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Abolire l'educazione fisica? I lettori rispondono alla proposta del prof. Ichino

Gli italiani soffrono di una strana forma di schizofrenia: chiedono allo stato di erogare ogni sorta di servizi pubblici, lamentandosi se questi vengono tolti o negati, e al tempo stesso protestano contro un prelievo fiscale asfissiante ma inevitabile se quei servizi li deve fornire la pubblica amministrazione. Se poi, come spesso accade, i servizi richiesti sono forniti in modo inefficiente dal governo, ancor meno si capisce perché gli italiani vogliano a tutti i costi che sia questo, e non il mercato, a fornirli.
Facciamo un esempio concreto. Attualmente gli italiani pagano attraverso le tasse l’insegnamento dell’educazione fisica che i loro figli ricevono a scuola. Nel panorama vacillante dell’istruzione pubblica italiana, la ginnastica è forse uno degli ambiti più disastrati, soprattutto per le condizioni fatiscenti delle palestre e delle attrezzature di cui i nostri edifici scolastici sono dotati. Tanto è vero che, al pomeriggio, gli adolescenti italiani vengono iscritti dai loro genitori a ogni tipo di associazione sportiva privata che possa far fare a loro quell’esercizio fisico essenziale per la crescita, che la scuola pubblica, nella maggior parte dei casi, non è in grado di offrire al mattino. Quindi i genitori italiani pagano due volte per la ginnastica dei loro figli: allo stato al mattino, per un servizio inefficiente, e ai privati al pomeriggio per un servizio di qualità commisurata alle loro preferenze e possibilità.
Gli italiani non sembrano rendersi conto di questo e nemmeno realizzano che quanto essi pagano allo stato per un servizio inadeguato non è poco. Ci sono 33.830 insegnanti di educazione fisica nelle scuole medie inferiori e superiori italiane, la cui retribuzione lorda annua è di circa 29.071 euro (con 15 anni di anzianità). Gli studenti negli stessi ordini di scuola sono 4.218.953. Quindi ci sono circa 125 studenti per ogni insegnante. Se ipoteticamente il ministero dell’Istruzione togliesse la ginnastica dai programmi scolastici mandando a casa gli insegnanti di questa materia, si potrebbero restituire a ogni studente circa 233 euro ogni anno. Con questa somma si possono acquistare nel mercato privato attività sportive di qualità mediamente migliore di quella offerta dalla scuola pubblica e per almeno sei mesi se non di più (ad esempio, sei ore di basket alla settimana più le partite domenicali, inclusa divisa e magliette). Al tempo stesso una buona parte degli insegnanti di educazione fisica lasciati a casa dal ministero (almeno quelli bravi) potrebbe trovare lavoro nel mercato privato, dal momento che aumenterebbe la domanda pomeridiana di educazione fisica e attività sportiva per i giovani adolescenti. Ci sarebbe un problema di transizione e forse alcuni degli insegnanti meno capaci non troverebbero lavoro nel settore privato e avrebbero bisogno di un supporto assistenziale almeno in vista di una riconversione ad altri lavori. Ma se il problema è questo affrontiamolo direttamente con mezzi appropriati, non attraverso la finzione di un servizio pubblico inefficiente e inutilmente costoso per il contribuente.

La maggior parte degli italiani probabilmente reagirebbe con stupore a una proposta di questo tipo, partendo dal presupposto che sia un diritto inalienabile del cittadino ricevere un’educazione fisica adeguata da parte dello stato, e in particolare che tutti i cittadini, anche quelli poveri, debbano poter accedere a questo diritto. Ma se lo stato richiede a ognuno di noi una spesa rilevante per fornire un servizio che in realtà è ben lontano dall’essere adeguato (soprattutto per i poveri che non hanno alternative), non sarebbe meglio chiedere allo stato di farsi da parte rendendoci i soldi, in modo da consentirci di organizzare da soli quanto necessario per produrre il servizio? Del resto, così facciamo per altri servizi non meno importanti dell’educazione fisica: ad esempio, l’istruzione stradale per la guida di motociclette e automobili, attualmente fornita da imprese private a prezzi di mercato. Perché non chiediamo che questo tipo di istruzione venga fornita direttamente dallo stato mediante insegnanti pubblici pagati dalle nostre tasse? Forse perché le implicazioni ideologiche del codice della strada sono meno rilevanti ed è quindi accettabile che l’istruzione stradale venga impartita liberamente da privati? Ma se questo è il motivo, tutto sommato esso varrebbe anche per la ginnastica e forse per altri servizi attualmente pubblici.

Se invece il problema vero fosse quello dell’uguaglianza nell’accesso a beni ritenuti essenziali per tutti, lo si potrebbe risolvere meglio in altri modi, ad esempio tassando i ricchi per sussidiare i poveri con voucher per l’acquisto di quei beni, senza bisogno che sia lo stato a produrli in prima persona.
Non è facile capire in base a quale criterio gli italiani vogliano che alcuni servizi siano rigorosamente pubblici mentre altri possano invece essere acquistati e venduti nel mercato secondo le sue leggi. Ma sarebbe opportuno che gli italiani cominciassero a pensarci, per rendersi conto che forse, in molti casi, converrebbe contrattare con Tremonti un taglio nell’erogazione di qualche servizio pubblico in cambio di riduzioni contestuali e immediate del prelievo fiscale.

di Andrea Ichino dal Sole 24 Ore 25.07.10

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“Ma io la difendo (se cambia)”, di Gigi Garanzini

Immagino che, dopo la lettura dell’articolo in alto, la popolarità del professor Ichino presso gli insegnanti di educazione fisica farà seriamente concorrenza a quella del ministro Brunetta tra gli statali. Scritto in lettere, trentatremilaottocentotrenta è un numero che fa ancora più impressione. E poiché la politica dei tagli nella scuola ha già mietuto abbastanza vittime, vediamo se ci sarebbe un modo di salvare questa benedetta ora di educazione fisica. Rinnovandola. Anzi, stravolgendola.

Così com’è non è soltanto inutile. È persino dannosa, dal punto di vista igienico. Si può anche supporre, senza troppe illusioni, che se l’ora di ginnastica è l’ultima, bambini e ragazzi poi corrano a casa a lavarsi. Ma tornare in classe sudati senza il piacere, anzi il dovere di una doccia è da sempre prima malsano e poi diseducativo.
Perché non provare a farla diventare un’ora di educazione insieme fisica e civica? Anziché traslocare nelle palestre che sappiamo, scolari e studenti restino al loro posto. Ad ascoltare una lezione in cui l’insegnante illustra, per esempio, i principi della ginnastica di base, di quella correttiva, gli esercizi che si possono fare in casa e quelli invece che è bene praticare all’aperto. Poi passa alle discipline sportive vere e proprie. Ne spiega le caratteristiche, si sofferma sulle qualità individuali che occorrono per praticarle, ne dettaglia le regole. Si serve di pubblicazioni, possibilmente di immagini, invita campioni e soprattutto ex-campioni dei vari sport a raccontare le loro esperienze, la loro carriera. Batte, soprattutto, il chiodo sul fatto che uno solo vince e tutti gli altri perdono. E che dunque, contrariamente ai messaggi che arrivano dalla tv e dal marketing, non è tanto a vincere che bisogna imparare, quanto a perdere. Perché questa è la prima, fondamentale lezione che lo sport può dare, propedeutica alla vita.

Va da sé che la lezione ai ragazzi di terza media sarà molto diversa da quella ai bambini di prima elementare. Più si sale con l’età e più l’ora di educazione fisica diventa di educazione civica: il concetto di disciplina, individuale e collettiva, la figura dell’allenatore, le scorciatoie da evitare, gli agguati dei talent-scout, il dramma del doping.
Questa ora pubblica del mattino potrebbe diventare formativa rispetto a quella privata del pomeriggio. E in prospettiva, chissà, creare generazioni di sportivi se non altro più educati e consapevoli: che è una buona base di partenza per essere migliori anche come cittadini.

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La protesta degli insegnati di ginnastica: «Le tesi di Inchino contrastano con le politiche Ue»
Gentile Direttore
Le scrivo per esprimerle lo stupore, ma subito dopo, la profonda indignazione mia personale e di tutti gli insegnanti di educazione fisica per gli articoli di Ichino e Garanzini apparsi sul suo giornale il 25 luglio 2010.
Le tesi e le considerazioni di tali signori, che penso da Lei non condivise, gettano un forte discredito sull’educazione fisica e gli insegnanti, dichiarandone di fatto l’inutilità.
A 150 anni dall’obbligatorietà della disciplina nella scuola italiana, le tesi privatistiche del sig Ichino contrastano fortemente con le politiche dei vari Stati europei e con le ultime raccomandazioni della stessa Comunità europea che sollecita gli stati membri ad estendere tale obbligo agli studenti di tutti gli ordini di scuola (quindi anche primaria ed infanzia) e per un minimo di 3 ore settimanali proprio in considerazione del grande valore educativo, sociale e salutistico della disciplina.
Certo non si può auspicare che chi scrive sappia tutto di tutto, ma sicuramente i cittadini che leggono il vostro giornale hanno il diritto di pretendere che chi vi scrive abbia il dovere di informarsi meglio prima di riempire il loro foglio con parole in libertà!
A meno che il sig Ichino non sia intervenuto quale membro del Comitato Tecnico Scientifico presso il Dipartimento per la Programmazione e la Gestione delle Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali del Ministero della Pubblica Istruzione, con il compito di disegnare il Sistema Nazionale di Valutazione delle Scuole e degli Insegnanti, nel qual caso la proposta disegnerebbe una intenzionalità o una strategia dalle fosche prospettive.
In ogni caso sappia il sig Ichino e quelli che la pensassero come lui, che gli insegnanti di educazione fisica sono si pronti al confronto scientifico e culturale sulla disciplina, ma anche alla iniziativa e alla lotta per mantenere obbligatoria l’educazione fisica nella scuola e nella società italiana.
In attesa di chiarimenti le chiediamo a parziale “riduzione del danno”, la messa a disposizione nel suo giornale di uguale spazio a favore dell’educazione fisica pubblicando le lettere di protesta e proposta degli insegnanti della disciplina.
“Non c’è educazione senza educazione fisica”.
Cordiali saluti
Flavio Cucco
Presidente Capdi & LSM (Confederazione associazioni diplomati Isef e laureati in scienze motorie)

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Il Sole 24 Ore 27.06.10

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