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"Tre punti fermi sulla crisi", di Stefano Menichini

Nessuno sa come andrà a finire la crisi, e se può consolare (o meglio aggravare le preoccupazioni) non lo sanno neanche i più diretti protagonisti. La giornata drammatica di ieri ha fissato con precisione le posizioni, dando ragione a Dario Franceschini che aveva insistito per un dibattito parlamentare sul caso Caliendo: lungi dall’aver sortito l’effetto di ricompattare la maggioranza, lo scontro sulla mozione di sfiducia ha reso evidente, clamoroso e soprattutto formale lo squagliamento del centrodestra.
Con i 299 voti che hanno salvato il sottosegretario, la maggioranza che era schiacciante solo due anni fa non porterà più a casa neanche una leggina.
La terza legislatura di Berlusconi è finita ieri. Napolitano se ne terrà informato dalle rocce nere di Stromboli.
Senza fretta.
L’addio fra i due pezzi del Pdl si è consumato in un clima da stadio che anticipa solo di pochi mesi le urla della campagna elettorale. Certo Franceschini ha fatto un bel discorso, l’unico momento alto della giornata è stato però l’intervento di Chiara Moroni: non solo un pezzo di storia nobile del berlusconismo che si libera e se ne va (non sarà l’ultimo), ma le parole più oneste e accorate che si siano ascoltate sulla differenza fra garantismo e giustificazionismo.
La discussione ha soprattutto mostrato due approcci molto diversi alla crisi. Berlusconiani e leghisti ruggiscono, promettono vendette elettorali e cercano nei complotti mediatici la spiegazione del crollo. Sembrano non avere alcuna flessibilità di reazione alla tegola che è caduta loro in testa e procedono come seguendo un percorso obbligato. Viceversa, i loro ex compagni di ventura del Fli e dell’Udc hanno tirato fuori una linea politica, si sono dati un obiettivo e si muovono con i tempi e i modi che ritengono più opportuni: Berlusconi cercherà di bruciare loro il terreno, ma Fini e Casini hanno una prospettiva di periodo.
Lui no.
A questo proposito, e ferma restando una grande incertezza, c’è da dire che in questi giorni capita di leggere e di ascoltare autentiche assurdità intorno agli scenari politici. Ne abbiamo selezionato solo tre.
Assurdità numero uno: si può ancora raggiungere un accordo fra Berlusconi e il nuovo quadrilatero dei moderati, per impostare in modo diverso il resto della legislatura.
A parte il Foglio, che di questa storia della pace tra Fini e Berlusconi ha fatto la propria ennesima irragionevole ragione di vita, gli altri che discettano e scrivono intorno a questo scenario dimostrano di non aver capito nulla di quanto sta accadendo.
In questo momento non esiste per il Cavaliere un avversario che sia più letale dei suoi due ex alleati. Per un motivo ovvio: da quando, in tempi diversi, hanno rinunciato alla carriera di ereditieri, Fini e Casini stanno lavorando per prendersi con le cattive ciò che non gli è stato concesso con le buone. In sostanza hanno cominciato – Berlusconi regnante – a costruire il centrodestra senza Berlusconi. Che per forza di cose è un centrodestra “contro” Berlusconi.
Non è per particolari virtù, che l’Udc ha resistito alle sirene berlusconiane che l’hanno invece convinta in tante regioni d’Italia, ma perché il presidente del consiglio è l’ultima persona sulla terra alla quale Casini offrirà un aiuto sincero. Di Fini neanche a dire.
L’assurdità numero due è speculare alla prima: la neonata area moderata può essere la tanto attesa seconda gamba del nuovo centrosinistra, l’alleato col quale il Pd costruirà la propria rivincita.
Vale il discorso fatto prima. Fini, Casini, forse anche Rutelli e Lombardo, non stanno lì per fare favori ad altri. Il loro orizzonte è casomai un nuovo centrodestra, non un nuovo centrosinistra. E fino ad adesso è stato il Pd a essere funzionale al loro gioco, non il contrario. Invece di perdere tempo intorno ai nomi di un ipotetico governo di transizione, i democratici farebbero bene a prepararsi a uno scontro elettorale nel quale avranno più competitori di prima, non di meno. Alcuni di questi competitori proporranno agli elettori di uscire da questi sedici anni rompendo col berlusconismo ma non con i valori del moderatismo e della destra: possono anche riuscire più convincenti di un Pd tornato un “normale” (quindi minoritario) partito di sinistra.
Assurdità numero tre: Berlusconi ci porta a votare e vince a mani basse.
Che Berlusconi possa vincere è ovviamente possibile, anche se in queste condizioni sarebbe clamoroso.
Che possa vincere a mani basse si può escluderlo fin d’ora: chi lo dice e lo scrive o è un suo succube, oppure è oppresso da uno sconfittismo inguaribile.
Questa valutazione nasce proprio dalla legge elettorale che Berlusconi difenderà a tutti i costi: il Porcellum riserva infatti al senato quel meccanismo infernale del premio di maggioranza regionale che, col centrodestra diviso in due, di fatto rende fin d’ora impossibile per Berlusconi vincere palazzo Madama.
Considerazione che, oltre a ridimensionare assai tutte le minacce di voto anticipato (che infatti Bossi ieri sera smentiva), riporta in primo piano il tema del cambiamento della legge elettorale. Ma per pensare a questo c’è tempo. Almeno tutto agosto.

Da Europa Quotidiano 05.08.10