attualità, partito democratico, politica italiana

"Il Pd ormai “vede” le urne e chiama al fronte comune", di Rudy Francesco Calvo

Appello di Bersani a tutte le opposizioni: se si va al voto abbiamo una linea. La prospettiva di un esecutivo di transizione sembra allontanarsi. Le parole di Bossi («No ai governi tecnici, occorre tornare subito alle urne»), la campagna elettorale già avviata ieri in spiaggia da Casini, il clima sempre più incandescente tra i finiani e il Pdl: tutti sintomi di una situazione che ormai sembra destinata a precipitare in fretta, anche già a settembre. Il Partito democratico finora è rimasto a guardare, attirandosi anche le accuse di un’eccessiva pavidità. Al Nazareno, l’opzione numero uno rimane quella di un governo di transizione. In questo quadro, Luigi Zanda apprezza la disponibilità dichiarata da Di Pietro, mentre Rosy Bindi loda «l’equilibrio e la saggezza» di Beppe Pisanu, il cui nome è stato proposto dal finiano Briguglio per guidare un esecutivo di garanzia. Ma i dem hanno anche già avviato il lavoro per prepararsi all’eventualità di un voto anticipato, accelerando sempre più il ritmo. Il principale nodo da sciogliere riguarda essenzialmente i confini e la natura della coalizione da presentare sulla scheda, con una subordinata non di poco conto: chi sarà e come verrà scelto il candidato premier?
A rompere gli indugi è stato ieri Pier Luigi Bersani, chiamando prima di tutto Berlusconi in parlamento per «spiegare cosa intenda fare in questo indecoroso marasma ». Dopodiché, «se fosse certificata la crisi la parola passerebbe al capo dello stato e al parlamento». E se le elezioni diventassero «inevitabili», allora «noi ci rivolgeremmo alle forse del centrosinistra e dell’opposizione per una strategia comune di cui siamo già pronti a proporre e a discutere le basi politiche e programmatiche ». Per Bersani, «l’apertura di una nuova fase dovrà avere i caratteri di una riscossa democratica, civica e morale, nonché i contenuti di una politica economica e sociale finalmente fatta di equità e di crescita». Un appello al quale rispondono subito positivamente Idv, Verdi e Rifondazione.
All’interno del Pd, il primo ad avanzare l’idea di un’alleanza inedita per chiudere definitivamente l’era berlusconiana è stato Massimo D’Alema. I due principali interlocutori individuati dal presidente del Copasir, però, sono anche quelli che hanno riservato un’accoglienza più fredda alle parole di Bersani. «Non vogliamo ammucchiate indistinte, alle elezioni si va con un’identità e con un programma», dice l’udc Buttiglione. «Non credo che un’alleanza raffazzonata che vada da SeL all’Udc e, forse, a Fli possa rappresentare un’alternativa credibile. Una coalizione così sarebbe impotente», gli fa eco il vendoliano Fava. Si tratta di dichiarazioni che nascondono probabilmente un’inevitabile pretattica e che non scoraggiano quindi il disegno dalemiano. Segnali di disponibilità sarebbero giunti in realtà proprio da SeL, mentre per agganciare Casini il presidente del Copasir ritiene inevitabile offrirgli la candidatura a premier.
Una prospettiva che suscita l’immediata reazione della minoranza: «Quando D’Alema voleva arrivare a palazzo Chigi nel ’98, lamentava il fatto che gli ex-Pci fossero considerati figli di un dio minore – ricorda un parlamentare veltroniano – adesso invece è lui a voler ridurre a quel ruolo il Pd, un partito rassegnato a presidiare la sinistra, che appalta ad altri la rappresentanza del centro e la leadership». Un conto – è il ragionamento che fanno gli uomini più vicini all’ex segretario – è un governo di transizione, che abbia pochi e chiari obiettivi, a partire da una legge elettorale che preservi il bipolarismo.
Un altro è una coalizione che deve presentarsi agli elettori: «Allora – spiega Walter Verini – il Pd dovrà essere il baricentro riformista di uno schieramento che si contrapponga sì al berlusconismo, ma che condivida anche una visibile parte propositiva». E il cui leader, ovviamente, sia scelto con le primarie.
All’interno di AreaDem, però, non esiste ancora una linea condivisa. Pierluigi Castagnetti, ad esempio, giudica una «via obbligata» l’alleanza con un eventuale terzo polo. Dario Franceschini, dal canto suo, rimane scettico sulla possibilità di un’immediata precipitazione della crisi. «Berlusconi farà di tutto per non andare al voto – spiegano gli uomini più vicini al capogruppo alla camera – il rischio per lui di non avere una maggioranza certa al senato è troppo forte. E poi, se avesse voluto farlo, si sarebbe dimesso subito dopo il voto sulla mozione di sfiducia a Caliendo».

Europa Quotidiano 12.08.10

******

Il Pd comincia a giocare per il dopo-Berlusconi
Senza limiti la polemica fra Pdl e finiani, il premier tenta di dividerli Il livello dello scontro all’interno della maggioranza ha ormai raggiunto livelli altissimi: i finiani rispondono al dossier-Montecarlo chiedendo a Berlusconi di spiegare il discusso acquisto della villa di Arcore e Granata continua ad accusare il Pdl di contrastare la mafia solo a parole. Il premier risponde stigmatizzando le «irresponsabili e a volte farneticanti parole pronunciate da taluni contro il governo e la propria maggioranza» e cerca di sollecitare eventuali dissensi fra i “futuristi”, mentre Bossi continua a invocare «elezioni subito». Di fronte a questo scenario, il Pd non può che cominciare a prepararsi alle urne, pur mantenendo la preferenza per un governo di transizione che prima vari una nuova legge elettorale. A sospresa anche Di Pietro si dice disponibile a questa possibilità.
Bersani si rivolge quindi «alle forze del centrosinistra e dell’opposizione per una strategia comune». La prospettiva dalemiana di un’ampia coalizione anti-berlusconiana guidata da Casini non trova però tutti d’accordo: per i veltroniani significherebbe dare l’addio definitivo alle ambizioni originarie del Pd.

da Europa Quotidiano 12.08.10