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"Concorsi, facciamo così", di Fulvio Cammarano

Al centro di qualunque riforma universitaria rimane la questione del reclutamento dei ricercatori. Un tema molto delicato perché costituisce non soltanto lo snodo attraverso cui viene garantito il fisiologico ricambio del personale docente. Ma perché rappresenta anche la cartina di tornasole attraverso cui l’opinione pubblica giudica l’università.
Gli scandali e i polveroni che regolarmente vengono sollevati sul funzionamento degli atenei italiani sono incentrati soprattutto su chi e sul come si “entra” nel circuito accademico.
La recente riforma dei concorsi ha introdotto un elemento di casualità nella composizione delle commissioni che, attraverso il sorteggio dei commissari, impedisce la vittoria del “predestinato” ma non sembra sufficiente a risolvere il problema della selezione del migliore tra i candidati. Come mai? Perché un concorso continua ad essere considerato il luogo del “colpo di mano”, della scelta deresponsabilizzata: nello stesso istante in cui la commissione indica il nome del vincitore, se non ha commesso errori formali, comincia a lavarsene le mani poiché la “pratica” passa al pubblico erario.
E chi s’è visto s’è visto! Allora perché non introdurre la responsabilizzazione delle sedi che chiedono i posti? Basta far cadere sul dipartimento che bandisce l’onere di scegliere tra i candidati che hanno fatto domanda e già in possesso di una idoneità nazionale ottenuta in appositi concorsi senza posti. La vera novità consiste però nella trasformazione degli stessi commissari responsabili del reclutamento in un comitato tutoriale. Da quel momento l’attività del neo-assunto sarà monitorata, attraverso parametri predefiniti per aree scientifiche, per un congruo numero di anni e diventerà occasione di “guadagno” o di perdita in termini di fondi per la ricerca, oltre che per l’interessato anche per chi l’ha selezionato. Non solo, quindi, per il dipartimento nel suo complesso ma anche, e qui sta la novità, per i singoli membri che lo hanno scelto. Si tratta dunque di far leva sull’interesse dei reclutatori. Ancora oggi i concorsi sono affidati esclusivamente al senso civico e allo spirito di responsabilità dei commissari, che dovrebbero scegliere sulla base di un’etica neutralità. Ma si tratta di un appello astratto: per chi bandisce quello che conta è “chiamare” una determinata persona indipendentemente dal suo livello di preparazione e l’operazione può andare in porto solo grazie alla “complicità” degli altri commissari, amici o colleghi “disinteressati” per l’occasione. La natura profonda che regola le logiche dei concorsi ha dunque a che fare più con l’antropologia che con le tecniche dell’organizzazione. Per interrompere questa spirale è necessario mettere in campo un interesse alternativo che funga da motore di comportamento virtuoso: il vantaggio economico prolungato nel tempo per i reclutatori in caso di buona selezione. Come minimo tale prospettiva di g u a d a g n o rappresenta un concreto segnale che riduce la compiacenza indifferente nel sostenere il candidato locale: non si può chiedere un appoggio a qualcuno se tale appoggio rischia di diventare oneroso per chi lo fornisce.
Quello che conta è che il sistema assuma un numero sempre maggiore di bravi studiosi, e pazienza se tale comportamento virtuoso sarà dettato dall’interesse.

Da Europa quotidiano 29.07.10

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“Una scossa all’università”, di Tiziano Treu

Si è detto, cogliendo uno stato d’animo diffuso, che il mondo accademico attende più per disperazione che per convinzione l’approvazione di una legge di riforma seria che rimetta finalmente in moto la vita universitaria. Il disegno di legge in discussione al senato è molto contrastato e ha molti difetti; ma ha anche buone probabilità di essere approvato, e di rappresentare “una scossa” per un sistema indubbiamente stagnante.
Alcune linee direttive sono importanti, e in parte riprendono indicazioni da tempo elaborate anche dal centrosinistra.
Una di queste, forse la più importante, riguarda i sistemi di valutazione.
Neppure la valutazione ha valore taumaturgico, ma è un requisito essenziale per attivare un processo di responsabilizzazione del sistema e di valorizzazione effettiva sia dei meriti dei docenti sia della qualità della ricerca e dell’insegnamento presenti nelle varie unità universitarie.
L’efficacia della valutazione dipenderà dall’autorevolezza delle persone e delle istituzioni che la svolgono, comprese le risorse impiegate. Tutte le esperienze non solo italiane lo confermano; ultimo il caso della commissione di valutazione sulla efficienza e sulla trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
Il punto critico di questa direttiva, come di tutta la legge riguarda il capitolo risorse. I tagli introdotti nei vari capitoli vanno ben oltre la riduzione degli sprechi da tempo denunciati (ad esempio la dispersione dei corsi di laurea e delle sedi universitarie).
Comportano un complessivo de-finanziamento dell’intero sistema, che contraddice l’impianto della legge, anche nelle parti virtuose come appunto la valorizzazione di meriti e qualità (sia di docenti sia di studenti).
Gli sprechi e le “colpe” passate hanno alimentato le resistenze a investire nell’università; Boeri ci ricorda che la quota della spesa universitaria nel bilancio dello Stato è diminuita di quasi il 17per cento dai livelli precrisi.
Ma una riforma condotta all’insegna della responsabilizzazione deve saper vincere queste resistenze e rompere il blocco finanziario. Questo blocco affligge tutta la politica di questo governo (come si vede dalla recente manovra finanziaria) e ci allontana dalla possibilità di riprendere il cammino dello sviluppo.
Ci allontana ulteriormente dalle posizioni dei paesi vicini, con cui il confronto è già da tempo impari. Basta considerare le scelte di Francia e Germania, che pur condizionate dalla crisi economica, hanno destinato risorse consistenti al rafforzamento delle loro strutture universitarie di ricerca, a cominciare da quelle di eccellenza. Per rendere credibile questa ed altre scelte della legge è necessario rompere il blocco finanziario e attirare investimenti aggiuntivi, tali da avvicinarci agli standard europei, concentrando le risorse sugli atenei e sugli studenti con valutazioni migliori.
Un altro punto critico del ddl, e di tutta la storia recente, riguarda il reclutamento dei docenti. È importante superare il sistema dei concorsi ora gravemente degradato e passare a una abilitazione nazionale con possibilità di scelta degli idonei da parte delle università. Si tratterà di attivare un controllo rigoroso da parte degli organismi di valutazione per evitare il degrado del nuovo meccanismo.
Così pure sarà importante curare la transizione dal vecchio al nuovo sistema, evitando che diventi l’occasione per scorciatoie e promozioni ope legis. Le riserve di posti sono protettive di chi già opera nelle università.
I nuovi posti che si apriranno per i giovani nei prossimi anni non sono molti, data la scarsità delle risorse. La proposta del Pd di abbassare a 65 anni l’età di pensionamento dei professori mira ad allargare le prospettive per i giovani, anche se occorrerà vigilare che i risparmi conseguenti non finiscano nel calderone del debito generale degli atenei.
Il reclutamento dei ricercatori si ispira ai modelli anglosassoni del tenure- track. Questa scelta è in sé innovativa, ma la sua concreta operatività dipende dalla programmazione dei futuri organici e quindi dalla effettiva disponibilità dei posti alla fine del track. Un punto gravemente contradditorio del ddl riguarda l’autonomia delle università. Nonostante le affermazioni in contrario, e i miglioramenti introdotti in commissione, il testo contiene troppe regole di dettaglio che riducono grandemente l’autonomia su aspetti fondamentali dell’organizzazione e del funzionamento dell’università.
È una delle tante contraddizioni di questo governo, autonomista a parole, centralista nei fatti. Si tratta di vedere se e come i nostri atenei useranno gli spazi di sperimentazione previsti nel disegno di legge.
C’è da augurarsi che l’iter parlamentare sia all’altezza dell’importanza del tema, come è stato in commissione, anche se è difficile essere ottimisti sull’esito specie sul punto essenziale del finanziamento.

Da Europa Quotidiano 29.07.10