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Italiani di nome ma stranieri di fatto

Alla Festa democratica si discute dell’integrazione etnica. Livia Turco: “Occorre creare una nuova unità di Italia non solo con il federalismo ma soprattutto con l’integrazione. È da qui che nasce la grande campagna politica di autunno del Pd per fare in modo che chi nasce e cresce in Italia sia italiano”
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È con un po’ di commozione che Livia Turco ha introdotto il suo intervento alla Festa Democratica di Torino. Il ricordo delle battaglie fatte alla fine degli anni ’90 proprio nel capoluogo piemontese per l’integrazione etniche in alcune zone a rischio come San Salvario e la promulgazione della legge sulla condizione dello straniero (L.40/98) proposta insieme all’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, le hanno dato quella spinta in più per prendere a cuore la soluzione al problema dell’integrazione degli stranieri in Italia.

“Torino è un’eccellenza nelle politiche per l’integrazione – ha dichiarato la Turco –, una città abituata alla collaborazione e al dialogo. Con Napolitano iniziammo proprio qui, nel quartiere di San Salvario con grandi difficoltà. È bello vedere oggi che San Salvario sia un punto di riferimento e di orgoglio della convivenza. Non ci sono più cittadini stranieri ma nuovi italiani. Una battaglia vinta grazie all’aiuto dell’amministrazione locale guidata dall’ex sindaco Castellani che fu in grado di spiegare come la sicurezza non è né di destra e né di sinistra”.

“Oggi – ha continuato la deputata Pd – le politiche sono molto diverse. Abbiamo un governo irresponsabile che attua la politica dei respingimenti con l’idea lontano dagli occhi, lontano dal cuore. La nuova battaglia è quella di fare che l’Art. 10 della Costituzione sull’inviolabilità del diritto d’asilo sia rispettato. Fare l’accordo con la Libia non significa respingere nel deserto le persone, soprattutto se ci troviamo difronte ad un Gheddafi che non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra”.

Per Livia Turco sono grandi le responsabilità del governo italiano nell’inculcare nella testa delle persone bugie sui numeri delle presenze, frottole leghiste di come gli stranieri rubino il lavoro agli italiani, o sulle richieste d’asilo per i rifugiati. La nuova forza lavoro che solo nel 1992 era pari a 50mila unità, oggi si stima sugli 864mila nuovi italiani. “Conosciamo i loro volti e le loro storie e non ci faremmo più ingannare da chi racconta frottole. Smascheriamo l’inganno” ha ribadito la Turco.

“E per dare un senso ai 150 anni dell’Unità di Italia – ha concluso la Turco – occorre creare una nuova unità di Italia non solo con il federalismo ma soprattutto con l’integrazione. È da qui che nasce la grande campagna politica di autunno del Pd per fare in modo che chi nasce e cresce in Italia sia italiano. Non dimentichiamoci della nostra storia di terra di emigrati. Da questa esperienza sappiamo costruire una nuova legge per l’Italia di oggi, terra di immigrati. Parlando al cuore della gente, costruiremo l’Italia della convivenza senza la paura dell’altro”.

Il dibattito è stato introdotto da Ilda Curti, assessore del comune di Torino alle Politiche per l’integrazione che ha spiegato la difficile situazione per molti giovani di trovarsi stranieri in patria. “Sono giovani adulti che vengono chiamati in modi diversi ma nessuno dei quali rappresenta ciò che sono. Immigrati di seconda generazione, per alcuni sociologi immigrati della prima generazione e mezzo, o più semplicemente extracomunitari. Sono semplici bambini fino a quando non raggiungono i 18 anni e diventano stranieri quando si accorgono di aver bisogno del visto e del permesso di lavoro. Sono amici dei nostri figli, pensano e pretendono in italiano. Sono ponti sospesi tra due mari.

A seguire le diverse testimonianze di giovani che sono nati o che vivono in Italia da tanti anni. Cittadini che portano sulle loro spalle le difficoltà di non essere considerati italiani, sebbene conoscano solo la nostra lingua e/o non abbiano mai vissuto un solo giorno nella terra da dove provengono.

Karid, giornalista professionista di origini marocchine, dice di sentirsi “italiano alla seconda. Ancor più italiano visto che ho giurato e firmato sulla Costituzione per poterlo essere. Ma ciononostante vivo il paradosso di essere figlio di una generazione nascosta o lasciata nascosta da chi non vuole ammettere una società multietnica. Siamo italiani di nome ma stranieri di fatto”.

Gli stessi pensieri sono stati fatti propri anche da Said, marocchino da 8 anni in Italia, arrivato come minore non accompagnato; da Uda arrivata in Italia a 10 anni, con istruzione italiana, sposata in Italia e con una bambina che dovrà aspettare di raggiungere i 18 anni per aver la cittadinanza; da Viciane, oggi cittadina italiana e candidata alle scorse elezioni regionali in Piemontese; da Mohammed, rifugiato sfuggito alla guerra nel proprio paese per poi ritrovarsi nella terra di nessuno dove si è considerati come un potenziale criminale o un problema per l’ordine pubblico.

Andrea Draghetti

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Una scuola interculturale per costruire l’Italia del futuro
Incontro su “Scuola e Immigrazione Intercultura: le buone pratiche”, alla Festa Democratica nazionale di Torino
In una società sempre più multi culturale e in cui le origini si mescolano facilmente la scuola non può che essere a prima e indispensabile agenzia di socializzazione e di preparazione per le generazioni future. Di questo si è parlato a Torino, alla terza Festa Democratica nazionale, nell’incontro moderato da Giovanni Bachelet con Letizia De Torre, Rosa Maria Di Giorgi, Christian Morabito, , Amedea Morsiani, Gian Matteo Sabatino e Livia Turco

Per Letizia De Torre Deputata PD, che introduce il dibattito, il senso di quello che sta avvenendo nelle scuole coincide con il fine ultimo dell’umanità. I popoli si sono mossi da sempre, in questo momento storico in particolar modo e quando nelle scuole noi ci occupiamo di accoglienza, di integrazione, non lavoriamo solo per gli alunni migrati ma per noi, per i nostri ragazzi, perché tutto ciò coopera al fine politico dell’umanità, ovvero l’incontro tra i popoli.
Per spiegare questa missione la De Torre cita Gandhi: “Se un solo uomo migliora spiritualmente con lui migliora tutta l’umanità.” E Palmiro Togliatti, quando scrivendo al Presidente della Repubblica in merito alla questione del confine istriano, diceva: “sarà possibile che le questioni della nostra frontiera siano affrontate con spirito di fraternità e collaborazione fra i due popoli dimenticando il passato.”
Nella scuola è questo spirito che si cerca di costruire. L’incontro tra culture e mentalità diverse che permette di unire i popoli.
L’interculturalità significa preparare i nostri ragazzi alla società del domani, quindi la scuola deve costruire nei ragazzi la capacità di affrontare questo momento di passaggio. Dobbiamo rafforzare nei ragazzi la cultura di ciascuno e prepararli a fare incontrare la loro cultura con quella degli altri, perché l’incontro delle culture produce qualcosa di nuova: la co-cultura, una dimensione nuova che ci contiene tutti, nonostante ognuno mantenga le proprie radici. E questo per la scuola significa saper rivedere tutto, e significa anche la capacità dei docenti di rimettersi in gioco, per trasformare la scuola e la società.
I dati dell’ultimo anno scolastico ci dicono che c’è stato un arresto nel flusso degli alunni migranti nelle classi italiane. Questo significa che la circolare del tetto del 30% di alunni immigrati per scuola è inutile.

Giovanni Bachelet ricorda che le scuole dove è stato superato il tetto del 30% sono poche e tutte hanno ottenuto la deroga. Quindi per mesi si è parlato del nulla, “come succede spesso questo governo parla di cose che non hanno alcuna attinenza con la realtà”

Per raccontare la scuola e i percorsi di accoglienza in questo incontro sono stati invitati degli operatori e degli amministratori che ne parlino attraverso le testimonianze, inizia Sheila Bombardi, del servizio assistenza della provincia di Torino, raccontando della situazione territoriale in cui opera, caratterizzata dall’aver conosciuto prima di altri territori i fenomeni migratori.

L’arrivo in corso di anno scolastico è frequente. Spesso la scuola si può trovare in una situazione di difficoltà, per questo esiste una sinergia tra enti che permette all’istituto di sapere quali e quante risorse ha, per rendere possibile l’accoglienza, senza lasciare i ragazzi isolati per mesi in un nuovo paese. I ragazzi vengono coinvolti in percorsi di formazione professionale.
Occorre continuare sulla strada della cultura, sulla capacità di andare di riconoscere e valorizzare gli apprendimenti precedenti all’arrivo in Italia e aiutare la scuola, in questo momento priva di risorse economiche, ad incrementare questi percorsi.

Anche Rosa Maria Di Giorgi, assessore all’educazione a Firenze. Per cui le politiche delle amministrazioni devono essere centrate su questo sforzo, che va al cuore dei problemi. Un’amministrazione deve sfidare il nostro tempo attraverso gli investimenti che fa nei bilanci. Tagliando sulle scuole e sulla formazione, definisce negativamente la strategia politica di governo dell’amministrazione. Meno si sta a scuola meno integrazione si fa, meno tempo pieno c’è meno possibilità abbiamo di fare integrazione. Fare qualcosa che serva davvero.

L’assessore racconta dei tre centri di alfabetizzazione costituiti in città: Ulisse, Gandhi e Giufà. Questi centri sono a disposizione di tutte le famiglie che hanno bisogno di imparare la lingua italiana. “Noi spendiamo 1 milione di euro, a cui si aggiungono i fondi della legge 285”

Christian Morabito, addetto alle politiche sociali delle Mauritius in rappresentanza dell’Onu, racconta di un paese composto da 1.200.000 abitanti di diverse etnie e religioni e lingue. Una situazione potenzialmente esplosiva. Ed è invece un’oasi della pace multi culturalistica. L’identità nazionale si può basare sulla multi cuturalità. “Un esempio emblematico – dice Morabito – di come l’integrazione non sia incompatibile con l’identità nazionale”.
Per fare questo occorre una formazione degli insegnanti. Prima e durante. E un’attenzione particolare anche da parte degli amministratori, nelle Mauritius al primo punto degli obiettivi c’è proprio il multi culturalismo.

Già a 3 anni i mauritiani familiarizzano tra loro, comprendendo nella diversità la normalità, ogni diversità è un piccolo tassello del puzzle che crea la loro identità nazionale. In tutti questi anni il Governo del paese non ha mai tolto un centesimo alla scuola pubblica, anche nei momenti di crisi. “Nessuna riforma che cambi l’aspetto della formazione ed esporti innovazione avviene a costo zero.”

Amedea Morsiani, dirigente settore scuola Comune di Imola, una realtà che risponde al 100% della domande di inserimento agli asili nido e scuole materne. Questo aiuta moltissimo anche le famiglie immigrate che si avvicinano all’istruzione pubblica.

La Morsiani spiega come funziona il percorso di accoglienza nelle scuole imolesi. Nel giro di una settimana la commissione valuta la corrispondenza del grado di scolarizzazione del bambino in arrivo, cerca la scuola più vicina e il grado di accoglienza (ovvero che nella classe non ci siano già altri fattori che non renderebbero efficace l’inserimento), definisce un monte ore di alfabetizzazione (in genere 4 ore per 4 settimane per 4 mesi) e predispone progetti sperimentali per migliorare l’integrazione. Come si può fare tutto questo: “Tutto questo è possibile non tagliando le risorse per la scuola pubblica, ma anzi aumentandole.”

Gian Matteo Sabatino, insegnante della comunità di Sant’Egidio, spiega che la scuola è importantissima in questo momento, perché permetterà il passaggio del nostro paese da una fase in cui l’immigrazione è vista come un problema e un pericolo ad una in cui si comprenderà che occorre integrare e programmare. La scuola fa società e i bambini stranieri che stanno nelle scuole accanto ai bambini italiani costruiscono la società di domani.

Gli stranieri devono essere non solo quelli che lavorano, ma anche quelli che studiano. Perché imparare l’italiano è la chiave per entrare nella società. Sabatino parla di quegli immigrati, adulti, che il sabato e la domenica vanno ad imparare l’italiano: “È l’immagine di una grande volontà d’integrazione. Sono 55.000 le persone sono venute presso di noi, dall’82 a imparare l’italiano.“
La comunità di Sant’Egidio crea le sue scuole nelle zone emarginate delle città, perché lì il rischio potenziale di conflitto è più alto, ed è proprio lì che si deve intervenire.

Dopo queste testimonianze il compito di chiudere l’incontro è dell’onorevole Livia Turco, che, appassionata, rimarca l’importanza di quest’incontro: “Abbiamo sentito testimonianze di chi ogni giorno si mette in gioco. Abbiamo discusso della cosa più importante: i nostri figli. E hanno bisogno di una scuola che sia di tutti e per tutti, che insegni a tutti. Per questo noi del PD facciamo della battaglia per la scuola pubblica un grande bandiera. Faremo di tutto per impedire il massacro di questo governo.”

I ragazzi di oggi hanno una fortuna che le generazioni passate non hanno avuto: vivere l’esperienza della mescolanza. Quando si parla di scuola interculturale si parla di una grande risorsa e di un’enorme ricchezza.
“Noi – continua la Turco – ci battiamo per la scuola interculturale per tutti. Perché noi che siamo cresciuti qui dobbiamo essere aiutati a diventare cittadini del terzo millennio, confrontarci con altre culture. Quelli che dicono l’Italia agli italiani, fuori gli immigrati ci hanno ingannato, l’integrazione non è un pedaggio, un costo che facciamo per gli immigrati. È una cosa che facciamo per noi. Per liberarci delle nostre paure infondate e costruire l’Italia della convivenza, l’Italia del futuro.”

Fra.Mino

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