attualità, politica italiana

"Sulla giustizia la prova della verità", di Liana Milella

Chi lavora con lui al programma già ammette riservatamente che il capitolo sulla giustizia sarà quello più esplosivo. Scritto apposta per misurare l´effettiva volontà dei finiani di andare avanti o mandare tutto all´aria. Ed essere costretti, qualora ci fossero dei loro ripetuti no, magari ad andare pure alle elezioni.
Ma gettando sugli uomini del presidente della Camera tutta la responsabilità e cercando di evitare la fuga di chi, tra i berluscones, odia il voto anticipato e sarebbe tentato di abbandonare in quel caso la barca. Venti, trenta parlamentari si vocifera.
Processo breve in versione hard, lodo Alfano costituzionale, ddl intercettazioni rivisitato rispetto al testo sdoganato dagli stessi finiani. E poi la responsabilità civile dei magistrati e l´attribuzione di poteri assoluti alla polizia giudiziaria, tutto a svantaggio dei pubblici ministeri. E ancora la tanto promessa separazione delle carriere e del Csm, uniti al cambio di guardia sull´obbligatorietà dell´azione penale. Chiosa un berlusconiano: «È tutto quello che il Guardasigilli Alfano avrebbe dovuto fare in questi due anni e che non ha fatto…». Già, il famoso programma del Pdl sulla giustizia, ancora lì, rimasto sulla carta. Schiacciato dall´emergenza dei processi di Berlusconi, che anche stavolta la fanno da padrone. Processo breve e lodo Alfano servono a questo, per far fronte alle tre grane giudiziarie milanesi (Mills, Mediaset, Mediatrade) per ora congelate solo grazie al legittimo impedimento sponsorizzato da Casini, ma lì pronte a ripartire se solo la Consulta azzera o sconquassa la legge il prossimo 14 dicembre.
Dalla parte di Fini capiscono l´antifona e reagiscono a metà tra la fermezza e il dialogo. Con una strategia in testa, riassumibile così: «Berlusconi cerca di provocarci. Lui aspetta al varco i nostri “no” per far saltare il banco. Ma noi a questo gioco non ci prestiamo». E allora la reazione è tutt´altra. Anche questa sintetizzabile in una battuta, che si poteva raccogliere ieri da più di un finiano: «La nostra è una linea attendista, ma anche ottimista: noi non diamo lasciapassare a scatola chiusa, sulla base di una riga generica in un presunto programma. Vogliamo andare a fondo. Conosciamo l´uomo Berlusconi, sappiamo che nelle leggi sulla giustizia la trappola si può nascondere pure in una sola riga. Quindi, prima di pronunciarci, vogliamo prima vedere i testi perché due anni di legislatura ci hanno insegnato che pure nelle virgole di queste leggi si celano… diciamo… delle anomalie».
E per dimostrare che non ci sono atteggiamenti preconcetti a prescindere, ecco che i finiani citano due casi e fanno una differenza. Tra lodo Alfano e processo breve. «In linea di principio, sul lodo in veste costituzionale non c´è un nostro “no” di tipo aprioristico. Alla fin fine, approvarlo è quasi un dovere dopo aver già detto sì al legittimo impedimento che ne era il presupposto. Ma sul processo breve la musica è tutt´altra. Lì vogliamo andare con estrema cautela». E insistono con la litania dei testi scritti, perché «senza quelli non si dice né sì, né no a una legge sulla giustizia».
E qui, inevitabilmente, si sente già aria di «confronto sostenuto». Di rissa. Inevitabile, come quella sulle intercettazioni. Ancora più violenta questa perché in ballo ci sono i dibattimenti del premier. Il quale si è già fatto due conti. Il lodo Alfano è fermo al Senato, ha davanti quattro passaggi parlamentari e un referendum confermativo perché la sinistra non lo voterà mai. Quindi, dal punto di vista dell´immediata utilizzabilità, è comunque una legge inutile. Resta il processo breve, dibattimenti da tre anni in primo grado, due in secondo, uno e mezzo in Cassazione, per “spegnere” subito quelle inchieste giudiziarie. Soprattutto se la Consulta boccia lo scudo provvisorio.
Per l´ennesima volta, nella storia delle leggi ad personam di Berlusconi, tutto si giocherà sulla norma transitoria. Che già è stata oggetto di duro scontro con le opposizioni e su cui sono già appuntati i riflettori del Quirinale. Quell´ultimo articolo di una legge che stabilisce se si applica oppure no, e in che misura, oppure in che misura ai processi in corso. I finiani sono d´accordo sul principio che il processo non può durare all´infinito. Lo ribadiscono. Ma sono contrari a una legge che «cada come una mannaia sui processi in corso» solo per salvare il premier perché questo «è inaccettabile».

La Repubblica 07.08.10