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"Cinisi, i cento passi di Veltroni in memoria di Impastato", di Manuela Modica

Da una parte i dati, dall’altra i passi. Contro la mafia. Il ferragosto in Sicilia va così. A Palermo, il ministro dell’Interno Roberto Maroni, in conferenza stampa, assieme al ministro della Giustizia Angelino Alfano, conta: «Sono stati catturati in media otto mafiosi al giorno. Sono stati sequestrati e confiscati alla mafia beni per 14,9 miliardi di euro». Ecco il risultato «della strategia del governo contro la mafia». A Cinisi c’è, invece, Walter Veltroni. Conta i passi verso uno di quei beni confiscati alla mafia, la casa di Tano Badalamenti. “Siamo già arrivati?”, chiede, perché il passo verso la mafia in Italia è breve. E non è un numero: “Ma ca fannu tutti sti turisti qua?”. Sono domande che ci si fa dal barbiere. A Cinisi, di turisti non se ne vedono tanti, ma ormai si sa: “A vedere la casa di quel rompicoglioni sono venuti”. Sono chiacchiere di paese, dove le chiacchiere piacciono solo là, solo dentro. È qui che Peppino Impastato, il rompicoglioni “ca non si faceva i fatti suoi”, muoveva i primi passi. Cesare Vitale, compagno di classe di Peppino, quando racconta della sua fervida creatività spalanca gli occhi, fa circolare la mano: “Ah… aveva una mente così brillante che trascinava tutti”. Tutti, e trascina ancora.

Walter Veltroni, con la famiglia, la moglie e lue due figlie, fino a quei due marciapiedi così vicini, così lontani. Trascina la signora Candela, a Cinisi c’è anche lei. Arriva, appoggiata al suo bastone, da Montelepre, perché ha saputo che c’è Walter Veltroni. I Veltroni passeggiano per questo paese dove c’è tutto e il suo contrario. Incontrano così la storia di uno che non s’è fatto i fatti suoi. Ma anche quella di sua madre, di suo padre, di un paese, del Paese. A raccontarla è rimasto il fratello, Giovanni Impastato: “Da qui mio padre lo cacciò di casa. Dopo la sua morte mia madre rifiutò la vendetta e ruppe con i parenti. Fu lei a volere aprire la casa a tutti”. E il nocciolo è qui. Peppino lo sapeva: “Non aspettano altro che il nostro disimpegno, il rientro nella vita privata”. È un nodo che a Veltroni non sfugge. In questa estate «la più brutta che io ricordi» porta Martina, 23 anni, Vittoria, 20, a conoscere i luoghi, i libri, – Marx, Pavese, Pasolini –, la famiglia simbolo della “meraviglia dell’impegno civile”. Un impegno contro la mafia che va oltre i numeri, e vuol dire patimento: “I successi non sono dei governi ma dei magistrati e delle forze dell’ordine: sarebbe curioso se il governo ne ostacolasse il lavoro…”. Veltroni passeggia, con i suoi per le strade di “Maffiopoli”: «Basterebbe guardare in faccia questa parte meravigliosa d’Italia: tra questa e i dossier c’è un abisso».

Va a casa Badalamenti, come prima tappa. Oggi è aperta anche quella, confiscata dallo Stato, consegnata al centro Impastato. Un risultato che è costato e durato una vita: quando viene ucciso è il 1978, Badalamenti viene condannato nel 2002, la casa consegnata agli Impastato – ne faranno un centro culturale – lo scorso maggio. Giovanni ricorda i passaggi giudiziari, e non scorda: “Tutti quelli che hanno cercato la verità sulla morte di mio fratello sono morti. Quelli che l’hanno ostacolata hanno fatto carriera”. L’ex segretario del Pd, oggi membro della Commissione Antimafia scuote la testa: “Non poteva essere tutta farina del sacco mafioso”. Ed è un’estate forse molto vicina a un’altra orribile, quella delle stragi di mafia: “La magistratura saprà fare piena luce – commenta Veltroni –. È certo, ormai, che non si trattò solo di mafia”. E quel che ‘conta’, adesso, sono proprio quei cento passi: chi sta tra le due case. Le divide. E le unisce.

da www.unita.it