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"Si riapre il dossier immigrati", di Leonard Berberi e Francesca Padula

Costa ogni giorno più di 200mila euro la gestione degli immigrati irregolari ospitati negli ex Cpt. Oggi, come ad agosto 2009 – all’indomani dell’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, i centri per gli immigrati sono in fermento. Dall’inizio del mese, decine di stranieri irregolari incappati in un controllo e in attesa di espulsione, sono evasi o hanno tentato di farlo dai centri di Brindisi, di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), di via Corelli a Milano e di Cagliari. Fino all’ultima mini-evasione di massa, a Trapani (4 in tutto: alcuni feriti, molti rintracciati).

Sono 13 i centri di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt), che in tutta Italia sono in grado di ospitare poco più di 1.800 immigrati. Alcuni sono tornati sotto i riflettori per le proteste e le fughe di questi giorni: sono polveriere a rischio per le cattive condizioni di vita allungate dai nuovi tempi dipermanenza (fino a sei mesi) o sono strutture destinate a sorgere in tutte le regioni, come annunciato e pi volte confermato dal ministro dell’Interno Maroni?

Lo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, poco più di un anno fa, li ha definiti «molto simili ai campi di concentramento». Le associazioni di solidarietà per i migranti protestano perché, soprattutto nei Cie, mancherebbero l’assistenza e le informazioni, le stanze sarebbero sovraffollate, gli ambienti degradati e spesso gli incensurati si ritroverebbero fianco a fianco con i pregiudicati.

Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, continua a sponsorizzare la politica di «ima struttura in ogni regione». Forte della sentenza di aprile della Corte costituzionale che stabilisce che «le amministrazioni locali non possono rifiutarsi di ospitare centri di espulsione». Ma il braccio di ferro con le regioni continua anche perché non è facile trovare siti che rispondano ai requisiti di nuove costruzioni.

La gestione di ogni struttura è affidata al prefetto che spesso, non avendo i mezzi e gli strumenti per rispondere alle esigenze quotidiane, ricorre a realtà esterne – la Croce Rossa, la Misericordia o altre onlus – attraverso regolare gara d’appalto. Mediamente, ogni straniero che si trova in un Cie, in un Cda o in un Cara, viene a costare allo Stato tra 40 e i 45 euro al giorno, quindi nel complesso tra i 200 e i 250mila euro spesi ogni giorno.

«La realtà è che si tratta di vere e proprie aree di parcheggio – spiega l’avvocato Guido Savio di Torino, membro dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) . In queste strutture manca tutto: non ci sono gli educatori, non ci sono le attività tipiche per passare il tempo e imparare qualcosa. Tutte cose che si trovano in qualsiasi centro di detenzione. Gli stranieri passano le giornate – e anche i mesi – ad aspettare che la loro situazione si sblocchi e che vengano accompagnati fuori dall’Italia». Non solo. I centri di identificazione ed espulsione, secondo l’avvocato Savio, «non hanno una funzione punitiva, né rieducativa». Tutte ragioni che «si trasformano in un ottimo incentivo a scappare dalle strutture».

Le strutture che accolgono gli immigrati irregolari sono di tre tipi e sono tutti sparsi lungo il territorio nazionale, seguendo anche i flussi di stranieri. Ci sono 13 centri di espulsione e identificazione (Cie) che possono ospitare fino a un massimo di 1.814 immigrati irregolari in attesa di essere accompagnati fuori dal nostro paese. La massima concentrazione è al Sud, con tre strutture in Sicilia, due in Puglia e Calabria. Entro quest’anno, poi, dovrebbero sorgere altre strutture in Piemonte, Veneto, Toscana e Campania (nei pressi di Caserta, al posto di una caserma).

E ancora. Tre strutture, per un totale di 2.054 posti, funzionano esclusivamente come centri di accoglienza (Cda). Altre cinque come centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara, massimo 998 posti-letto). Tre centri servono per il primo soccorso e l’accoglienza (Cpsa, 1.204 posti). Infine le strutture ibride – operano sia come Cda che come Cara -,che possono ospitare fino a un massimo di 2.337 immigrati.

Nel Cie di via Corelli, a Milano, su 132 posti disponibili, attualmente sono ospitati 118 immigrati in attesa dell’espulsione. La maggior parte è costituita da uomini (79), seguono le donne (22) e i transessuali ( 7). Nel Cie di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), altro centro caldo di questi giorni, si trovano 124 stranieri su un massimo di 194 posti-letto.

Al centro Serraino-Vulpitta di Trapani, dopo Ferragosto, era riuscita a fuggire quasi la metà degli immigrati ospitati. Attualmente la struttura ospita una trentina di stranieri ed è stata descritta da Medici senza frontiere come la peggiore in Italia (insieme a quella di Lamezia Terme) perché «totalmente inadeguata a trattenere persone in termini di vivibilità». E che, proprio per questo, verrà chiuso – secondo il Viminale – entro quest’anno perlasciare il posto a un edificio nuovo costruito alle porte della città siciliana.

Ci sono altre situazioni a rischio. Come il centro di Brindisi-Restinco, un’altra realtà calda negli ultimi giorni. Qui, secondo la denuncia di un consigliere pugliese, «i cittadini stranieri che hanno fatto richiesta per ottenere l’asilo politico condividono gli stessi spazi di quelli che sono in attesa di essere espulsi».

Dal Sole 24 ore

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Muore immigrato: lavorava in nero
Era irregolare in Italia e impiegato ‘al nero’ l’operaio di 33 anni, senegalese, morto questa mattina in un incidente sul lavoro a Campi Bisenzio (Firenze). Le telecamere della ditta hanno ripreso le fasi della tragedia: dopo il ribaltamento del muletto, in un primo momento ci sarebbe stato un fuggi fuggi di persone che hanno lasciato il luogo dell’incidente senza soccorrere l’operaio. I carabinieri stanno identificando chi era presente al momento dell’incidente. Sembra fossero alcuni artigiani. I soccorsi sarebbero stati comunque chiamati tempestivamente.

La vittima, Niang Elhadji, avrebbe tentato di saltare dal muletto che si stava ribaltando, rimanendo schiacciato e, probabilmente, morendo sul colpo. Il pm ha disposto l’autopsia. Dai primi accertamenti emergerebbero anche altre irregolarità: l’operaio non aveva la cintura allacciata e sul muletto sarebbero mancati diversi dispositivi di sicurezza, fra cui gli sportelli, che avrebbero potuto salvare l’uomo. In base a una prima ricostruzione pare che l’uomo fosse alle dipendenze di un artigiano e che stesse lavorando alla posa di marmi, nell’ambito di lavori di ristrutturazione di una concessionaria di auto a Campi Bisenzio. L’artigiano sarà con ogni probabilità indagato. Il muletto sarebbe stato preso in affitto dall’azienda che ha fornito i marmi e poi prestato all’artigiano per i lavori nella concessionaria.

«Se le informazioni che abbiamo risultano confermate, non si può parlare di fatalità ma di precise e grossissime responsabilità». Lo ha detto Daniela Cappelli, della Cgil toscana, in merito all’incidente sul lavoro avvenuto stamani a Campi Bisenzio (Firenze). «In base alle informazioni che abbiamo – spiega – la vittima era irregolare, impiegata in nero, e quindi priva della formazione necessaria a poter manovrare il muletto che l’ha uccisa. E sembra che anche il muletto non fosse conforme alle norme di sicurezza. Se fosse così, non si può certo parlare di fatalità».

«Ancora una vittima del lavoro. E ancora una volta si tratta di un uomo venuto in Italia da un altro Paese per lavorare e vivere, e che invece qui da noi ha trovato la morte». Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, esprime dolore e rabbia per la morte del giovane operaio senegalese, che stamattina è rimasto schiacciato sotto al muletto sul quale lavorava, a Campi Bisenzio, in una ditta che opera nel settore dello stoccaggio del marmo. «So che forze dell’ordine e Asl stanno accertando la posizione lavorativa della vittima – dice Rossi – Il rispetto delle regole è fondamentale per prevenire gli incidenti sul lavoro. In Toscana tanto è stato fatto in questi anni, ma evidentemente ancora non basta. Il mio appello è rivolto a tutti quanti – istituzioni, sindacati, imprenditori, gli stessi lavoratori – possono contribuire, con iniziative, interventi e misure sempre più vincolanti, formazione, vigilanza, controlli, a interrompere questa catena di morti evitabili».

da www.unita.it