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"Milano, quando donna diventa un sacrificio umano", di Lidia Ravera

Nessuna di noi è al sicuro, nessuna donna. In nessuna ora del giorno. Alle otto del mattino, nel pomeriggio, di notte. In una grande città, in una strada affollata, in un viottolo, in piazza. Andando in ufficio, a far la spesa, al cinema. In qualsiasi momento, un uomo incattivito da una qualche frustrazione può scendere da casa sua e ammazzarci di botte. Semplicemente perché siamo donne. Può picchiarci in ragione della nostra debolezza. Può picchiare una qualunque di noi perché siamo intercambiabili.Unadonna vale l’altra, e tutte insieme non valgono niente.
Oleg ha 25 anni e tira di boxe. La sua ragazza l’ha lasciato. Magari perché è uno che, quando gli gira, mena. Oleg non si rassegna. Non cerca di migliorare. Ma neppure piange e di dispera, come è naturale, quando finisce un amore. No, Oleg scende in strada e aggredisce la prima donna che passa. Una che, come lui, non è italiana ( probabilmente sono la maggioranza, nella città svuotata dalle ferie d’agosto). Lei viene dalle Filippine, lui dall’Ucraina. Tutti e due, in Italia, cercavano, si presume, qualcosa. Pace, lavoro, un po’ di benessere. La donna non ha neppure il tempo di rendersi conto di che cosa sta succedendo. Vuole la sua borsetta, quel dispensatore di pugni feroci? Gliela darebbe,per farlo smettere,ma Oleg vuole altro. Vuole sfogarsi e vuole vendicarsi. Di che cosa? Del genere femminile? E’ uscito di casa già con quell’idea in testa. L’ha detto a sua madre. Vuole fare casino. Del resto, la cultura del Paese che l’ha accolto, non è aliena da
questi modelli selvaggi: i ragazzini della Milano-bene, alla fine delle loro nottate brave, non disdegnano lo sport della rissa. Pestano in gruppo un chiunque assunto, per la bisogna, al nobile ruolo di vittima. E’ bene, dopo l’ultimo drink, sorbire un autentico
sacrificio umano. Le donne, pare, sono ottime come causa scatenante della scazzottata finale. Fa cinema, fa cavaliere. Ne prendi una, ne guardi un’altra, ammazzi quella che non ci sta. Le donne sono merce, una droga come un’altra. Quando non sono merce, servono
a farla vendere, la merce. La galleria di “pubblicità-regresso” pubblicata da questo giornale, pochi giorni orsono, è eloquente: cosce, culi, ombelichi, labbra, tette. Tutto è invito a servirsi, i doppi sensi promettono un uso indiscriminato dell’oggetto. Te la do, la puoi prendere in leasing, scatena la bestia che è in te (una bibita), fattela, fottila…le donne non hanno un nome, soltanto una funzione. C’è da stupirsi, se un ragazzo uccide per interposta persona, se si vendica della sua donna ammazzandone un’altra? Per parafrasareun mostruoso sloganterrorista: colpirne una per punirne cento. Quando perdi identità, può succedere di tutto. L’empatia la scatena soltanto l’individuo, cioè chi è stato oggetto di un processo di individuazione (“rendere chiaro e determinato qualcuno attribuendogli forme caratteristiche ed elementi suoi propri” Zingarelli). L’individuo, il singolo, sono sostantivi che non si declinano al femminile.

L’Unità 07.08.10

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