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"Questione di classe", di Chiara Valerio

«Se si vuole far passare l’idea che 200mila precari sono frutto della Finanziaria e dell’azione del governo Berlusconi, allora non sono disponibile». Nessuna persona di vago senso comune, categoria alla quale io credo appartenga il Ministro Gelmini, può esserlo. Tuttavia, nessuna persona di vago senso comune può sostenere che i 200mila precari rappresentino o lo scarto spontaneo delle interazioni tra tentativi di riforma dell’istruzione pubblica, crisi economica e mercato del lavoro o marionette agitate da una forza politica forse trascendente, e di certo cospiratoria. I precari sono cittadini, sono elettori, hanno inclinazioni politiche, religiose e sessuali, hanno doveri e diritti, hanno condiviso, con il Ministro Gelmini e con i componenti dell’attuale Governo, l’esperienza di andare a scuola e dunque dell’accesso all’istruzione e alla conoscenza, e possono diventare protagonisti di un cambiamento sociale. La protesta dei precari, degli insegnanti di ruolo, del personale scolastico, degli studenti rende manifesto che il problema politico sotteso al problema economico sociale, è la gestione della conoscenza in quanto risorsa e ricchezza, in quanto bene collettivo potente e condizionante lo sviluppo di una società. Proprio per questo, amministrare questa ricchezza-risorsa, impone la definizione di un quadro politico, prima che economico («i numeri sono numeri, io mi limito a citarli»). L’articolo 34 della nostra Costituzione recita «La scuola è aperta a tutti. (…) I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi». Penso dunque che quest’orizzonte “costituzionale”, che ha come obiettivo la ridistribuzione delle ricchezze, e come fine la massima estensione delle conoscenze condizionanti lo sviluppo sociale, sia evidentemente un orizzonte di tipo socialista e democratico, e sia dunque, evidentemente un orizzonte politico non appartenente al Governo in carica. Raggiungerlo, definirlo, intuirlo passa tuttavia, per le forze di sinistra e di prospettiva, attraverso un rigore selettivo che potrebbe apparire, in abbrivo, non coerente. Gli insegnanti devono essere scelti con estrema accortezza e gli studenti, che accedono liberamente alle scelte universitarie senza test d’ingresso, devono essere vincolati a un percorso di studi che non ne favorisca l’uscita a tutti i costi e nei medesimi tempi. Il Ministro Gelmini durante la conferenza stampa di ieri oltre a sfoderare un’oscura e cacofonica nomenclatura per illustrare i punti forti della riforma («istituti tecnici superiori», «liceo delle scienze umane», «il livello B2 dell’apprendimento della lingua straniera», «la tradizione musicale del paese ») ha spiegato che uno dei fini della riforma scolastica è «incanalare i ragazzi in un percorso universitario». Incanalare è il contrario strutturale di scegliere. Avevo intuito che il Governo in carica non avesse inclinazioni socialiste ma, dopo la conferenza stampa di ieri, capisco che non ha più né inclinazioni né intenzioni coerenti al dettato costituzionale. Che, in ogni modo, per il Governo di una Repubblica democratica, dovrebbe essere un dovere.

L’Unità 03.09.10

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“I tecnici perdono 4 ore, i licei in 4 anni. E studiare costa di più”, di Fabio Luppino

Gli insegnanti stanno rendendo pubblico il loro malessere, la frustrazione, l’agonia per unmestiere che rischiano di non poter fare più. Ma ai ragazzi chi ci pensa? Le migliaia di prof senza posto corrispondono a decisive e deleterie sottrazioni di cultura con il ritorno in classe. Quasi nulla sarà più come prima. Tra quattro anni, nulla. Con una tempestività motivata solo da esigenze contabili negli istituti tecnici, quinte classi escluse, la cosiddetta riforma Gelmini delle superiori va a regime subito. Meno ore di lingua,meno ore di diritto, di geografia, meno ore di laboratorio (salvata solo la sperimentazione Mercurio, poco o nulla). Di contro, e per tutti, la rigidità sulle ore da sessanta minuti, come se fare ore da 55 o da 50 fosse un vezzo degenere delle scuole. In realtà, era una scelta per contemperare le esigenze dei ragazzi con i trasporti pubblici possibili: il governo ha tagliato anche quelli. Sicché molte scuole stanno anticipando l’inizio delle lezioni alle ore 8: ragazzi che hanno il loro istituto ad un’ora da casa dovranno alzarsi almeno alle sei e mezzo, così come torneranno a casa oltre le tre del pomeriggio, a tutto beneficio della formazione e del merito, come direbbe Gelmini… C’è un quesito giuridico legato a questo cambio in corsa, perché per i ragazzi che quest’anno frequenteranno la seconda, terza e quarta classe di ogni istituto tecnico di questo si tratta: la scelta era stata fatta su un piano di studi cambiato, quel che è avvenuto è legittimo o lede il diritto allo studio? Nei licei l’impatto sarà più soft. Si cambia solo per le prime classi. Che significa la sparizione della seconda lingua (in difformità con una direttiva europea che indica tassativamente lo studio di due lingue comunitarie), la riduzione a regime delle ore di filosofia negli scientifici e di matematica nei classici, la riduzione a istituto tecnico del turismo per i licei linguistici, con meno latino e pochissima matematica. Le sperimentazioni tipo Brocca (35 ore) saranno esaurite nei prossimi quattro anni. Con l’applicazione anche nei licei della riforma, di anno in anno, la situazione degli insegnanti precari sarà sempre peggiore: ci saranno sempre meno ore complessive per gli stessi prof. Allora: Gelmini ha detto che ha ereditato orde di precari dai governi precedenti, ma certo lei dall’anno scorso a quest’anno ha dato un grande contributo al peggioramento della vita di moltissimi nuclei familiari. Ultimo capitolo in grande peggioramento sta nei bilanci familiari. Quest’anno visto l’ulteriore assottigliamento dei fondi alle scuole (che potranno progettare poco o nulla e rimarrà intatta l’assenza cronica di carta igienica, carta per fotocopie, toner e quant’altro) ai genitori sono stati chiesti dei contributi volontari tra i cento e i duecento euro: le famiglie non sono, in punta di diritto, obbligate a pagarli anche se il conto corrente gli viene presentato al momento dell’iscrizione. La scuola dà meno,ma chiede di più.

L’Unità 03.09.10

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“Riforma Gelmini”, un avvio in salita, di Antonio Valentino

Indicazioni nazionali e Linee guida: stranezze e strabismi. Non so se mi sono perso qualche puntata o mi è sfuggito qualche passaggio. Comunque non sono riuscito a capire, dei recenti provvedimenti sulla Secondaria Superiore, le diverse modalità con cui, ad esempio, sono stati emanati i documenti relativi agli obiettivi generali e specifici di apprendimento, previsti dai nuovi Regolamenti dei Licei, dei Tecnici e dei Professionali.

Per i Licei, ad esempio, si è scelto la strada seguita finora; quella cioè del Decreto Interministeriale (nel nostro caso, del 26 maggio), con oggetto “Indicazioni Nazionali”.
Per il riordino degli obiettivi di apprendimento dell’Istruzione Tecnica (IT) e dell’Istruzione Professionale (IP), si è scelto invece lo strumento della Direttiva (n. 57 del 15 luglio per la prima; n. 65 del 28 luglio per la seconda) e si parla invece di Linee Guida.
Ma non è la sola stranezza. Infatti, mentre le Indicazioni Nazionali per i Licei riguardano l’intero quinquennio, le Linee guida per i Tecnici e i Professionali riguardano solo il primo biennio.
A leggere poi, senza neanche tanta attenzione, i tre documenti si scoprono cose altrettanto strane e un po’ più preoccupanti.
In primo luogo si rileva che le logiche che presiedono ai tre Documenti sono parecchio diverse tra di loro. Infatti, mentre le Indicazioni dei Licei ripropongono sostanzialmente logiche di formazione e piano studi con pochi elementi di innovazione (anzi, quadro orario e struttura dei contenuti risultano sostanzialmente impoveriti rispetto a non poche sperimentazioni degli ultimi due decenni), le Linee guida per il primo Biennio dei Tecnici e dei Professionali tendono a muoversi secondo approcci più innovativi e attenti al dibattito e agli orientamenti prevalenti a livello europeo. Mi riferisco, in primo luogo, ai temi delle competenze chiave di cittadinanza e del rapporto tra conoscenze – abilità – competenze, della laboratorialità e della centralità dei processi di apprendimento, della unitarietà tendenziale dei saperi e della valorizzazione delle moderne tecnologie della comunicazione e dell’approccio alla conoscenza.

Insomma, si conferma in pieno, sulla base di una lettura comparata, la percezione di un evidente strabismo ministeriale, già in parte evidente nei precedenti passaggi dell’operazione “Riordino”. Né vale l’obiezione che si tratta di tipologie di scuole diverse e che, quindi, le impostazioni non potevano che essere differenziate. No, il discorso qui non riguarda i profili culturali e professionali in uscita dei tre ordini di scuola, che legittimamente presentano peculiarità e differenze; riguarda piuttosto l’idea di scuola e di formazione e quindi di cittadinanza. E su questo non dovrebbero essere tollerati scarti e difformità.

Chiarisco esemplificando il ragionamento. Le direttive riguardanti le Linee Guida di Tecnici e Professionali contengono entrambi un “particolare riferimento alle indicazioni nazionali per l’adempimento dell’obbligo di istruzione di cui al regolamento emanato con decreto del Ministro della Pubblica istruzione n. 13912007 e ai risultati di apprendimento di cui agli allegati B) e C)”, oltre che ai Regolamenti emanati nel marzo scorso.

E, in effetti, nella costruzione dei percorsi di studio di entrambi gli ordini di scuola, c’è indubbia attenzione in questo senso. Non mancano zone d’ombra (non sempre, ad esempio, il rapporto tra conoscenze – abilità- competenze è coerente e organico e la nozione di competenza adottata non presenta, nelle varie articolazioni, lo stesso grado di solidità e concretezza). Ma l’insieme si presenta stimolante e in parte innovativo.

Va riconosciuto anche che la Commissione che ci ha lavorato è stata attenta alle sollecitazioni che da più parti sono arrivate circa la valorizzazione del Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, oltre che della dimensione europea della formazione che in quel Regolamento veniva recepita.
Infatti, l’ultima versione dei due documenti, sia nelle premesse metodologiche che nelle scelte contenutistiche, si muove seconde direttrici coerenti con tali scelte.
Niente o poco di tutto questo si coglie invece nelle Indicazioni per i Licei, soprattutto con riferimento al primo biennio.

Della serie: quando la mano destra ignora quello che fa la sinistra. Con gli interrogativi conseguenti.

Tra il dire e il fare
I riferimenti sostanzialmente positivi alle linee Guida dei Tecnici e dei Professionali non stanno però comunque a significare (almeno per l’autore di queste note) che l’operazione in atto possa ritenersi “la Riforma” dell’Istruzione Tecnica e Professionale.
Sono infatti troppi i tasselli che mancano: dalla formazione dei docenti e da una loro effettiva preparazione mirata a un nuovo modello di governance delle scuole (che superi la pesante autoreferenzialità che le connota e permetta politiche di responsabilizzazione apprezzabile del territorio); da una leadership esperta e competente ad una cultura organizzativa in cui coordinamento, integrazione, autonomia e responsabilità, rispetto agli esiti, siano criteri e leve caratterizzanti.
Di questo non c’è traccia nel “Riordino” in corso.
Si pensi solo al fatto che i nuovi Regolamenti prospettano un profilo docente per molti versi diverso da quello attuale e approcci alle discipline che valorizzano la dimensione dipartimentale (anziché disciplinare in senso stretto); eppure è mancata una campagna anche minima di sensibilizzazione, di promozione, di formazione mirata.
Quindi il rischio che indicazioni pur interessanti restino lettera morta è ben forte. Mentre appare sempre più evidente che il “Riordino” in atto ad altro non serva che a fare cassa. Quale altra ragione si può trovare per spiegare la diminuzione, negli indirizzi del settore Tecnologico – primo Biennio – , delle ore di laboratorio in copresenza, in una misura così considerevole (da 12 a 8!)? E ciò, mentre le Linee guida enfatizzano la centralità del laboratorio e dell’operatività come indicatori di innovazione!

La questione dell’Istruzione professionale
Un ragionamento a parte merita la direttiva e il documento tecnico delle Linee guida relativi all’IP.
Non si può certamente negare il respiro culturale ed educativo che si è inteso dare alle Linee guida né lo sforzo di delineare contenitori disciplinari più ambiziosi rispetto al quadro attuale. Il problema è che, soprattutto per il primo biennio, l’identità dell’istruzione professionale non appare messa ben a fuoco:

· troppe materie (ad esempio: era il caso di appesantire il curricolo del settore Industria e Artigianato con tre materie distinte dell’area scientifica?),

· indebolimento dell’area tecnico-operativa anche attraverso la consistente diminuzione delle ore degli ITP (da 11 a 5!) e, più in generale, degli insegnamenti tecnico-pratici e delle attività di laboratorio

· indeterminatezza del quadro professionale di riferimento (bene certamente il superamento, nel primo biennio, di una formazione troppo mirata alla figura di uno specifico operatore – meccanico piuttosto che elettrotecnico / elettronico o altro –; difficile da gestire è invece un percorso dove la dimensione orientativa rispetto al triennio successivo non appare sostenuta da scelte che appaiano chiare ed efficaci, almeno per quanto riguarda le classi di concorso previste.

Inoltre, l’aver eliminato la possibilità di utilizzare il primo anno del secondo biennio – anche in ragione di una opportuna ricalibratura dell’area di indirizzo dl biennio – per il conseguimento della qualifica professionale (la cui certificazione spetta comunque alla Regione, non è questo in discussione ), non solo ha tolto appeal a questo ordine di scuola (a vantaggio di corsi regionali, senz’altro molto meno preparate a gestire gli obiettivi dell’innalzamento dell’obbligo), ma ha anche indebolita la sua identità. Praticamente si è voluto eliminare, nei percorsi di istruzione superiore, l’unica “uscita laterale” possibile; “uscita laterale” che fino a ieri ha costituito punto di forza dell’Istruzione Professionale ed elemento qualificante della sua didattica.

E’ questa, comunque, una questione che andrebbe riconsiderata. E sarebbe importante che la riconsiderazione avvenisse dentro una visione dell’Istituzione scuola come soggetto centrale nell’erogazione del servizio di istruzione nel periodo dell’obbligo.

Le scuole di fronte al “doppio avvio”. Il difficile compito dei DS
Quest’insieme di questioni rende molto probabile un inizio d’anno in salita.
Considerati anche la mancanza di chiarimenti e rassicurazioni sia sull’ordinanza del TAR riguardante i decreti che prevedono la riduzione dell’orario annuale nei Tecnici e nei Professionali; sia sui pareri negativi, su tutta la linea, del CNPI.
Elementi, questi, che complicano ulteriormente il quadro.
Comunque, semplificando un po’, i comportamenti dei Collegi Docenti che è facile aspettarsi per questo inizio d’anno scolastico sono sostanzialmente due: fare finta di niente – e continuare tutto come prima, con qualche cambiamento di facciata -; oppure assumere su di sé la sfida a verificare e sperimentare senso e fattibilità delle innovazioni che pure non mancano nei Regolamenti e nelle Linee Guida.
E’ molto probabile che quest’ultimo comportamento possa essere interpretato come un assolvimento di politiche ministeriali deludenti e, per alcuni versi, nocive.
Ma potrebbe però essere visto anche come un recupero di protagonismo, nonostante tutto, delle scuole, sia nella progettazione che nella gestione delle innovazioni possibili. E ciò nella convinzione che la scuola pubblica non è della Gelmini – e compagnia governativa – e che il miglioramento delle nostre scuole e della preparazione dei nostri studenti non solo è più coerente con l’etica professionale di un lavoratore della scuola – cioè di un bene pubblico fondamentale -, ma potrebbe costituire occasione per un recupero di credibilità e di apprezzamento, per docenti e operatori in genere, da parte di un’opinione pubblica non sempre ben disposta.
Recupero di credibilità, e quindi di immagine, da cui potrebbero derivare ricadute positive per le scuole, anche in termini di iscrizioni.

Entrambi i comportamenti probabili hanno comunque motivazioni forti e solide da vendere.
Allo stato attuale, tra l’altro, è molto difficile che altri attori possano “pesare” più di tanto negli orientamenti dei CD. E la stessa posizione dei DS si presenta particolarmente delicata e difficile.
Insomma, un quadro a dir poco complicato. Comunque, “Speriamo che me la cavo”.

da ScuolaOggi 03.09.10