cultura

Elio Germano da Cannes a teatro «L'Italia è poco democratica», di Francesca De Sanctis

«La libertà? Si conquista con il potere. Ecco perché ora scelgo il teatro». Elio Germano, 30 anni fra qualche settimana, dopo la Palma d’oro come migliore attore al festival di Cannes (ex aequo con Xavier Bardem), preferisce il palcoscenico al cinema: Thom Pain (Basato sul niente) di Will Eno, spettacolo già finalista Premio Pulitzer per la sezione Teatro 2005 e premio Fringe Award 2005 all’Edinburgh Festival, è la storia di un uomo curioso: antieroe solitario, amante tormentato, pazzo esistenzialista, comico caustico, prestigiatore, consigliere, canaglia, confessore, seduttore, ottimista ferito e pessimista speranzoso. «Sono rimasto per mesi senza lavoro – ci spiega l’attore – e così fino a gennaio girerò con il mio spettacolo», una produzione BAM Teatro in collaborazione con Mittelfest 2010.

Cosa le piace di questo monologo?
«È un testo molto contemporaneo, è stato scritto nel 2005. Mi interessa perché non annoia mai, offre la possibilità di far accadere ogni sera cose diverse. E poi mette in discussione la forma del teatro stesso, ecco perché l’ho scelto. Il personaggio parla con il pubblico in teatro, tutto è molto diretto. Mi è capitato di leggere Thom Pain un po’ per caso, in generale ho sempre cercato testi leggeri, da poter mettere in scena da solo».

Come mai ha deciso di prendersi questa «pausa» dal cinema, proprio ora, dopo la vittoria a Cannes?
«È una scelta dettata anche da motivi di lavoro, non avevo prospettive interessanti al cinema e ho deciso di fare questo investimento, poco economico, ma molto personale. È sempre difficile combinare le due cose, cinema e teatro, per ora scelgo il teatro. Mi piace molto far sentire il pubblico disarmato, in questo caso non c’è confine tra preparato e impreparato, tutto sembra improvvisato».

A proposito di Cannes, la sua dichiarazione («dedico questo premio all’Italia nonostante la sua classe dirigente») ha sollevato un polverone… ma che cos’è che non le piace della nostra «classe dirigente»?
«Sinceramente non mi interessa più parlare di queste cose. Più che di classe politica, parlavo di quello che è il mio lavoro… Mi piacerebbe che lavorassero le persone di talento, e che quelle incompetenti quantomeno non avessero posti decisionali importanti. Poi, in generale, la situazione in Italia non è molto diversa dal cinema».

Crede che il cinema possa essere «militante»?
«Militante è un termine che appartiene ad un’altra epoca storica, è già un miracolo riuscire a trovare il senso del proprio mestiere e a non appiattirsi sull‘idea che lavorare significa solo fare soldi. La deriva pericolosa è che quello che facciamo serve solo a questo, a ricavare profitto. Bisognerebbe invece ritrovare il piacere di fare il proprio mestiere. Non avrei potuto scegliere cosa fare se non avessi recitato in film che poi sono diventati dei film commerciali. Purtroppo le scelte cominci a farle quando acquisisci 5 minuti di visibilità».

Che opinione ha dell’attuale governo?
«Qual è l’attuale governo?! Per me bisognerebbe fare qualcosa per restituire un senso al Parlamento: chi c’è c’è mi sembra ci sia poca differenza. Non so se in Italia oggi governa il Parlamento o qualche lobby economica. Quando sono stato in Parlamento ho avuto delle bruttissime esperienze. Assistere alle sedute parlamentari è stata una delle esperienze più drammatiche della mia vita. Non credo che la politica si faccia lì».

E dove allora?
«Nelle strade, la politica è fatta da altre persone e in altri ambienti. C’è molto poco contatto con questi ambienti e questo rende il nostro Paese poco democratico».

Un nuovo Ulivo è possibile?
«L’idea di fare tante cose per poi venderle non mi piace. Le cose dovrebbero prima nascere, nel mio quartiere, nelle città, e poi avere un nome. Certe idee hanno fatto il fallimento della politica».

L’Unità 28.08.10