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Finocchiaro: «Un patto per la Repubblica», di Concita De Gregorio

Lo stallo. La palude. Anna Finocchiaro vede il rischio di un pantano politico da cui più passa il tempo più sarà difficile uscire, più passa il tempo più grande sarà il senso di scoramento dei cittadini esausti. Da qui parte la rotta che prova a tracciare, e che tocca tutti i nodi sul tappeto. Il voto e il governo tecnico, le alleanze, Fini e Nichi Vendola, il Terzo polo, la sinistra, le primarie. La disillusione degli elettori, prima di tutto.
«Cominciamo da questo. Sento forte il pericolo che anche nel nostro popolo si diffonda lo smarrimento. Vorrei dire con molta chiarezza: non siamo nelle condizioni di nutrire scoramento né smarrimento. Siamo a una svolta che porta buone notizie. Si chiude oggi, più rapidamente del previsto, una fase della vita politica segnata da un attacco senza precedenti alle forme del vivere democratico. Illegalità, furberie, pratiche illecite come sistema: è questo che entra in crisi. Immondizia da spazzare via».

Con il voto? Il Pd è pronto al voto o lo teme?
«Un partito è pronto alle elezioni per definizione. Abbiamo un segretario eletto da poco con milioni di voti, 320 fra deputati e senatori, migliaia e migliaia di quadri e amministratori. Un popolo che è pronto a mobilitarsi solo che lo si chiami. Sul terreno delle alleanze abbiamo una crisi di abbondanza: siamo il secondo partito del paese, il primo di opposizione. Poi, aggiungo però: vogliamo andare a votare con una legge elettorale che priva i cittadini della possibilità di scegliere gli eletti? Io dico di no. Fare una nuova legge elettorale è una responsabilità da assumersi di fronte al Paese, non una scusa per evitare il voto».

Dunque serve un governo di servizio che faccia la riforma elettorale, lei dice.
«Sarebbe opportuno, sì, ma non è questione che stia nelle nostre mani. La scelta è nelle mani del presidente della Repubblica, sempre che si verifichino alcune condizioni. Per prima cosa Berlusconi si deve dimettere. Il premier agirà come ha sempre fatto: per il suo interesse. Gli conviene avere un parlamento fatto di signorsì, la democrazia non lo interessa, direi che sovente lo infastidisce. Se dovesse temere un logoramento, visto lo stato, potrebbe rimettere il mandato. A quel punto toccherà al presidente della Repubblica agire con il senso di responsabilità che ha esercitato in questi anni. Certo una delle questioni centrali per sbloccare la perdita di rappresentanza nel rapporto fra elettori ed eletti è proprio la legge elettorale. Se si dovesse andare ad un ‘governo del presidente’, io preferisco chiamarlo così, l’opposizione dovrà decidere se sostenerlo».

Crede davvero che la Lega voglia una nuova legge elettorale? Sono molti coloro ai quali conviene tenere questa.
«Non all’Italia. La Lega vuole un sistema dove i cittadini chiedano conto direttamente agli amministratori. Questo deve valere oltre che a livello locale anche sul piano nazionale, se c’è coerenza. Bossi pure farà quello che gli conviene. Vuole ottenere il federalismo fiscale, ha sopportato nell’attesa l’oltraggio di sostenere il governo degli affari di quella che chiamava la Roma ladrona. Anche i suoi elettori posso perdere la pazienza».

Torniamo al governo del presidente. Si parla di Tremonti. Non crede che se il Pd lo appoggiasse potrebbe alienarsi una quota del suo elettorato?
«La discussione sui nomi è surreale. L’incarico lo dà il presidente della Repubblica. Un governo tecnico ha un mandato circoscritto: non deve governare, deve fare una cosa. Sarebbe difficile anche per me dal punto di vista simbolico e politico accettare un eventuale governo che non segni discontinuità col passato, ma bisognerebbe per una volta non pensare alle convenienze di partito: dovremmo pensare a quel che serve per voltare pagina. Misurerei le scelte non sulla cabala dei nomi ma sulle esigenze dell’Italia».

Quale legge elettorale, eventualmente? Lei crede che la Triplice, l’alleanza tra Fini Casini e Rutelli, segni la fine del bipolarismo?
«Lo si vedrà col tempo. E’, questo, un centro dove Casini sta nel solco della tradizione, Rutelli si approssima all’Udc. Fini è piuttosto l’uomo di quella destra liberale che l’Italia non aveva. Prima di pensare al numero di poli chiederei piuttosto, subito, un’alleanza per la Repubblica. Chiamiamo forte all’appello tutti coloro che sono fedeli ai principi della Costituzione. Prendiamo noi l’iniziativa. Sulla libertà di stampa, sul diritto di sciopero, sulla difesa delle istituzioni e della magistratura: abbiamo scherzato? Se è questo che vogliamo difendere allora vediamo chi è disposto a dire: chiunque vinca questi principi non si toccano».

Potrebbe essere un elenco che va da Fini a Beppe Grillo. Anche Grillo sostiene la necessità di un governo tecnico, ha sentito.
«C’è molta confusione sotto il sole. Proviamo a vedere chi è davvero pronto a sottoscrivere un patto per la Repubblica. Fini sono convinta che lo farebbe, Di Pietro se smette gli abiti del caudillo che attacca il Capo dello stato, Vendola certamente, e i movimenti».

Vendola si è candidato alle primarie. El País oggi scrive che è l’unico in grado di sconfiggere Berlusconi. Anche lei come D’Alema non lo voterebbe?
«Le primarie si fanno se si fa una coalizione. Se si decide, sulla base di un programma, di fare un’alleanza che si presenti al voto allora si parla di primarie. Altrimenti, di nuovo, è un dibattito surreale. Non siamo a questo. Siamo al punto in cui chi davvero sente il dovere di evitare che Berlusconi torni a governare deve trovare la via efficace per ottenerlo. Il resto è demagogia, un danno che alimentando chiacchiere ci facciamo da soli. Cerchiamo piuttosto di sottrarci al rischio che la difesa dei principi democratici diventi una clausola di stile. Contiamoci su questo: chi sta dalla parte delle regole che servono al Paese. Cominciamo a farlo subito, nei dibattiti in tutta Italia, nelle feste dell’Unità, in ogni luogo».

C’è anche il tema del rinnovamento della classe dirigente, molto sentito dagli elettori.
«Certo, e c’è prima ancora il tema delle prospettive che vogliamo dare ai giovani di questo paese, che siano dirigenti o non lo siano. Per rinnovare non basta mettere cinque quarantenni in lista. Bisogna fare leggi che favoriscano l’accesso al lavoro e alla vita attiva dei ragazzi. Il primo punto del programma sia questo».

L’Unità 07.08.10