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Veneto. Persi 100 mila posti di lavoro «Settembre, riaperture a rischio», di Silvia Maria Dubois

L’incubo non finisce. Lavoratori esperti e mortificati continuano a rimanere a casa, ragazzi scoraggiati girano come trottole a consegnare curricula inutili o a frugare speranze in internet. Ma, per ora, nuovi posti di lavoro non ce ne sono. E non ce ne saranno nemmeno per l’anno prossimo, a meno che non ci si adatti a diventare manodopera «low cost», con impieghi a intermittenza, contratti tanto agili quanto fragili, o si prendano in considerazione posti per categorie al top del ribasso come apprendisti o soggetti con agevolazioni economiche per l’azienda.

I dati diffusi ieri da Veneto Lavoro parlano chiaro: la crisi qui ha mietuto quasi 100mila posti di lavoro nell’ultimo biennio, colpendo per primo il settore manufatturiero, e poi estendendosi anche ad altri settori, come il commercio.

«Tra il 1. luglio 2008, periodo in cui è iniziata la crisi, e il 30 giugno 2009, la contrazione occupazionale in Veneto era risultata pari a circa 53 mila unità – spiega Sergio Rosato, direttore dell’agenzia Veneto Lavoro -, mentre dal 1. luglio 2009 al 30 giugno 2010 si sono persi altri 41 mila posti di lavoro. Tendenza che, in proiezione, si stima possa perdurare almeno per un altro anno, anche perché in autunno arriverà a scadenza un numero consistente di casse integrazione straordinarie, che interessano il numero più elevato di lavoratori coinvolti: bisognerà capire se è possibile la proroga, oppure se una parte di loro finirà come disoccupata sul mercato del lavoro».

In aumento gli annunci di crisi aziendali, come pure le ore di cassa integrazione: 30 milioni contro 18 dell’anno scorso (quelle della straordinaria salite da 2 a 21 milioni e quelle dell’ordinaria dimezzate da 12 a 6 milioni) con circa 500 aziende coinvolte. Dati che allarmano: «Il miracolo Nord Est non tornerà mai più – spiega Franca Porto, segretaria regionale Cisl -: mettiamoci bene in testa che la ripresa sarà lenta e quando finirà non ci darà chissà quale botta di rinascita. No, ne usciremo tutti ridimensionati, dovremo abituarci ad abbassare il tenore di vita. Questa non è una crisi che poi redistribuisce ricchezza: non succederà perché il mondo è cambiato, altri producono al posto nostro».

E ancora: «Noi siamo sempre accusati di fare allarmismo, ma qui tutti i dati sembrano darci ragione e aumentano le nostre preoccupazioni – aggiunge Emilio Viafora, segretario Cgil – la ripresa, infatti, lievemente testimoniata dall’export, avviene distruggendo occupazione o non portando fatturato, come nel caso della crescita del turismo. Cosa ci aspetta in autunno? Nulla di buono, la situazione è sotto gli occhi di tutti. Ci saranno aziende che continueranno a chiudere, soprattutto quelle piccole e medie dai 5 ai 200 dipendenti: stiamo tenendo d’occhio molte di loro che ora stanno allungando il periodo di chiusura estiva da una settimana a due o anche tre. Preludio di qualcosa che temiamo».

La domanda resta sostenuta, ma si orienta verso la massima convenienza: «Si registrano fra le 150 mila e le 160 mila assunzioni a semestre – spiega Rosato -, prevalentemente rivolte a lavoratori che si portano dietro incentivi o che costano meno, come gli apprendisti. Straordinaria performance dei contratti a intermittenza: nel secondo trimestre 2010 ne sono stati firmati 17 mila. Mentre nello stesso periodo 2009 erano meno di 12 mila».

Elemento di forte preoccupazione per la Cgil, che teme «l’ingrossamento di un esercito che entra ed esce dal mondo del lavoro senza stabilità e diritti», mentre per la Cisl è «uno strumento che le aziende usano proprio per tenere la gente in un momento di crisi».

Variata anche la composizione di chi ha perso il lavoro: inizialmente erano prevalentemente uomini ( 70%) e stranieri (30%), poi scesi (rispettivamente al 60% e al 10%), mentre il tasso di disoccupazione nel primo trimestre del 2010 è arrivato al 5,6%. Dalla Lega Nord, infine, si esprime cordoglio per il disoccupato suicidatosi nel Trevigiano.

Il Corriere Veneto 29.07.10