attualità, politica italiana

"Le anime morte", di Massimo Giannini

È finita. Il vascello fantasma del governo Berlusconi (come lo aveva definito Ezio Mauro meno di un mese fa) naviga ormai alla deriva. Senza un nocchiero, senza una rotta, senza una meta. Neanche più in balia di se stesso, ma piuttosto di una «Cosa» che non ha ancora un nome e un colore, ma che in Parlamento già esiste, e già cambia la geografia politica del Paese. Questo dice il voto della Camera sulla mozione di sfiducia contro il sottosegretario Caliendo: la maggioranza di centrodestra che aveva stravinto le elezioni due anni e mezzo fa non solo non esiste più politicamente, com´era ormai evidente già da qualche mese.
Ma ora ha cessato di esistere anche aritmeticamente. Quella che fu l´Invincibile Armata berlusconiana, amputata della componente finiana e ridimensionata nel perimetro forzaleghista, non ha più i numeri per governare.
Berlusconi può anche sdrammatizzare, accusando il presidente della Camera e ripetendo che il governo non si manda a casa per una questione che non riguarda il programma. Bossi può anche tirare a campare, dicendo «resistiamo» e ripetendo il rozzo esorcismo del «dito medio» alzato di fronte ai cronisti. Ma da ieri, in Parlamento, la somma dei voti delle opposizioni e dei gruppi di Futuro e Libertà, Udc, Api e Mpa è superiore alla somma dei voti di Pdl e Lega. E non di poco, visto che a Montecitorio, nello scrutinio sulla sfiducia al suo sottosegretario, il governo si è piantato a quota 299 contrari (dunque ben 17 voti sotto al quorum) contro i 304 tra favorevoli e astenuti.
Questo è il primo elemento di valutazione politica, più generale: il voto di ieri segna il destino della legislatura. Com´era chiaro fin dalla scorsa settimana, la rottura con Fini e con i finiani non era e non è solo l´alzata di capo di un leader in cerca di più potere e l´ammutinamento velleitario di un drappello di colonnelli in cerca di più visibilità. Era ed è invece da un lato la fine di una costruzione ideologica (il Pdl) totalmente imperniata intorno alla biografia e alla mitologia berlusconiana, e dall´altro lato l´inizio di una formazione politica (il gruppo FeL) fortemente impegnata nell´alternativa di una destra moderata e moderna, costituzionale e legalitaria, repubblicana ed europea. Tutto ciò che la destra berlusconiana non è mai stata e non sarà mai, immersa com´è nella venerazione acritica del Capo, nell´adorazione populistica delle sue gesta, nella difesa parossistica dei suoi affari.
È bastato che il presidente della Camera parlasse di una «questione morale» esplosa dentro il Popolo delle Libertà, che chiedesse una serie di doverosi passi indietro su posizioni eticamente indifendibili (da Brancher allo stesso Caliendo), che invocasse una forza conservatrice sì, ma nel solco delle famiglie del popolarismo occidentale, cioè autenticamente capace di incarnare gli interessi nazionali della collettività, e non più solo quelli personali di una casta. È bastato tutto questo, in pochi giorni, per allargare le colonne d´Ercole tra il vascello fantasma del Cavaliere e del Senatur e la leggera ma promettente imbarcazione di Fini. E soprattutto per allargare uno spazio politico assai vasto, nella solita «terra incognita» del centro. Da Fini a Casini, da Rutelli a Lombardo, e domani chissà, da Montezemolo ai pentiti della ex Margherita. Non sappiamo se e quanto questo spazio sia effettivamente agibile, in termini di consensi attuali e potenziali, nell´Italia di oggi. Anzi, tenderemmo a pensare che i margini, almeno sotto il profilo elettorale, siano piuttosto ristretti, visto che il Paese, in questi anni di pur tormentata transizione, ha dimostrato di aver acquisito comunque una consolidata cultura del bipolarismo.
Ma quello che sappiamo è che da ieri, almeno in Parlamento, questa Terza Forza esiste a tutti gli effetti. Agisce e reagisce al di fuori del perimetro segnato dal bipartitismo. Pensa in maniera convergente e pesa in misura determinante, su tutto ciò che passa al vaglio delle assemblee legislative. Qui sta il cambio di fase: da oggi, per Berlusconi e quindi per l´intera politica italiana, governare è ogni giorno la traversata di un oceano in tempesta. E ogni giorno puoi andare a fondo, se non tratti ma vuoi solo comandare, se non fai politica ma solo propaganda. Ecco perché, comunque vada, da oggi si può considerare esaurito anche questo ciclo berlusconiano. Il suo propulsore ne é stato, ancora una volta, il distruttore. La regressione autoritaria e la vocazione proprietaria del premier hanno finito per assorbire, fino ad esaurirla, l´intera spinta iniziale e inerziale di questa sedicente «Nuova Destra». Che ora, per paradosso, rischia di morire sotto i colpi di un ipotetico «Nuovo Centro». Saprà anche di Prima Repubblica, come ribadisce con spregio lo stesso Cavaliere, dimenticando che proprio al «Caf» di Craxi-Andreotti-Forlani deve tutte le sue fortune. E sarà anche «piccolo», come ripetono i suoi nemici dalla spaurita ridotta azzurro-verde. Ma ieri ha dimostrato di essere grande quanto basta per cambiare, qui ed ora, il corso della storia.
Ma c´è anche un secondo elemento di valutazione politica che va colto nel voto di ieri, e che riguarda il tema più specifico, ma non meno importante, della legalità. Il modo in cui il Pdl e la falange berlusconiana hanno continuato a difendere in aula e fuori dall´aula il sottosegretario Caliendo è semplicemente vergognoso. Solo un potere disperato e dissennato può esprimere un tale livello di inciviltà politica e di insensibilità istituzionale, facendo quadrato su un uomo di governo implicato in un´inchiesta in cui si parla di «reti criminali» che hanno come obiettivo quello di condizionare le scelte di giudici e magistrati su questioni «sensibili» per il presidente del Consiglio (sentenza della Consulta sul Lodo Alfano) o per alti esponenti della maggioranza (sentenze del Tar sulle liste elettorali in Lombardia). Solo un incauto replicante del premier come il Guardasigilli Alfano può spacciare l´opportunismo clanico per «garantismo giuridico», e ri-raccontare l´opera buffa della P3 come «un´invenzione di certi pm e di certa sinistra», e non invece come la tragica replica di un sistema di potere fondato sulla corruzione e sull´infiltrazione degli amici, sul ricatto e sulla distruzione dei nemici. E infine solo un voltagabbana irresponsabile come Cicchitto, invece di fare qualche onesto mea culpa individuale e collettivo, può attaccare in aula, e per l´ennesima volta, questo giornale e il suo editore. Ha parlato di «rito tribale che si rinnova una volta al mese», con il quale ogni volta si deve «immolare una persona al giustizialismo». Responsabile di questa deriva sarebbero «Repubblica e Carlo De Benedetti, che ha ferocia ma non ha carisma personale».
Ad un politico squalificato come Cicchitto, transitato dalla nobile sinistra lombardiana all´assai meno nobile destra berlusconiana, non si dovrebbe mai rispondere. Ma poiché l´attacco è avvenuto in Parlamento, a questo «onorevole» vanno ricordate due cose. La prima è che “Repubblica”, sullo scandalo dell´eolico, sul ruolo di Cesare e sul coinvolgimento di Caliendo, non ha costruito teoremi, ma si è limitata a pubblicare le intercettazioni pubbliche dell´inchiesta e a raccontare gli atti ufficiali delle procure. La seconda é che un qualche «deficit» di «carisma personale» lo ha avuto Cicchitto, visto che per acquisirne un po´ lo andò ad elemosinare direttamente da Licio Gelli, con tanto di cerimonia di iniziazione e poi di tessera di iscrizione alla vecchia Loggia P2, in tutta evidenza «modello di riferimento» anche della giovane P3.
Ma in fondo, al punto in cui siamo arrivati e nel gorgo in cui sta affondando la maggioranza, questi sono aspetti ormai quasi marginali. Resta il dato politico, gravissimo, di un Paese a un passo dalla crisi, e di un governo che non si rassegna a prenderne atto. Senza politica, senza aritmetica. Vagano per lo Stige. «Anime morte», avrebbe detto Gogol. Ma in questa deriva l´Italia non può e non deve finire.

La Repubblica 05.08.10

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“Il fragile fronteastensionista e l’assenza di maggioranze”, di Marcello Sorgi

Si può leggere la giornata di ieri alla Camera a partire dai numeri, che rivelano l’avvitamento di una legislatura in cui non c’è più una maggioranza: non ce l’ha (non ce l’ha più) Berlusconi, ma non ce l’hanno neppure i terzopolisti Fini, Casini e Rutelli che si sono astenuti, e men che mai l’opposizione. Il fatto che anche la somma delle astensioni e dei voti del centrosinistra produce solo un’ennesima minoranza la dice lunga sulla possibilità di costruire un altro governo, anche a partire da un accordo minimo su uno o due punti, come ad esempio la legge elettorale e il federalismo.
No, i numeri non ci sono, e Berlusconi malgrado tutto resta arbitro della situazione. Nelle condizioni in cui si trova, il suo governo però è paralizzato: la realizzazione del programma resta per aria e sul medio periodo l’insoddisfazione della Lega per la paralisi dell’esecutivo è sicura, perché finiani e Udc non consentiranno di completare l’iter della riforma federale. Inoltre, senza federalismo, non è detto che Bossi sia proprio felice di aiutare Berlusconi a ottenere le elezioni anticipate, che il premier vorrebbe per cavarsi dall’impaccio e regolare definitivamente i conti con il presidente della Camera e i suoi seguaci.
Prima di far calare il sipario sulla legislatura, il Senatur farebbe sicuramente un minimo di verifica con Fini e Casini. E a sorpresa potrebbe trovarli molto più disponibili del previsto, a patto di ricostruire un patto di governo basato sulle ragioni di tutti. Questa è appunto la novità che traspare dal dibattito di ieri: partiti per disarcionare il Cavaliere, i finiani hanno cominciato a rendersi conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e soprattutto che quando parla di esecutivo di responsabilità nazionale, Casini ha una strategia diversa dalla loro e contraria alle elezioni. In altre parole: a nessun costo il leader dell’Udc si presterebbe a sostituire i finiani nell’attuale governo, e tuttavia ritiene che l’indebolimento di Berlusconi possa creare le condizioni per una rinegoziazione generale, di un nuovo esecutivo e una nuova maggioranza, senza pregiudizi sul fatto che Berlusconi possa succedere a sé stesso.
Prima di capire se questa prospettiva possa interessare al Cavaliere, convincendolo a rinunciare al ricorso alle urne, che al momento rimane la sua prima chance, questa diversità di vedute può servire a capire quanto fragile sia l’accordo tra i leader dello schieramento astensionista emerso ieri alla Camera. E’ anche questo un dato che dovrebbe far riflettere Berlusconi, nel suo agosto operoso.

La Stampa 05.08.10