attualità, politica italiana

"Sviluppo economico, il ministero cannibalizzato", di Roberto Giovannini e Raffaello Masci

Senza titolare da 100 giorni, perde una competenza dietro l’altra. Entriamo nella monumentale sede del ministero dello Sviluppo economico (in sigla Mse) quando sono le tre del pomeriggio. E’ agosto e la capitale è deserta. Può, in questo clima, un ministero essere affollato?
L’aria che si respira, dopo cento giorni di «sede vacante» qui, al civico 33 di via Veneto, è quella del palazzo reale di Napoli dopo la fuga dei Borbone: che si fa qui dentro? E chi comanda da quando Claudio Scajola se n’è andato? L’edificio è imponente: lo disegnarono due architetti di vaglia del periodo fascista, Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro, come sede delle Corporazioni, nel ’32. Graniti di pregio all’ingresso, sullo sfondo vetrate policrome di Mario Sironi: bellissime. Ai piani superiori, marmi chiari a venature gialline. E poi: boiseries, porte altissime, mobili di design. Un vero gioiello.

Scajola lasciò l’incarico il 4 maggio scorso, dopo una mesta conferenza stampa in cui apparvero – partecipi e commossi – anche i figli. «Da quel momento, nel palazzo è iniziato il saccheggio delle competenze, e dei relativi fondi: la sola manovra economica ha privato il Mse di 900 milioni», racconta, nella penombra di un bar di fronte, un alto dirigente. «Superior stabat lupus. Anzi Julius», aggiunge, indicando nel titolare dell’Economia Giulio Tremonti «il mandante passivo di questo andazzo: basta non fare niente e consentire agli altri di agire».

E così, per esempio – continua il racconto – il Dipartimento per l’energia resta, con le sue competenze su elettricità, gas, petrolio, «ma il nucleare, che doveva essere la scelta politica del governo in materia, dov’è? Tutto è bloccato, anche se il sottosegretario Stefano Scaglia, meno di venti giorni fa, ha assicurato che il governo porterà avanti tutte le procedure entro il 2013, come previsto». La materia, ai tempi dell’Imperatore Claudio, era condivisa con la titolare dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo; ora, scomparso l’interlocutore, l’Ambiente fa sentire tutto il suo peso, e la Prestigiacomo sta cercando di portare in porto almeno le nomine (che debbono essere condivise con il Mse) ai vertici dell’Agenzia per la sicurezza nucleare (Asn).

«La situazione, francamente, è pesante – racconta ancora l’alto burocrate – tant’è che all’inizio di luglio i dirigenti del ministero hanno fatto un appello al Capo dello Stato affinché risolvesse la situazione». Ma la cosa è rimasta lettera morta. Qualcuno, però, ha preferito imboccare un’altra strada. Per esempio il direttore generale Gianluca Esposito – giovane (classe 1971), brillante – non ha voluto aspettare le calende greche di chissà quale nomina, ed è salito sul carro in corsa del ministro del Turismo Michela Brambilla, portando una dote di quasi 800 milioni per un piano di rilancio del turismo regionale. Il professor Esposito ha sbloccato così l’impasse in cui versava il ministero, «ma ha anche scatenato la guerra interna – racconta il nostro interlocutore – determinando un clima da anarchia».

Dal forziere ministeriale è scomparsa anche la ricca (e politicamente ghiotta) torta del Fas, il fondo per le aree sottosviluppate, che è passato sotto la giurisdizione del ministro Raffaele Fitto. Col che il dipartimento per le politiche dello sviluppo resta dov’è, in via Veneto, ma totalmente depotenziato. Quando è scoppiata la vertenza Fiat per Pomigliano, da mezza Italia si è alzata la protesta per «una mancanza di politica industriale». Bene: «Quella politica – dice Raffaele Bonanni, segretario della Cisl – è di fatto passata nelle mani di Tremonti e Sacconi. Le grandi vertenze, come Fiat o Telecom sono state condotte senza il Mse. Ora ci sono Termini Imerese, la Merloni, altre situazioni e così non si può più andare avanti».

Confindustria, che in altri tempi avrebbe fatto le barricate se non avesse trovato un interlocutore politico, si è mostrata finora straordinariamente quieta e appagata dall’avere Tremonti per controparte. «Ma a settembre, passata la Finanziaria, questa situazione non sarà più tollerabile», fanno sapere. Per intanto alla Direzione per le aziende in crisi giacciono circa 200 microvertenze, in attesa di tempi migliori. «Qui dentro resiste il viceministro Adolfo Urso, al Commercio con l’estero – continua la nostra guida – anche se il ministero degli Esteri ha mire sull’Ice e vorrebbe accorpare le sue sedi con quelle diplomatiche. E poi il viceministro Paolo Romani, che si occupa di Comunicazioni e deve gestire le nuove gare per il digitale terrestre». Quest’ultimo, per la verità, dovrebbe essere il nuovo ministro «in pectore», ma la sua nomina, data per certa il 30 luglio, si è arenata per l’ennesima volta. Nel frattempo si è fatta sera. Il portone di via Veneto chiude. Dalla vicina chiesa di San Nicola da Tolentino giunge un suono di campane. Per la verità un po’ sinistro.

La Stampa 11.08.10