attualità, cultura

"Invecchiare e dirsi addio", di Massimo Gramellini

La novità dell’indagine Istat 2008 sul raddoppio dei divorzi è che hanno cominciato a lasciarsi anche i vecchi. I diversamente imberbi, scusate. Aumentano a dismisura le separazioni dove uno o entrambi i combattenti hanno superato i sessant’anni. Sulla carta di identità, naturalmente. Non nello spirito e tantomeno negli appetiti. Un signore piuttosto anziano mi disse, tempo fa: «Continuo a inseguire le belle ragazze, ma non ricordo più perché». Sono sicuro che oggi con qualche pillolina gli farebbero tornare la memoria. Il prolungamento della vita e il miglioramento della sua qualità hanno infranto l’ultima certezza: che una coppia che aveva resistito insieme per decenni, scollinato asprezze esistenziali e sopportato compromessi e tradimenti reciproci, potesse trascorrere in quiete l’ultimo scorcio. Trovando, dietro lo spegnimento definitivo dell’incendio erotico, il fuoco tiepido ma inestinguibile dell’amore. Non è più così e basta fare una passeggiata a Macherio per avere la più augusta, anzi la più cesarea delle conferme.

L’inchiesta Istat conferma l’ottimo stato di salute di altre figure non così nuove, ma pur sempre abbastanza recenti, di divorziati cronici. La Single di Ritorno, donna ancor giovane che una volta raggiunta l’indipendenza economica si libera dell’appendice maritale e si ricostruisce una vita con figli o senza, accompagnandosi a maschi fissi oppure variabili. E i Ciao-come-sto, due Io che non riescono a diventare un Noi perché non accettano di sacrificare il proprio egoismo sull’altare di un progetto comune e, appena si affievolisce la passione erotica (come i governi, di rado sopravvive ai tre anni) smettono di coniugare i verbi al futuro e incominciano a tradirsi a vicenda, tenendo in piedi una caricatura di famiglia a beneficio esclusivo della prole, fino a quando la finzione si sfascia e si finisce tutti davanti al giudice infelici e scontenti (anche degli amanti). Ma la categoria degli anziani per sbaglio è davvero l’ultima moda. Il signore e la signora di terza età che non si accontentano di ricordi e vanno in cerca di stimoli, inseguendo nuovi amori con l’entusiasmo e l’afflato possessivo dell’adolescenza.

Inutile scandalizzarsi. Se il vangelo coniugale degli italiani rimane Califano («E tutto il resto è noia»), invece di Battiato («Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia più cambiare idea sulle cose e sulla gente»). Se un esperto del ramo come Alberoni – intervistato dal nostro Michele Brambilla – dichiara che è sacrosanto pretendere sempre dall’amore «passione, intensità e brividi». Se le emozioni, al cui dominio mutevole e isterico ci ha educato fin da piccoli la cultura della pubblicità, continuano a prevalere sui grandi latitanti della nostra epoca, i sentimenti. Ecco, se queste sono le nuove regole del gioco, diventa quasi inevitabile che una coppia di infelici, dopo essersi lungamente detestata, possa finalmente coronare il proprio sogno di non amore per andare a rifarsi una vita come ci si rifà un naso o un nuovo tesoretto sessuale a base di pillole miracolose.

Nessuna nostalgia. Anche perché ogni epoca coltiva le sue, e in un futuro non troppo lontano potremmo persino trovarci a rimpiangere i tempi in cui a centodue anni si restava a russare sul seggiolone del tinello invece di andare in discoteca con la sedia a rotelle e la badante brizzolata. E non consideriamo eroi i nostri avi soltanto perché invecchiavano insieme. L’eternità finiva prima, a quei tempi. Era comodo giurarsi fedeltà per tutta la vita, quando fra guerre ed epidemie la vita durava meno di un monologo di Celentano. La formula che andrebbe letta adesso agli sposi è questa: vuoi tu abbracciare sempre e soltanto lo stesso corpo per i prossimi cinquant’anni, finché noia, botox o viagra non vi separi? Chi risponde di sì e poi mantiene la parola, quello è il vero eroe.

La Stampa 22.07.10

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“L’unica remora? I figli”, di Carlo Rimini*

Le separazioni aumentano; anche i divorzi crescono ma, per ora, un po’ meno. Si separano i giovanissimi, le coppie di mezza età e persino i coniugi più anziani. Le statistiche riportano una giostra di numeri chiarissimi nel portare ad una conclusione: la famiglia non è più quella di una volta. Il dato è certamente negativo, e molti ne traggono pessimi auspici per il futuro della nostra società.

Ma se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, dobbiamo osservare che questo fenomeno affonda le sue radici nell’affermarsi nel diritto e nella società contemporanei di due valori certamente positivi. In primo luogo, il diritto ha sancito il principio dell’uguaglianza morale e giuridica fra i coniugi che ha sostituito la potestà del marito sulla moglie: le famiglie fondate sull’uguaglianza corrono maggiori rischi di disgregarsi per le liti fra i componenti rispetto a quelle in cui uno comandava e gli altri erano abituati ad obbedire. In secondo luogo, oggi non si rimane più assieme per obbligo o per convenienza sociale, ma solo se entrambi i coniugi sono ancora convinti di avere un progetto da realizzare o qualche cosa da dirsi.

È nata quindi una nuova famiglia che si regge, se regge, su valori diversi rispetto al passato. Tutto ciò emerge chiaramente, nell’esperienza quotidiana dei nostri tribunali, esaminando le cause più frequenti delle separazioni. Fino agli anni ‘80, le cause delle separazioni potevano essere, nella maggior parte dei casi, ricondotte a tre modelli che si ripetevano: la moglie osava ribellarsi ai continui tradimenti del marito; il marito aveva trovato in un’altra donna la passione della sua vita; il marito aveva scoperto l’adulterio, intollerabile, della moglie. Oggi le ragioni che portano alla separazione sono molto più variegate. Talora la causa ultima è ancora il tradimento, ma scavando si scopre che vi sono incomprensioni profonde o progetti di vita diversi. Più spesso i coniugi si separano raccontando al giudice semplicemente che non si sopportano più.

L’unico legame che tiene oggi unite le coppie infelici è quello dei figli ancora piccoli. Molti tirano avanti solo per non creare ai bambini la sofferenza della separazione, il calvario dei fine settimana alternati e della cena con papà una sera ogni tanto. Questo spiega perché sono in notevole aumento le separazioni fra i giovani, che non hanno ancora figli o li hanno talmente piccoli che appare impensabile aspettare che crescano. Poi c’è una pausa, ma i numeri tornano a crescere fra le coppie che hanno più di 45 anni: sono i coniugi che oggi hanno figli di 20 anni. Un’età in cui si è forse più in grado di assorbire il colpo della separazione o, quanto meno, di capire.

Docente di Diritto privato, Università degli Studi di Milano

La Stampa 22.07.10