economia, lavoro

"Il dumping di Marchionne", di Luciano Gallino

Quattro anni fa, settembre 2006, Sergio Marchionne dichiarava prima in un discorso all’Unione Industriale di Torino, poi in un’intervista a questo giornale, che «il costo del lavoro rappresenta il 7-8 per cento». «E dunque – aggiungeva – è inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio pensando di risolvere i problemi». Per contro ieri annuncia che, tutto sommato, ritiene necessario picchiare proprio su chi sta alla linea. E le ragioni per farlo sembrano primariamente connesse al costo del lavoro. In questo caso i destinatari diretti del messaggio non sono i lavoratori di Pomigliano, ma quelli di Mirafiori, visto che un nuovo modello di auto che doveva venir prodotto nello stabilimento torinese sarà invece prodotto in Serbia. Una decisione che, se non è un de profundis per Mirafiori, poco ci manca.
In verità l´ad Fiat ha usato parole un po´ diverse. Ha detto che in Italia i sindacati mancano di serietà. L´azienda non può assumere rischi non necessari per realizzare i suoi progetti nel nostro paese. Fiat deve essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell´attività. Qualche minuto in rete basta però per venire a sapere che il salario medio dei lavoratori serbi del settore auto si aggira sui 400 euro al mese. Ed è improbabile che tale costo sia accresciuto da consistenti contributi destinati al servizio sanitario e alla pensione, come avviene da noi grazie alle conquiste sociali di due generazioni fa. Andare in Serbia, piuttosto che restare a Mirafiori, significa quindi giocare il destino di nostri lavoratori la cui prestazione assicurava finora un livello di vita decente a sé stessi ed alla famiglia, anche per il futuro, contro lavoratori di un paese che a quel livello di vita e a quel futuro avrebbero pure loro diritto, ma per il momento se li possono soltanto sognare.
Se questa sorta di grande balzo all´indietro è ciò che Marchionne intende per modernizzazione delle relazioni industriali in Italia, vengono un paio di dubbi. Non diversamente dal 2006, il costo del lavoro in un´industria altamente automatizzata come l´auto rappresenta il 7-8 per cento del costo complessivo di fabbricazione. Portando la produzione da Mirafiori a Kragijevac, dove il costo del lavoro è meno della metà, la Fiat può quindi pensare di risparmiare al massimo tre o quattro punti sul costo totale. Ma se intende affrontare tutti i problemi sociali, sindacali e politici che dalla sua decisione deriverebbero per conseguire un risparmio così limitato, ciò significa che le sue previsioni di espansione produttiva, di vendite e di bilancio sono assai meno rosee di quelle che lo stesso amministratore delegato ha dato a intendere nei mesi scorsi. E questo dubbio ne alimenta un altro: che il vero obbiettivo non sia la riduzione del costo del lavoro, sebbene questo appaia evidente, bensì la realizzazione di una fabbrica dove regnano ordine, disciplina, acquiescenza assoluta agli ordini dei capi. Dove, in altre parole, il sindacato non solo assume vesti moderne, ma semplicemente non esiste, o non fiata. Magari ci verrà detto ancora una volta che questo è un obbiettivo che la globalizzazione impone. Può essere, anche se le pretese di quest´ultima cominciano ad apparire esagerate. Quel che è certo è che si tratta di un preoccupante indicatore politico.

La Repubblica 23.07.10

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“I motivi dell´investimento in Serbia. Airaudo (Fiom): impossibile competere”, di Paolo Griseri

Per ogni operaio assunto la Fiat riceve inoltre 10 mila euro di aiuti pubblici. La Serbia è l´Eldorado dei manager. Una specie di terra promessa per gli imprenditori, stando al racconto di Giorgio Airaudo, responsabile nazionale Fiom per il settore auto. «Da tempo abbiamo contatti con i sindacati di quel paese – spiega Airaudo – e il loro racconto spiega perfettamente per quale motivo la Fiat ha scelto di trasferire la produzione da Mirafiori». Ieri mattina lungo la direttrice Torino-Kragijevac, la località dove sorgeranno le nuove linee produttive, si è svolta la prima riunione virtuale tra organizzazioni sindacali sul futuro dei due stabilimenti.
«In Serbia il salario mensile è di 400 euro», spiega il sindacalista italiano. Un salto notevole rispetto alle retribuzioni medie degli operai torinesi (1.100-1.200), una paga addirittura più bassa delle retribuzioni già misere della Polonia (meno di 600 euro mensili). Per arrivare a questi livelli in Italia bisogna sottoporsi a dosi massicce di cassa integrazione, così come è avvenuto da quando la crisi ha cominciato a mordere il mercato delle quattro ruote.
La paga mensile non è l´unico vantaggio del trasloco deciso da Marchionne. In base all´accordo firmato due anni fa dal governo di Belgrado e dal Lingotto, lo Stato paga la bonifica dello stabilimento e cede la proprietà alla Fiat. La bonifica è costosa. La fabbrica, la vecchia linea produttiva della Zastava, è stata bombardata dagli aerei Nato nel ´99, durante la guerra che divise l´ex Jugoslavia. Nell´area sono disperse 370 tonnellate di diossine e altri veleni. Dei 2.600 ex dipendenti della vecchia Zastava la Fiat ne ha assunti solo 1.000 lasciando gli altri a libro paga dello Stato serbo fino a quando la salita produttiva del nuovo modello non consentirà nuove assunzioni. Per ogni dipendente assunto la Fiat, in base all´accordo, riceve 10.000 euro di finanziamento pubblico. Inoltre per dieci anni il Lingotto non pagherà tasse né al governo di Belgrado né al comune di Kragijevac.
«Competere con questi costi per noi è impossibile. Chi potrebbe permettersi il lusso di lavorare per 400 euro al mese in Italia? In questa storia Pomigliano non c´entra un bel niente. Marchionne dica chiaramente quali sono i motivi del trasloco», si arrabbia Airaudo. E ricorda che «quando Mirafiori rischiava la chiusura tutti i sindacati, la Fiom in testa, hanno lavorato perché gli enti locali torinesi finanziassero la ristrutturazione e salvassero lo stabilimento. Noi – conclude – siamo rimasti gli stessi di allora. Vorremmo che anche la Fiat si mettesse a discutere senza atteggiamenti ideologici».
Al Lingotto ieri non si commentavano le numerose prese di posizione di sindacalisti e politici sulla scelta di trasferire la produzione del minimonovolume da Mirafiori a Kragijevac. Ma è evidente che dal punto di vista dell´immagine il dietrofront di Marchionne non è stata una mossa vincente. Si capirà solo nelle prossime quale sarà la contromossa di Fiat per risalire la china nella battaglia sul futuro dello stabilimento torinese.

La Repubblica 23,07.10

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Fiat, il governo convochi un tavolo

La Fiat sposta la produzione in Serbia?
“Ho trovato sorprendente questo annuncio”. Così il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commenta l’annuncio da parte di Sergio Marchionne di voler portare la produzione della nuova monovolume sull’altra riva dell’Adriatico. “Non ho capito perché dice una cosa del genere: le condizioni che trova all’estero le trova anche a Torino – ha osservato Bersani -. E’ la città che in Italia ha più cultura industriale. Da un secolo a questa parte ha affrontato di tutto, da problemi organizzativi a crisi industriali. La vicenda merita un chiarimento. Non si può fare spallucce. Del resto la Fiat si chiama Fabbrica italiana automobili Torino. Il punto di partenza resta questo”.
Ipotesi da non prendere alla leggera: l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, vede nella Serbia uno dei futuri luoghi di produzione per la casa automobilistica torinese e ad essere sacrificati sarebbero nientemeno che le maestranze e gli stabilimenti di Mirafiori. Bersani, che proprio ai cancelli della fabbrica volle chiudere la campagna elettorale per le regionali 2010, è tra i primi a non starci e a richiamare il governo alle sue responsabilità: “Serve l’immediata convocazione di un tavolo sulla Fiat perché è in atto una dispersione delle risorse industriali del nostro Paese”. Serve un “tavolo” che affronti la vicenda Fiat, indotto compreso, perché l’Italia non può permettersi di affrontare un capitolo così delicato per l’economia del Paese con quattro dichiarazioni e sarebbe anche bene nominare finalmente “uno straccio di ministro dello Sviluppo”. Il segretario del Pd oggi ha parlato ai giornalisti della vicenda Fiat: “Faccio io una domanda: chi è che convoca un tavolo per la Fiat? Non pretendo che sia il ministro ad interim, in tutt’altre faccende affaccendato. Lui è nel… frutteto alle prese con le mele marce!”. Insomma, “chi può convochi un tavolo e comunque lo vogliamo fare uno straccio di ministro dello Sviluppo?. Come sistema Paese – ha aggiunto – non possiamo consentirci che temi di questa rilevanza siano affrontati in dichiarazioni o con scambi di battute. C’è in gioco qualcosa di sostanziale. Non avere aperto un tavolo sulle questioni poste da Fiat e sul tema dell’indotto sta portando alla dispersione di risorse industriali del Paese”.

In serata è lo stesso ministro del Welfare e Lavoro, Maurizio Sacconi, a fare le stesse richieste di Bersani: un tavolo tra le parti. Peccato che lui è da mesi che dovrebbe essersi accorto dell’assenza del ministro dello Sviluppo Economico, da quando Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico, è stato costretto alle dimissioni, l’interim è stato infatti assunto e mantenuto dal premier Silvio Berlusconi, peraltro assente ingiustificato durante le trattative tra Fiat e sindacati dei metalmeccanici a Pomigliano d’Arco.

E Stefano Fassina, che nella segreteria del Partito Democratico è responsabile Economia e Lavoro, vede il governo “inerte. Il premier e il ministro Sacconi assistono passivamente a un comportamento inaccettabile in qualunque altro Paese europeo da parte di un’azienda che pure tanto ha avuto dall’Italia”.

Poi accusa Marchionne: “Ha una strana idea di confronto con i lavoratori: o si accettano i suoi diktat unanimemente ed entusiasticamente, oppure si perde il lavoro. Richiama l’inizio del XX secolo. La scelta di spostare una parte della produzione da Torino alla Serbia appare una ritorsione, più che dettata da esigenze produttive, finalizzata ad acuire le divisioni sindacali e a ribadire una cultura autoritaria nel governo dell’azienda”.

Cesare Damiano ha un dubbio: non è che si è deciso di chiudere Mirafiori? Lo chiede perché “senza manifattura a Torino la sorte sarà segnata anche per direzione strategica, progettazione e ricerca. Per il bene del paese e dei lavoratori è necessario che si apra immediatamente un tavolo di discussione e che il ministro delle Sviluppo economico ad interim, Silvio Berlusconi, faccia la sua parte o nomini, finalmente, un nuovo ministro che si occupi in modo autorevole di questa situazione”. Il capogruppo del Pd nella commissione Lavoro di Montecitorio non aspetta: “E’ ora che il governo intervenga sulla situazione Fiat. E’ intollerabile la scelta di spostare produzioni in Serbia a poche settimane dall’annuncio del ritorno della Panda a Pomigliano. Le scelte strategiche di politica industriale non possono essere uno stop and go a discrezione delle imprese”.

“Quello della Fiat è un annuncio shock, così il paese rischia davvero di finire in pezzi. E mentre va avanti questo profondo e preoccupante cambiamento degli assetti industriali, è sconcertante che la poltrona del ministero dello Sviluppo economico sia ancora vuota. Al di là dell’interim assunto da Berlusconi, noi chiediamo che sia proprio il presidente del Consiglio a venire a riferire alla Camera prima della pausa estiva sui progetti della Fiat e sulle conseguenze per l’intero paese”.

Lo chiede Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni Economiche del Gruppo del PD, il quale sottolinea che “se la Fiat ha deciso di spostare parte della produzione in Serbia, allora bisogna cominciare ad ammettere il fallimento delle politiche industriali e delle relazioni sindacali in Italia”.

Gianfranco Morgando, segretario del Pd Piemonte, si appella alla Fiat perché “presenti delle alternative concrete per quanto riguarda lo stabilimento di Mirafiori. Marchionne dichiara che non ci sono ancora delle proposte precise per quanto riguarda questo stabilimento. E imputa a una scarsa serietà dei sindacati le ragioni di questo cambiamento del piano industriale aziendale. Non va”. Il segretario piemontese evidenzia “la completa assenza del nostro governo per quanto riguarda le politiche del settore auto. A differenza di quello che succede negli altri paesi europei (e nella stessa Serbia dove il governo e’ intervenuto con un cospicuo finanziamento) il governo italiano continua ad essere completamente assente nel campo delle politiche industriali scaricando sui lavoratori i costi e le contraddizioni del mercato globale”. Allora, come si chiede Bersani, nel governo chi convoca il tavolo sulla Fiat?

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