attualità, politica italiana

"I nuovi manganelli. La finta democrazia degli urlatori", intervista a Nadia Urbinati di Umberto De Giovannangeli

«A dare il segno di una democrazia malata, di una democrazia degli “urlatori”, c’è l’uscita della ministra della Pubblica Istruzione e dell’Università, Mariastella Gelmini, che propone di dare la laurea ad honoris causa ad un politico, Umberto Bossi che usa sistematicamente linguaggi e segni volgari e irriverenti. Una volgarità aggressiva, minacciosa, inquietante, che ben si coniuga con la strategia di occupazione dei grandi mezzi di comunicazione realizzata dal Cavaliere…». A sostenerlo è Nadia Urbinati, politologa e docente alla Columbia University.
Per aver sostenuto che occorreva «liberarsi di Berlusconi», il segretario del Partito Democratico è stato fatto bersaglio di una aggressione mediatica da parte di numerosi esponenti del Governo e della maggioranza. Ma che democrazia è questa? «È la democrazia di chi ha vinto e ora non vorrebbe più perdere. È chiaro che Bersani ha utilizzato una espressione colorita, gergale, di quelle che si usano nel parlare quotidiano. Del resto, le campagne elettorali hanno sostituito le campagne militari, e quindi si usa molto spesso lo stesso linguaggio per parlare di “battaglie”… È evidente che chi è al Governo ha voluto prendere alla lettera quelle parole gridando allo scandalo, pur sapendo che lo scandalo non c’era proprio, tanto più che a scandalizzarsi sono gli stessi ben usi al linguaggio violento. A dimostrazione di questo c’è l’uscita della ministra della Pubblica Istruzione e dell’Università che ha proposto di conferire la laurea honoris causa a un politico che usa sistematicamente linguaggi e segni volgari e irriverenti…». Il riferimento è al ministro e leader leghista, Umberto Bossi…

«Certo che sì. Al ministro che non trova di meglio che fare il segno del dito medio ai giornalisti che gli chiedevano se si andava verso le elezioni anticipate. Non è un gesto isolato. Da quando Bossi e i suoi attuali alleati di Governo sono entrati sulla scena politica, a partire dagli anni Novanta, hanno contribuito pesantemente a cambiare in peggio lo stile e il contenuto del linguaggio politico…».

È dunque la politica degli urlatori che è stata imposta? «Sì. E probabilmente sembra che paghi, visto che Berlusconi la ritira fuori ogni volta che annusa aria di crisi… La strategia dell’urlo, del parlarsi addosso, la politica di chi grida più forte fa bene, e va bene, a coloro che non hanno contenuti da proporre o che, con le urla e gli insulti, cercando di mascherare il vuoto di contenuti politici, mentre la strategia dell’urlo non fa il gioco di coloro che basano il proprio successi con il pubblico sulla deliberazione ragionata».

Nel frattempo, il presidente del Consiglio si prepara alla campagna di autunno condotta a colpi di talk show urlati e a senso unico… «È una mossa prevedibile, perché a leggere i giornali di questi giorni, si possono individuare i due scenari a cui il Cavaliere sta lavorando…».

Quali sarebbero questi scenari? «Berlusconi si prepara a tenere aperta la possibilità, usata come arma di ricatto nei confronti dei “finiani”, delle elezioni anticipate. E al tempo stessi, continua le trattative di palazzo. Quello che tra i due scenari risulterà essere più conveniente per lui, verrà perseguito. Come Berlusconi ha sempre fatto».

Esistono gli anticorpi contro questa democrazia degli urlatori? «Sì e no. Sì se guardiamo a livello istituzionale e costituzionale: su questo terreno gli anticorpi esistono e sono già attivi, come ha più volte rimarcato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. La risposta, purtroppo, è negativa per quanto riguarda i potere dell’opinione pubblica. Le ragioni le conosciamo…».

Ma è bene ricordarle a fronte di una dissolvenza della memoria collettiva che viene scientemente perseguita dai fautori della democrazia dell’urlo… «Alla base c’è la commistione tra informazione e potere politico della maggioranza berlusconiana-leghista e potere economico. Quello dell’informazione è sempre più terreno di conquista per un potere insaziabile piuttosto che essa stessa, l’informazione, un potere moderato. Questo è il problema più grave della democrazia italiana, e probabilmente sarà quello sul quale e per mezzo del quale il Cavaliere intenderà giocare la partita anche in questa occasione. Del resto, è sufficiente prestare attenzione ai direttori delle maggiori testate dei Tg nazionali per comprendere quanto deboli siano gli anticorpi in questo potere straordinariamente forte che è, o dovrebbe essere, l’opinione pubblica in una democrazia».

«Democrazia degli urlatori», abbiamo detto. Quale altra definizione può dare conto della situazione italiana oggi? «Non userei la parola democrazia così facilmente: perché democrazia implica discutere per comprendere e decidere, e non sopraffare l’avversario con aggressività e arroganza. Come chiamare un regime che usa amplificare la voce invece della ragione?».

La democrazia dell’urlo è un accidente temporaneo del sistema italiano in questo momento storico o è un’anticipazione di ciò che saranno le future democrazie mediatiche? «Una democrazia che si regge sul potere pervasivo e controllato dei mezzi d’informazione, rischia di essere una democrazia fatta di spettatori passivi, che assistono ad uno spettacolo condotto da altri, senza la possibilità di svolgere il loro ruolo di stimolo, di critica e di controllo in quanto cittadini e non semplicemente come spettatori. È la democrazia del cittadino che viene sopraffatta dalla “democrazia dell’audience”. Da attori a spettatori: una involuzione che non può non destare allarme…».

Riusciremo a riconquistare un tono di voce normale? «Bisognerebbe che chi mette in scena la democrazia dell’urlo non trovasse partner o chi faccia loro da spalla…».

È una critica all’opposizione? «È un invito più che una critica. Occorrerebbe riuscire a coprire un ruolo più dignitoso di quello di interlocutori in un gioco delle parti già stabilito nei toni, nei modi e negli esiti».

Ma negli altri Paesi democratici dell’Occidente, vince chi urla? «Penso che questo più che altro sia un problema italiano, a giudicare dalle trasmissioni politiche condotte in altri paesi europei o negli Stati Uniti, dove Fox News è stata immediatamente definita “Tv propaganda”, proprio per i suoi Tg calibrati sulle idee del Partito repubblicano. Saper distinguere tra informazione e propaganda è un indicatore del successo o meno della democrazia dell’urlo».

L’Unità 09.08.10