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"Un passo alla volta per resistere e provare a cambiare", di Mila Spicola

Basta un piccolo passo alla volta per cambiare», diceva qualcuno che di cambiamenti se ne intendeva, Gandhi. Lo ripeto ai miei ragazzi quando mi dicono, pigramente, «non sono capace» e bloccano a mezz’aria matite e colori. Basta un piccolo passo alla volta per fargli buttare giù con forza matite e colori per disegnare il loro presente e il loro futuro. Sono tempi lunghi quelli di un professore. Sono i tempi del silenzio, delle parole, della pazienza, dello sforzo. Domani torno a scuola per il collegio dei docenti di inizio anno. Saranno abbracci e sorrisi e fatti e decisioni di «ordinaria amministrazione » in un mondo che è sempre meno ordinario. È come se a ciascuno di noi, nelle scuole, avessero tolto il sangue poco alla volta: non te ne accorgi ma sei sempre più debole per sforzi sempre più grandi. Più alunni, meno ore, meno tempo, meno soldi,meno aule, meno bidelli. Meno colleghi. I precari che non sono precari: sono colleghi con i quali dividere i primi consigli di classe, con i quali programmare decisioni e lavori, ai quali raccontare di Luigi, di Antonio, di Martina. Uno ha il padre in galera, l’altro è quello «bravo», lui invece ha delle difficoltà relazionali. E spesso è un eufemismo. Quel collega vivrà con me un anno intero. Caffè e registri, progetti. E adesso lo ritrovo in via Praga, un budello di pochi metri dove si trova l’ufficio scolastico provinciale di Palermo, a tentare di capire se «ci sarà» o meno. Una di questi è Cleide. Docente di sostegno, la mia Cleide, l’unico sostegno, un’ora appena, che io ho avuto lo scorso anno, sulle 18 che insegno, nelle mie 9 classi, e tra i miei 240 alunni circa. Cleide è brava. Si occupava di M., uno dei miei alunni «h», in genere i nostri più amati e sono quelli più bistrattati dalle leggi. La Gelmini, o chi attraverso di lei, ha tolto loro ore di sostegno. Eppure con la mia Cleide, ed M. ne abbiamo compiute di meraviglie. Cleide è incinta. Sarà di nuovo mamma. È precaria, esclusa. Eppure è di una bravura… come tanti colleghi precari. Come Caterina, con la quale abbiamo veramente condiviso battaglie su battaglie in questi tre anni e in queste ore è a Roma a fare lo sciopero della fame. Come Gandhi? Sì: gesti eclatanti per permetterci di compiere i nostri piccoli passi lenti in modo sano, dentro le classi. Per permetterci di tornare a fare con dovizia di attenzioni e di mezzi il nostro mestiere e allontanare da noi l’ombra dell’accusa di essere «agitatori sociali» o, peggio, mangiapane a tradimento. Per permetterci persino, a chi fa politica attiva, di schivare la accuse di protagonismo. Ché poi tanto ti arrivano lo stesso: se stai zitto perché stai zitto, e se parli perché ci sarà sicuramente un retro motivo a giustificarlo, il tuo dire. Mai e poi mai viene da dire la verità: amiamo questo mestiere come un adolescente la propria ragazza. Eppure, posso dirlo? In beni quantificabili ci dà sempre meno.

L’Unità 31.08.10