economia, lavoro

"Dietro il boom lo spettro disoccupazione lunga", di Marco Alfieri

Jobless recovery la chiamano gli economisti. Ripresa senza occupazione. L’ultima cartolina arriva dalla Camera di Commercio di Varese, una delle grandi province manifatturiere d’Italia: nel secondo trimestre l’economia locale ha ripreso la marcia produttiva (+3,1% sul 2009) ma senza muovere il mercato del lavoro. Anzi, il saldo negativo atteso tra ingressi/espulsioni è salito a 4 mila addetti. È il picco più alto da quando Unioncamere produce le Indagini congiunturali. Nel 2009, tra fallimenti e crisi aziendali, nel Varesotto sono rimaste a spasso più di 7.500 persone e solo il 15% delle imprese mette in conto nuove assunzioni entro l’anno.
Varese è solo l’ultima stazione di una lunga spoon river laburista rimasta nascosta dal fumo statistico di una ripartenza economica a lungo attesa. Nelle province gemelle per struttura industriale, da Vicenza a Treviso, da Bergamo a Brescia passando per Torino, Reggio Emilia e Bologna, il mantra è identico: ripresa su ordinativi, export e fatturato ma calma piatta sull’occupazione. Dopo il lungo inverno recessivo la svolta non si trasferisce sul mercato del lavoro. Per Franca Porto della Cisl Veneto siamo davanti ad una «disoccupazione di lungo periodo». Un mostro «sconosciuto» per un territorio che ha tirato per 30 anni senza sosta. Vecchie certezze aggredite da una realtà infuocata. Secondo le stime di Veneto Lavoro nell’ultimo anno sono aumentati del 20% gli addetti incapaci di rioccuparsi nell’arco di 6 mesi, la boa tipica in cui chi veniva espulso dal circuito rientrava in gioco. Per Bankitalia nel 2009 la disoccupazione veneta è salita dal 3,5 frizionale al 4,8% e rimbalzerà nel 2010 (già persi 80mila posti di lavoro), causa una platea industriale piena di macerie: quasi 1400 procedure di crisi aziendali aperte per 35mila addetti a rischio.
In Lombardia la disoccupazione «è schizzata al 6,4% e salirà oltre l’8% entro dicembre, perché dei 100 mila in cassa integrazione straordinaria molti perderanno il posto», calcolano dalla Cgil. Nei primi tre mesi dell’anno nella provincia di Milano hanno chiuso 1.686 aziende artigiane, portandosi dietro un -17,8% di assunzioni nell’edilizia, servizi e manifatturiero.
Non bastasse, in Italia a luglio la cassa straordinaria ha doppiato quella ordinaria (52 milioni di ore contro 27), colpendo impieghi finora stabili in imprese tradizionali, età elevata e scolarità bassa. Per una moria nazionale di occupati che nella crisi si è bruciata 800 mila posti di lavoro. Rispetto alla prima fase recessiva in cui la contrazione è passata dalla diminuzione delle assunzioni e delle proroghe di lavoro temporaneo, specie nella meccanica e le costruzioni, questa fase di jobless recovery è meno selettiva né la cig può continuare all’infinito a fare da materasso, se è vero che gli interventi a sostegno di cassintegrati e disoccupati sul biennio valgono 21-22 miliardi di euro. Tanto più in un frangente in cui la crisi atterra nel bel mezzo di un processo di selezione delle nostre imprese. Molte di quelle comprese tra i 20-50 addetti stavano ristrutturandosi, introducendo innovazioni di prodotto e di processo, ripensando la governance, accrescendo e diversificando la proiezione sui mercati esteri. Stavano insomma uscendo dai vecchi distretti con cui si facevano economie di scala per la domanda interna. Per questo se i dati Istat sono positivi, attenzione a separare i numeri della ripresa dal mercato del lavoro. Lorenzo Bini Smaghi ieri lo ha ripetuto: «l’export da solo non basta per crescere e assicurare una riduzione della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ci vogliono investimenti e una ripresa dei consumi».
Proprio l’occupazione under 35, insieme alla scarsa produttività del nostre imprese, resta la vera piaga, come dimostra un’analisi di Datagiovani, il braccio statistico del Local Area network di Padova. «L’esame dei flussi 2009 – spiega il direttore Luca Romano – mostra come 2 disoccupati su 10 siano proprio ragazzi che nel 2008 lavoravano (216 mila su 1 milione 74 mila)». Per una disoccupazione verde che è quasi doppia a quella totale e con pericolose e inedite impennate sopra il Po (9,1% in Lombardia e quasi il 12% in Piemonte

La Stampa 07.08.10