attualità, politica italiana

"Se il flauto non incanta più", di Franco Cordero

B. appare stupito: non immaginava che l´antagonista cofondatore avesse tanto sèguito, e la confessione tradisce poco acume; colpa degl´informatori, essendo lui infallibile. Ogni tanto lo stregone incappa nell´ipnosi che disseminava. I numeri gli danno un margine d´almeno tre teste nel Senato, mentre ne mancano otto a Montecitorio: numeri fluidi; molti animali umani sono commerciabili e lui, venditore d´illusioni, li compra ridendo. L´onorevole Angelino Alfano illustra l´obiettivo al Corriere della Sera, 7 agosto: una legislatura piena; nei quattro punti riappare il cosiddetto processo breve ovvero mirabilia d´impunità e vadano al diavolo le procedure serie. L´Uomo forte medita azioni che attirino i dubbiosi o timidi: una vittoria sulla destra legalitaria lo qualificherebbe agonista irresistibile nella primavera 2013; appena navighi male, estrae dalla manica la carta plebiscitaria anticipata, con larghe chances.
Misuriamo gli eventi tecnicamente possibili. Un governo può cadere in due modi: i banchi gli negano o revocano la fiducia; oppure inscena una crisi extraparlamentare dimettendosi. Le urne sono l´epilogo. Il Capo dello Stato esplora eventuali nuove maggioranze: supponendole configurabili, affida l´incarico; il designato forma l´équipe, entro dieci giorni va nelle due assemblee, espone il programma, chiede fiducia (art. 94 Cost.). Se non l´ottiene in entrambe, depone l´incarico: seguono altri tentativi o i comizi, risultando chimerica l´investitura dal Parlamento; e il ministero sfiduciato o dimissionario chiama gli elettori. In Germania, anni trenta, dal dottor Heinrich Brüning all´avventuriero generale Kurt von Schleicher, sfilano gabinetti senza sostegno nel Reichstag: dove lo richiedano interessi supremi, l´art. 48 Cost. Weimar contempla decreti presidenziali; lì firma una mummia, lo pseudoeroe Paul von Beneckendorff und Hindenburg. Qui è impossibile: ogni governo vive attraverso il cordone ombelicale della fiducia; l´avevano persino i cosiddetti ministeri balneari presieduti da Giovanni Leone, 1963 e cinque anni dopo. Dunque, finché abbia un voto in più nella Camera alta o bassa, B. chiude le aule quando voglia.
Teniamolo presente nell´analisi degl´intenti dichiarati dai partners, cominciando dal campione d´un revival democristiano: abitava nella Casa delle cosiddette libertà, esecutore puntuale dei servizi richiesti dal Dominus; dopo quattordici anni non l´ha seguito nel Pdl; e con trentanove deputati arbitra varie alchimie. I precedenti lo dicono naturalmente affine alla destra berlusconiana, sotto pia retorica patriottico-sociale: l´autocrate gli esibiva dei portafogli; volendo cavare il massimo dal bis matrimoniale, lui chiede un governo nuovo all´insegna della «responsabilità nazionale». Restano indefiniti i componenti: chiaro però chi debba guidarlo, l´Unico, insostituibile; e l´aveva detto.
Altrettanto vagamente il flemmatico segretario Pd ventila «larghe intese»: se l´aggettivo ha senso, il ventaglio include l´asse berlusconiano, nel qual caso diventa superflua la scomoda spartizione con Biancofiore; i due partiti grossi e la Lega formano un bel governo d´union sacrée, dove magari sieda il precursore Bicamerista, ministro degli esteri. Fantasie malevole? No, buona memoria. Il codice genetico comunista include un machiavellismo spesso stupido: vedi l´efferata campagna antisocialdemocratica, utilissima a Hitler; purghe sanguinose applaudite dai fedeli; patti moscoviti Ribbentrop-Molotov sulla pelle polacca e baltica (le fosse di Katyn contenevano 12 mila cadaveri d´ufficiali abbattuti mediante colpo alla nuca); o l´opportunismo togliattiano o la scelta letale nell´affare Moro. Ancora pochi mesi fa gli strateghi rifiutavano le pregiudiziali antiberlusconiane, nemmeno fossero smanie d´ossessi. In lingua marxista «giacobino» è epiteto carico d´antipatia, contro chiunque postuli limiti al negoziabile: erano chierici; svaniti i dogmi, resta la chiesa usata da preti atei. Fiorisce una retorica «delle cose»: lavoro, famiglie, imprese, disoccupazione giovanile, ecc.; ed è benvenuto chiunque prospetti riforme, fosse anche Satanasso, pragmatico par excellence. Prima o poi l´idea sommersa salta fuori. Sinora ascoltavamo discorsi finti: restando i numeri quali sono, valgono poco gli slogan «mandiamolo a casa» e «transizione»; siccome Roma non è la Berlino 1930, ogni governo minoritario morrebbe appena nato; e lì scatta l´appuntamento elettorale. Resta la sola, ardua via d´un cartello destra-sinistra attraverso l´intero scacchiere, concorde su due punti: risolvere lo spaventoso conflitto d´interessi che strozza lo Stato; e regole elettorali pulite; rimossa la neoplasia, i partiti giochino le rispettive carte. Allora forse avremmo una destra e sinistra autentiche, caste politiche permettendolo (naturalmente solidali, in barba all´ideologia).
L´ipotetico dialogo perverso è meno remoto di quanto dicano le parole correnti. Voci d´alto décor interloquiscono pro «moderna democrazia liberale», alias pirateria berlusconiana. Cantori in colletto duro deplorano la secessione nel Pdl (da via Solferino l´editoriale 8 agosto augura una ritrovata intesa): ingentilivano la gang, disattenti al malaffare organico (erompe dovunque qualcuno indaghi); e scoppierebbe l´applauso se il Pd entrasse nel pastiche; era ora, ecco la scelta «pratica», «responsabile», «realmente progressiva». Il Caimano ride, riqualificato statista ed effettivo padrone dell´Italia da tosare. Hitler cercava spazi vitali a est, sognando un Reich millenario. Più realisticamente, la Signoria d´Arcore accumula soldi, senza rischi, visto che nella fase finale anche i tribunali saranno sua lunga mano. L´eversione comincia trent´anni fa, quando un affarista dalle fortune oscure, corrompendo dei politicanti occupa l´etere e inquina l´audience: siccome la sventurata Italia ha pochi anticorpi, suonerebbe già la campana se nel Pdl non fosse emersa una linea antipadronale; speriamo che tenga e Domineddio illumini gli oppositori, sovente molli, confusi, distratti, più qualche punta infida. Conveniva dirlo affinché siano giochi a carte scoperte. Regnum Berlusconis delendum est, se vogliamo un futuro decente.

La Repubblica 10.08.10