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"Donne e lavoro, Italia indietro", di Michele Di Branco

La speranza rosa arriva da Bruxelles. Uno studio della Commissione europea (Equality between women and men in a time of change) punta il binocolo sull’Italia e osserva che «la recessione ha colpito più gli uomini che le donne, sintomo che molti settori in cui si è sentito il peso della crisi sono a predominanza maschile». La crisi, insomma, può addirittura diventare un’opportunità di progresso per le donne: «Bisogna raccogliere la sfida e far crescere le politiche attive per l’occupazione femminile, i sistemi di flessibilità e sicurezza, soprattutto per quanto riguarda le tipologie contrattuali: lavoro accessorio, contratto di inserimento, part-time».
Quello che non sono riusciti a realizzare anni di battaglie sindacali, forse lo farà in futuro lo tsunami economico-finanziario degli ultimi due anni. Era ora, si potrebbe dire. Perché la situazione attuale è pessima. Un rapporto sul lavoro femminile in Italia scritto da Emilio Reyneri dell’Università Bicocca per il Cnel mette il dito nella profonda piaga delle ingiustizie. Il Consiglio di Lisbona di 11 anni fa fissava, per il 2010, a quota 60 per cento il livello occupazionale delle donne fra i 15 a 64 anni. Siamo 15 punti sotto quell’impegno e solo nell’isola di Malta si fa peggio. In tutta Europa, l’arrivo di un figlio riduce la possibilità di trovare un lavoro. Ma mentre altrove il tasso di occupazione di questa tipologia di donne è al 60 %, in Italia crolla al 42; soltanto la metà delle donne che rinuncia al lavoro dopo una maternità riesce ad essere riassorbita dal mercato. Lo studio della Bicocca mostra che le donne lavoratrici sono anche meno garantite sul piano contrattuale. Il 16 % sono occupate con un contratto a precario, con una differenza in negativo 5 punti rispetto ai colleghi maschi. «Le donne occupate – osserva ancora Reyneri – sono più istruite dei maschi, quasi il 19 % di laureate contro poco più del 12 dei maschi e oltre il 49 % di diplomate contro neppure il 43». Però i laureati raggiungono posizioni dirigenziali e intellettuali più spesso delle laureate, molte delle quali occupano posizioni tecniche e impiegatizie. A conti fatti, solo il 3 per cento delle laureate (contro l’11 dei laureati ) fa il dirigente: praticamente lo stesso rapporto di forze che esisteva già nel ’93. «La selezione dei posti di lavoro – protesta Susanna Camusso, segretario Confederale Cgil – la fanno gli uomini che tendono a scegliersi tra loro e che discriminano le donne per ragioni culturali e sociali». Secondo la dirigente sindacale «senza sostegno di politiche sociali adeguate, le donne in cerca di lavoro vengono colpite da un “effetto scoraggiamento” che contagia soprattutto le donne meno scolarizzate e quelle del sud». Una soluzione, mai sperimentata, per migliorare i livelli occupazionali arriva da Pietro Ichino: la detassazione selettiva del reddito di lavoro femminile. «Sarebbe una misura molto efficace – dice il giuslavorista – perché la domanda e l’offerta di lavoro femminile sono molto più elastiche rispetto al lavoro maschile e aumenterebbero sensibilmente in conseguenza di una riduzione selettiva dell’imposta sui redditi».

Il Messaggero 23.08.10