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"Test di italiano, per integrare o discriminare?", di Giuseppe Caliceti

Dal prossimo 9 dicembre, per ottenere il permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, già carta di soggiorno, per gli immigrati in Italia sarà necessario superare un esame di lingua italiana. Il test di lingua si va a sommare a una procedura già abbastanza complessa: l’ottenimento del permesso di lungo periodo – documento senza scadenza, comunque da rinnovare ogni cinque anni – è infatti subordinato a una regolare presenza sul territorio di almeno cinque anni, senza assenze superiori ai dieci mesi complessivi. La richiesta, da inoltrare alla Questura competente, che dovrebbe rispondere dopo novanta giorni, deve rispettare diversi requisiti: occorre avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, dimostrabile presentando le buste paga dell’anno in corso e si deve documentare la propria situazione in ambito penale. Nel caso di richiesta per i familiari, è necessario certificare la disponibilità di un alloggio idoneo, i cui parametri saranno accertati dall’Azienda sanitaria locale (Asl) competente, oltre a fornire un attestato anagrafico, tradotto e validato dall’autorità consolare nel Paese di appartenenza o di stabile residenza dello straniero. Tutto questo è accompagnato da una spesa di circa 70 euro: 27,50 euro per bollettino postale di pagamento del permesso di soggiorno elettronico, 14,62 euro per il contrassegno telematico, e 30 euro per la raccomandata. Da dicembre, a tutto questo, si dovrà aggiungere anche questo annunciatissimo test di lingua italiana, e superarlo con un punteggio minimo di ottanta su cento. La richiesta di partecipazione alla prova dovrà essere presentata «con modalità informatiche alla prefettura territoriale competente in base al domicilio del richiedente», che sarà convocato entro sessanta giorni.
Si tratta di una misura già attuata in altri paesi europei, con una differenza non di poco conto: in Italia si richiede al migrante di conoscere l’italiano, ma senza offrirgli l’opportunità di impararlo. Un’assurdità. Per esempio, in Francia, agli immigrati, si offre la possibilità di partecipare a corsi di lingua francese della durata di 600 o 800 ore completamente a carico dello Stato. Da noi? Niente o quasi.
Viene da chiedersi: la lingua è un diritto o un motivo di discriminazione? Dipende. Don Milani sosteneva: «È la lingua che ci fa uguali». «Tanto più per un immigrato», aggiunge la professoressa Monica Barni, direttrice a Siena del Cils, uno degli enti certificatori autorizzati dal ministero. E aggiunge: «In Italia siamo di fronte a un problema di eticità». Perché la conoscenza della lingua, se è il primo strumento per interagire, così diventa una barriera per isolare. Barni si chiede: «Come può un immigrato che lavora 10 ore al giorno e magari ha figli piccoli trovare il tempo per frequentare un corso privato di italiano?».
E poi, chi stabilisce che il livello di competenza linguistico fissato dal ministero sia il livello idoneo per essere un buon cittadino? E come saranno somministrati e valutati i test, tenuto conto che si svolgeranno in Questura in condizioni di grande stress per lo straniero? Infine, trattandosi di un test scritto ed essendoci molti immigrati analfabeti che sanno parlare ma non scrivere, la conoscenza parlata dell’italiano verrà misurata?

dal Manifesto del 20-08-2010