attualità, pari opportunità | diritti

"E per i blog resta la mannaia", di Fabio Chiusi

L’ultimo testo del disegno di legge sulle intercettazioni non ha eliminato l’articolo che soffoca la conversazione in Internet: una sequela di obblighi burocratici che non esistono in nessun Paese libero.
Prima di cantare vittoria, meglio assicurarsi di poter aprire la bocca. E il nuovo emendamento del governo al disegno di legge sulle intercettazioni, quello che secondo alcuni toglierebbe il “bavaglio”, in realtà non lo consente. Non in rete, almeno: dato che il comma 29 – meglio conosciuto come “ammazza-blog” – resta invariato. Continuando così a prevedere l’estensione dell’obbligo di rettifica contenuto nella disciplina per la stampa ai “siti informatici”.

Che cosa significa? In soldoni, che qualsiasi blogger non rettifichi un post entro 48 ore dalla richiesta, rispettando inoltre stringenti criteri grafici, di posizionamento e visibilità, rischia di incorrere in una multa fino a 12.500 euro. Insomma, bastano un paio di giorni al mare oppure una rettifica data nel modo sbagliato per ritrovarsi con diverse migliaia di euro da pagare. Un ragazzo che scrive un’inesattezza e poi parte per un week end senza collegarsi a Internet, rischia di pagare carissima la sua breve vacanza. Ma soprattutto, il solo pericolo che questo accada ha una evidente funzione deterrente e diseducativa: si insegna ai giovani la paura ad esprimersi, si disincentivano i ragazzi dall’aprire un blog.

Non solo: ma c’è il rischio molto concreto che nei decreti attuativi della legge, al fine di poter reperire il blogger a cui chiedere una rettifica, venga inserito l’obbligo per i blogger di “registrare” la propria testata presso qualche autorità (tribunale, Agcom o altro): il che ovviamente soffocherebbe ulteriormente – attraverso la burocrazia – l’apertura e la gestione dei blog.

Una norma del genere non esiste in nessun Paese libero: dagli Stati Uniti all’Europa, ciascun blogger è penalmente e civilmente responsabile di quello che scrive (come del resto già oggi in Italia) ma non esistono lacci burocratici finalizzati a scoraggiare le conversazioni in rete.

Ecco perché l’articolo ammazza web non piace nemmeno ad alcuni esponenti del Pdl, partito che pure l’ha partorita. E così, dopo un lungo dialogo con la Rete, il deputato Roberto Cassinelli ha formulato una proposta di emendamento che nell’attuale versione reintroduce una qualche distinzione tra giornalismo amatoriale e professionistico, prevedendo diversi termini di decorrenza e ammontare della sanzione, ridotta a una cifra compresa tra 100 e 500 euro per le testate non registrate, che non svolgano “attività imprenditoriale” e che forniscano un indirizzo email valido tra i contatti.

Anche l'”uomo internet” di Berlusconi, Antonio Palmieri, si è detto favorevole al testo di Cassinelli. Lo stesso dicasi per i finiani di Libertiamo e Farefuturo.

Nonostante questo, della proposta Cassinelli non si sa più nulla. E’ sparita nel grande mare delle proposte di legge non calendarizzate. Invece il disegno di legge Alfano è in procinto di essere approvato alla Camera per poi passare alla rilettura al Senato, con il testo definitivo che continua a soffocare i blog.

Ma anche se venisse discusso e approvato in tempo utile, il “lodo Cassinelli” sui blog sarebbe una soluzione soddisfacente? Molti in Rete ne dubitano. Prima di tutto i blogger stessi, le vere vittime degli eccessi di zelo di un legislatore che cerca disperatamente di fare di Internet un mezzo di comunicazione tradizionale (si pensi ai lacci apposti dal decreto Pisanu per quanto riguarda l’accesso da luoghi pubblici e in mobilità e a quelli, più recenti, previsti dal Romani, che di fatto rende aprire una web tv una procedura complicata quanto la gestione di un canale televisivo vero e proprio).

In secondo luogo, i dubbi provengono dall’opposizione. Il Pd ad esempio, al grido “Nessuno tocchi i blog”, ha lanciato una mobilitazione online a firma Civati-Gentiloni-Orfini per chiedere l’abrogazione del comma 29. Un “no” di principio, dunque, che si oppone senza appello all’idea che alle dinamiche del Web sia applicabile una disciplina concepita nel 1948, come quella sulla stampa, e che vorrebbe sullo stesso piano un blog e il sito di Repubblica. Una equiparazione che rischia di avere effetti devastanti per la libertà di espressione nel nostro Paese, e proprio nel luogo – la Rete – che ne decide sempre più le sorti.

Contro la norma ammazza Internet presente nel disegno di legge Alfano molti blogger si erano schierati fin dall’anno scorso, quando fu proclamato il primo sciopero dei blog (14 luglio 2009). Allora quasi nessuno parlava della legge bavaglio, un caso che è esploso solo negli ultimi mesi, quando è iniziata la discussione al Senato. Adesso la parte di bavaglio sui giornali sembra essere stata molto ridimensionata. Quella che taglia le gambe ai blog invece è ancora lì. E rischia di diventare legge dello Stato.

L’Espresso 23.07.10