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"La metamorfosi di Marchionne dall´elogio dell´etica all´Ok Corral", di Paolo Griseri

Da canadese a texano, da manager-filosofo che cita Popper a uomo del saloon che sfida i sindacati all´Ok Corral. Non è chiaro se Sergio Marchionne, 52 anni e tre nazionalità, abbia davvero cambiato idea. E´ evidente che nel giro di pochi mesi la sua immagine si è clamorosamente rovesciata, una metamorfosi non solo mediatica che gli consente oggi di planare come un marziano nel tempio post-democristiano di Cl. Com´è stato possibile che il maglioncino blu più amato dalla sinistra italiana si sia trasformato in quello che un nutrito gruppo di sindacalisti chiama ormai «il nuovo Valletta»?
Sembrano lontani i tempi del Marchionne 1. «La Fiat è spesso caricata di un´identità simbolica, come una specie di matrice di idee e di valori. Sentiamo la necessità che tutte le nostre decisioni siano prese con cura, diligenza e rigore e con piena coscienza delle conseguenze che ne possono derivare. Per questo lo sviluppo della Fiat sta seguendo principi etici e sociali ben definiti». Era il 27 maggio 2008 quando l´uomo in maglione riassumeva così la sua filosofia manageriale agli studenti del Politecnico di Torino. Parole di miele per i sindacati e il centrosinistra: «Finalmente – avevano commentato i sindacalisti – un amministratore delegato che non rinuncia a confrontarsi con l´etica e le conseguenze sociali delle decisioni della Fiat». Una rivoluzione. Fino ad allora l´etica era arrivata ai vertici di corso Marconi solo in chiave difensiva, quando, all´inizio degli anni Novanta Cesare Romiti aveva varato in gran fretta un «codice etico» per parare gli effetti di tangentopoli. Più in generale, piaceva del nuovo leader Fiat quel pragmatismo all´americana che contrastava con i riti burocratici da esercito sabaudo del gruppo dirigente piemontese e con le consuetudini da salotto della politica dell´era romitiana. Quel Marchionne sarebbe andato al meeting di Rimini?
Era stato possibile quel salto di stile perché nel 2004 il Lingotto era sull´orlo del fallimento e quando la casa brucia non si può guardare all´etichetta. «Perché sono tutti in fila? Non hanno da lavorare?», aveva chiesto l´ad ai suoi collaboratori commentando, nell´autunno di quell´anno, la lunga coda di dirigenti davanti alla sala mensa di Mirafiori. Non molti di quei dirigenti sarebbero sopravvissuti al repulisti ordinato dall´uomo con il maglione per abbattere i costi e «appiattire la piramide del comando aziendale», come si diceva allora. Ma non ci furono sommosse né appelli al Presidente della Repubblica. I quadri e i capi, ai quali doveva apparire texano già allora, non protestarono perché glielo impediva la disciplina sabauda. I sindacati perché finalmente qualcuno si era accorto che molti dirigenti erano inutili. L´immagine simbolo di quella luna di miele con sindacati e sinistra è la fotografia del 26 maggio 2006 a Mirafiori con le mani dell´ad che schiaccia il pulsante rosso inaugurando la linea della Grande Punto e i sorrisi unitari dei leader di Fim, Fiom, Uilm e Fismic sullo sfondo. In primo piano la fascia tricolore di Sergio Chiamparino nel suo ultimo giorno di campagna elettorale per la rielezione e, molto in lontananza, Rocco Buttiglione nello scomodo ruolo di sfidante del supersindaco per conto del centrodestra. Il lunedì successivo Chiamparino vinse 66 a 33.
Il Marchionne 2 è molto recente ma fa precipitare l´età della luna di miele con i sindacati nel passato profondo. «E´ bene che la Fiom non abusi delle buone intenzioni. Adesso stiamo spingendo ai limiti. Altrimenti la soluzione più facile è quella di smantellare tutto e andarsene fuori». E´ il 12 giugno 2010, la location è il Consiglio delle relazioni Italia-Usa a Venezia. Marchionne è imbufalito per i distinguo e le diffidenze che sta incontrando il suo piano di rilancio della fabbrica di Pomigliano. Chi lo conosce da vicino assicura che si tratta di arrabbiatura autentica, non certo strategica. «Credo – osserva oggi Chiamparino – che in quella arrabbiatura abbia giocato anche la delusione per l´atteggiamento di una parte del sindacato, quella su cui lui inizialmente aveva fatto conto». Il sindaco di Torino non dice di più ma è evidente che con la trattativa su Pomigliano si è rotto un feeling. Soprattutto con quella Fiom che a Torino aveva collaborato per salvare la fabbrica dalla chiusura e in Campania non sembra altrettanto entusiasta del progetto di portare la Panda con 18 turni di lavoro. Luogo di grandi delusioni, Pomigliano, fabbrica refrattaria al primo tentativo “marchionniano” di cambiare tutto, nel 2005, modificando anche il nome dello stabilimento e battezzandolo con quello del filosofo Giovambattista Vico, il pensatore dei corsi e dei ricorsi storici.
Se dalla delusione può essere partita la spinta originaria alla metamorfosi, «il resto – osserva ancora Chiamparino – lo fanno spesso le strutture». Quelle che sentono il richiamo della foresta e che hanno trattenuto a stento per anni la tentazione di tornare alle abitudini della vecchia Fiat. Chi ha avuto l´idea di licenziare un dipendente di Torino accusato di aver usato il computer aziendale per mandare una mail di protesta contro la Fiat? Nessuno lo sa, ma ormai è irrilevante. Anche se è chiaro che il rapporto di causa-effetto è sproporzionato, in guerra ogni struttura difende i suoi. Nell´Ok Corral del Marchionne 2 mancano gli ambasciatori tra un campo e l´altro. I più attenti si interrogano sul dilemma di fondo: l´ad del Lingotto ha scelto il muro contro muro perché si sente molto forte e spera di spezzare così l´ultima resistenza sindacale o lo fa, al contrario, perché prevede l´arrivo di una stagione di lacrime e sangue nella quale la protesta sindacale rischia di diventare un lusso?
I palazzi del potere, osservano la guerra e la metamorfosi con apparente indifferenza. «Quel che lui pensa dei politici italiani, di destra e di sinistra, è facilmente intuibile», dicono i collaboratori. Che al maglioncino non vadano a genio le grisaglie è più che naturale. Incompatibilità stilistica. E culturale. Il manager laureato in legge e filosofia conosce i cavilli della cultura europea e per questo li detesta. Attribuirgli oggi una vicinanza al centrodestra, come ieri al centrosinistra quando Bertinotti lo definiva «un borghese buono», sembra del tutto improprio. Ma uno dei rischi indiretti della guerra in corso è proprio questo: quello di inserire l´uomo del maglioncino nel multiforme presepe della politica, applaudito da Sacconi e contestato dalla sinistra, costretto ad andare contro la sua natura per indossare la cravatta dei salotti all´italiana. O a cogliere l´applauso dei Formigoni-boys. I bene informati dicono che oggi al meeting di Rimini Marchionne eviterà l´insidia andando dritto per la sua strada. «Ma l´ipotesi peggiore – conclude Chiamparino – è quella del Marchionne 3, il rischio che cominci a perdere interesse per l´Italia, relegandola in coda ai suoi pensieri». Perché nella terza trasformazione, ci sarà sempre una Serbia o uno stabilimento americano dove andare a produrre le auto del futuro.

La Repubblica 26.08.10