanciare il rapporto all´interno del Pdl tra Berlusconi e Fini. Pensare a Casini come alternativa al presidente della Camera è un errore politico. Si tratta di allargare le alleanze, semmai, non di spostare una coperta troppo corta».
Maroni comunque annuncia: se entra Casini esce la Lega.
«Appunto, la solita coperta corta. Berlusconi rifiuti ogni alternativa rigida. Il Pdl e il premier non devono essere ostaggio di nessuno, solo così si mantiene la centralità del partito».
Le inchieste su Verdini, Scajola, Lunardi non aprono una gigantesca questione morale nel centrodestra? Chi viene da An, partito della legalità, non si sente in imbarazzo?
«La questione morale riguarda tutti. Se il Pd crede di scaricare il problema sul Pdl sbaglia di grosso. Pensiamo a quello che è successo a Bologna. Non dobbiamo fare né processi sommari né colpi di spugna, non eludere i problemi e neppure fare sconti a nessuno. Ma per il momento le inchieste sono più giornalistiche che giudiziarie. E non possono mettere in discussione il Pdl».
I pericoli per Berlusconi vengono anche dalla manovra. La rivolta dei governatori rischia di travolgerlo?
«La giornata di venerdì ha mostrato facce diverse del conflitto. Con Sergio Chiamparino abbiamo lavorato per trovare un accordo tra governo e Comuni. E ci siamo riusciti. Possono farcela anche le Regioni. Certo, la manovra è dura. Ma qual è l´alternativa? Non c´è. Persino il Pd stenta a trovarla. Questo è il punto di forza di Tremonti».
Dal 23 al 25 luglio lei riunisce a Orvieto la sua fondazione Nuova Italia. Nasce un´altra corrente?
«No. Il correntismo è un male dei partiti, un elemento patologico. Però contro il correntismo l´antidoto migliore è celebrare i congressi, almeno a livello provinciale e comunale. Questo diremo ad Orvieto. E Berlusconi uscirà rafforzato dai congressi. Come avviene in tutti i partiti del mondo, la democrazia negli organismi legittima il leader, non lo indebolisce. A Orvieto parleremo anche di come mettere il federalismo in sintonia con l´unità nazionale. Se il federalismo è autentico valorizza le identità locali e rafforza dal basso l´identità nazionale. Ho invitato Tremonti che è già venuto altre volte. Ho chiamato anche Bossi e Calderoli. Vediamo se accettano».

La Repubblica 11.07.10