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Poveri. Sempre di più, sempre più invisibili

Alla Festa Democratica Nazionale si parla di povertà ed emarginazione sociale. Carmassi:”Il governo gioca con la crisi e vuol lasciare i privati ad occuparsi di chi resta indietro”. Il 2010 è l’anno europeo della lotta alle povertà, eppure a leggere i dati a guardarsi intorno in Italia la lotta alla povertà e alla emarginazione si faccia veramente poco, e male.
Di questo si è parlato nell’incontro tenutosi alla Festa Democratica Nazionale in corso a Torino, dal titolo “Poveri. Sempre di più, sempre più invisibili” al quale hanno partecipato Cecilia Carmassi, responsabile Terzo settore e Politiche per la famiglia del Partito Democratico, Marco Revelli, il maestro di strada Marco Rossi Doria, Joli Ghibaudi, Rafaela Milano, Michele Consiglio.

Aprendo il dibattito, Marco Revelli, presidente della Commissione sull’esclusione sociale, snocciola dati impressionanti sullo stato delle cose nel nostro paese, evidenziando come in Europa l’Italia sia tra i paesi più fragili.

Ci sono 8 milioni di persone in situazione di “povertà relativa”. Ovvero poveri in rapporto al resto della popolazione, una misura di distanza sociale, fissata alla soglia pari alla metà della spesa media degli italiani.

Un milione e 300mila le famiglie in situazione in povertà assoluta, e 3 milioni gli individui. In questa società che parla tanto di famiglia, che la idealizza, la famiglia è quella a cui si pone meno attenzione, e avere figli diventa una maledizione. L’incidenza della povertà minorile è del 25%.

La crisi ha avuto un impatto sociale sui lavoratori tremendi, c’è un’alta percentuale di “working poor”, poveri al lavoro. Prima i poveri erano quelli che il lavoro non l’avevano, o lo avevano perso, avere un lavoro tutelava dall’essere povero. Nell’Italia del 2010, il lavoratore povero è una realtà, anche piuttosto consistente (9,6% le famiglie con capofamiglia lavoratore in condizione di povertà relativa, il 6% quelli in povertà assoluta). In questo contesto si aggiunge che 8 punti percentuali del Pil nell’ultimo decennio si sono spostati. Dalle tasche dei lavoratori sono andati ai profitti. Si assiste ad una parallela diminuzione degli investimenti degli imprenditori nelle aziende. Questi 8 punti non sono tornati sotto forma di ricerca e sviluppo, impianti, migliorie in generale, ma si sono persi nella Las Vegas delle Borse.

I salari dei lavoratori italiani sono rimasti al palo negli ultimi 15 anni, all’interno dei paesi dell’Ocse sono quelli che sono cresciuti meno. I salari dei lavoratori italiani sono del 40% al di sotto di paesi come la Gran Bretagna o Corea del Sud e 30% sotto a quelli dei paesi europei.

In Italia l’idea che il reddito possa essere ridistribuito, che il reddito dei più ricchi, di quelli scandalosamente più ricchi, si possa ridistribuire in basso, è scomparsa. Mentre occorre ripensare alla redistribuzione del reddito e la difesa dei diritti. Non è possibile la logica del ministro Tremonti, quella del “Dono”, di classi dirigenti ricche che si possono concedere il lusso di tanto in tanto di concedere qualche diritto ai lavoratori.

Per Cecilia Carmassi il Governo ha giocato con la crisi: ” Prima non c’era, poi eravamo usciti, poi la crisi ci costringeva alla manovra. Il ministro pensa ad una società che lascia ai privati, al volontariato, al terzo settore, il compito di occuparsi di coloro che questo modello di società sta lasciando indietro. Spendendo sempre meno in sostegno alle famiglie e alle diversità”.

Raffaela Milano, vicepresidente nazionale di Save the children, racconta che l’associazione che rappresenta, non può restare indifferente ai dati che Revelli ha citato. “Il 25% di bambini poveri è un dato spaventoso. Perché molti di questi bambini hanno il futuro segnato, quello di essere quasi sicuramente condannati a restare nella povertà”. Quest’anno il rapporto sulla condizione delle madri che sono in situazione di povertà, che Save the Children, stila ogni anno, riguarda anche l’Italia. Le madri povere in Italia sono donne con famiglie numerose, che quando hanno un compagno che lavora non lavorano (in Italia, dove il tasso di occupazione femminile è già basso, scende al momento in cui le donne hanno un figlio e crolla se i figli sono tre), o madri sole che fanno lavori di qualsiasi tipo. A questo disagio si aggiunge la “vergogna” che vivere in questa situazione porta con sé, il sentirsi in colpa.

Ma questa situazione si può cambiare, si può invertire. Occorre, però affrontarlo sul serio, con piani strutturati e con un cambio di rotta per quanto riguarda gli investimenti sociali, e potenziando i servizi per l’infanzia. Mortificare la scuola significa aumentare le diseguaglianze, perché la scuola è un fortissimo strumento per abbattere le barriere sociali. Occorre, poi, incentivare l’occupazione femminile, gli studi hanno evidenziato che dove c’è maggiore lavoro femminile c’è maggiore natalità.

Raffaela Milano chiude ricordando che: “i bambini che nascono in Italia da cittadini stranieri devono essere considerati italiani, e devono poter esercitare i propri diritti di cittadinanza e non sentirsi figli di nessuno.”

Joli Ghibaudi, del Gruppo Abele e Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, ricorda che parole come accoglienza, dignità della persona, rispetto, sono parole ormai umiliate. Perché è umiliante ottenere un permesso di soggiorno solo perché sei considerato forza lavoro, è umiliante arrivare in Italia e trovare lavoro solo tramite vie clandestine, perché non esiste un permesso di “ricerca lavoro” e si diventa il boccone prediletto da certi giri criminali, è umiliante lavorare, potersi permettere un affitto e sentirsi chiedere 10 mesi di anticipo per il colore della tua pelle. È umiliante essere un rifugiato, avere, per legge, tutti i diritti, e vedere che non tutte le città ti concedono la residenza, non avendo così diritto all’accesso ai servizi, alle scuole ai centri per l’impiego.

È un’accoglienza di facciata che più che altro tende a respingere. Li respingiamo e poi poco importa se muoiono in mare o nelle carceri libiche, se non possono presentare richiesta di asilo, come tutti i trattati prevedono. Sono informazioni che le persone dovrebbero avere, per non permettere che passi l’idea del migrante che è solo criminale. Occorre un lavoro di sensibilizzazione.

Non si dice mai che i 4 milioni di migranti in italia producono il 9,7% del pil nazionale, quindi concorrono alla nostra ricchezza e pagano le tasse.

E chiude citando Italo Calvino e invitando a: “Cercare nell’inferno quel qualche cosa che inferno non è, e farlo durare il più possibile” Marco Rossi-Doria, è un “maestro di strada” e parla della situazione nel Mezzogiorno, dove i bambini poveri sono il 37% e nelle periferie dei grandi centri urbani si tocca il 50%. Contemporaneamente in queste zone il lavoro della scuola è complicato dal problema della mancanza di molti servizi. Il tempo pieno è gravemente penalizzato, perché la presenza di molte famiglie monoreddito, quindi con un genitore a casa, permettono di fare meno scuola, dove ce ne sarebbe più bisogno. Occorre un prolungamento del tempo di scuola, che implica un maggiore impegno ed una struttirazione dei programmi per dare di più. Le scuole devono aprirsi al territorio, diventare un centro di aggregazione sociale, uno spazio su cui riflettere sul modo di educare. La scuola pubblica italiana non è riuscita nel suo compito di favorire l’uguaglianza sociale, questo anche a causa dell’azione (o non azione) dei governi.

Rossi Doria ricorda che “chi non finisce la scuola non sono i benestanti, ma quelli che appartengono alle classi disagiate”. Dove c’è la scuola d’infanzia ben consolidata che lavora bene e che fa un lavoro costante con le mamme, soprattutto quelle in maggiore difficoltà, abbiamo risultati migliori.

È necessario dare di più a chi parte con meno. Il sistema scolastico pubblico standardizzato non fa che favorire la dispersione scolastica. Ci vogliono ore in più e attenzioni in più a chi parte con meno. E cita Don Milani per cui: “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali.“

Michele Consiglio, vicepresidente nazionale Acli, afferma che gli interventi che devono essere messi in campo non possono essere univoci, occorre la capacità d’intervenire su diversi modelli. Sui temi del sociale l’investimento viene, erroneamente, considerato improduttivo. Invece è produttivo anche dal punto di vista della produzione di una società democratica. “Perché parliamo di 8 milioni di persone fuori dalla società, fuori dalla democrazia”. Gli interventi devono avere il senso della complessità. La social card non ha a che fare con la considerazione delle difficoltà e delle criticità, dà solo dei soldi scordandosi di fornire servizi.

Il tema della povertà interessa tutto il paese, bisogna proporre al parlamento di farsi carico di un problema.

I comuni possono essere soggetti che erogano i contributi ma a cui la famiglia e gli utenti possano far riferimento, nella domanda. L’intervento non dev’essere solo in misura economica, ma anche di servizi.

Tutto questo si può fare se portiamo al governo un altro tipo di coalizione, perché i tagli fatti da questo governo impediscono tutto quello di cui abbiamo parlato.

“Il primo dato emerso dall’incontro – ha dichiarato Cecilia Carmassi – è che, al di là della retorica sulla famiglia, il governo sta demolendo tutto il sistema sociale a garanzia dei diritti dei più deboli”.

“Gli atti del governo rivelano la scelta di tagliare i servizi in sostegno a chi parte da una condizione di svantaggio, abbandonando gli ultimi a quella che ha tutto l’aspetto di un’impietosa selezione naturale”.

“Con il dibattito di oggi il Pd – ribadisce la Carmassi – ha voluto rivendicare la storia di politiche a favore dei soggetti deboli, politiche che, se il governo si degnasse di portare alle Camere i disegni di legge presentati da noi su questi temi, potrebbero tradursi in aiuti concreti”.

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