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"Un ministro senza vergogna", di Francesca Puglisi*

Il libro dei sogni del ministro Gelmini contrasta con la drammatica realtà della scuola e dei problemi che si riverseranno sulle famiglie: l’anno scolastico parte con 50.000 classi senza insegnanti, 16.000 scuole senza presidi, 8 miliardi di euro in meno in tre anni e 170.000 lavoratori della scuola pubblica lasciati per strada dopo anni di lavoro. Il resto sono solo chiacchiere e numeri che non hanno alcun riscontro nella realtà. I nostri ragazzi toccheranno con mano i problemi della scuola, vivendo in aule sovraffollate, sopportando interminabili ore di lezione frontale, con la matematica somministrata come una purga e la fisica o l’informatica studiata sui libri e non nei laboratori, grazie al taglio degli insegnanti tecnico pratici. La Gelmini pensa di raggiungere l’obiettivo imposto dall’Europa 2020 di dimezzare la dispersione scolastica, legando gli studenti ai banchi con le pesanti catene dell’ordine e disciplina e non accendendo in loro la passione per la scoperta e la conoscenza, unendo il sapere al saper fare. Le bugie del Ministro saranno smascherate dai genitori che scopriranno quanto preziosi erano i bidelli tagliati che non lasciavano in stato di abbandono i bambini della primaria mentre andavano in bagno o che dovranno accettare che il figlio con disabilità non ha più diritti uguali di apprendimento perché avrà pochissime ore di sostegno. Di fronte alle dichiarazioni in libertà della maggioranza, la decenza impone di ricordare che il Governo di centrosinistra aveva fatto diventare legge l’assunzione in ruolo di 150.000 precari della scuola. Gelmini, cancellando le cattedre, sta invece licenziando un numero di lavoratori equivalente a due Alitalia all’anno, ma in questo strano Paese, neppure lo sciopero della fame di giovani madri di famiglia licenziate dallo Stato riesce a dare uno scossone alle coscienze addormentate. Le altre balle del Ministro riguardano il Tempo Pieno. Dà numeri in percentuale di incremento, chiamando tempo pieno un tempo lungo parcheggiato: cos’altro possono essere 8ore al giorno trascorse conun maestro unico senza compresenze? Con una popolazione scolastica in crescita e genitori che continuano a bocciare il maestro unico, cresce il numero di famiglie che lo hanno chiesto senza ottenerlo. I dati sono poi drammatici per la scuola dell’infanzia: migliaia di bambini non vedranno una scuola fino all’età di 6 anni. Fortunati i piccoli della Regione Toscana che andranno ad occupare le 96 sezioni di scuola dell’Infanzia a cui lo Stato ha negato gli insegnanti. Non rimarranno a casa perchè Enrico Rossi ha deciso di aprire le porte di quelle scuole, investendo4 milioni di euro e dimostrando che, in tempo di crisi, Governare in un altro modo si può.

*responsabile Pd Scuola

L’Unità 03.08.10

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“Calpestati 14 anni di sacrifici per loro siamo solo dei numeri”, di Maria Novella De Luca e Salvo Intravaia

In gioco c´è il futuro di migliaia di famiglie e dei nostri figli. Come può questo governo essere così cieco e sordo. Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e tre bambini e di andare a Brescia. Ora tutto viene cancellato. «Sono figlia di un agricoltore e ho l´orgoglio di essere diventata maestra elementare. Ai miei tre figli ho insegnato il rispetto e la passione per la scuola, ho lavorato nei quartieri a rischio di Palermo, dove i bambini bisognava andarli a cercare nei vicoli e nei cortili per farli entrare in classe e “rubarli” alla criminalità che li assolda e li sfrutta. Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e i miei tre figli e di andare al Nord, in una scuola di Brescia, vivevo in una stanza d´albergo, cucinavo in un angolino, dei 1300 euro di stipendio non rimaneva nulla, ma non importa, ripartirei domani… E adesso questi 14 anni di precariato vengono cancellati, calpestati da un ministro che si rifiuta anche di incontrarci. Sì, lo so, corro un grave rischio a continuare lo sciopero della fame, soffro del morbo di Crohn e i medici sono stati chiari. Ma qui in gioco c´è il futuro di migliaia di famiglie, dei nostri figli e della scuola pubblica. Come può questo governo essere così cieco e sordo?»
Distesa su una barella del Pronto Soccorso dell´ospedale “San Giovanni” di Roma, Caterina Altamore, 37 anni, insegnante precaria di Roccamena provincia di Palermo, all´ottavo giorno di digiuno, racconta la sua battaglia, la durezza delle ultime settimane, il presidio davanti a Palazzo Chigi, «in tenda, con i topi che si infilavano dappertutto, le notti improvvisamente diventate fredde» fino alla delusione di ieri, dopo il rifiuto secco della Gelmini, “no, non incontrerò i precari”. Un muro. Una barriera. «Per loro siamo numeri, roba da niente», mormora. E aggiunge: «Il ministro dice che siamo politicizzati? La sfido a dire qual è la mia tessera».
Poi nel pomeriggio il malore, la corsa in ospedale con il 118, ma Caterina è una donna forte, decisa, occhi scuri fermi e diretti, mentre attende che la flebo di glucosio le restituisca le forze risponde al telefono, rassicura tutti. La sorella da Palermo, il marito Angelo Moscatelli, i colleghi: «Sto bene, sto bene, adesso torno al presidio, non vi preoccupate…». Anche lì in corsia si accende la solidarietà. Pazienti, infermieri: «Stanno distruggendo la scuola, resistete».
Caterina Altamore ringrazia, sorride, anche se il foglio di dimissioni non lascia dubbi: «Deve riprendere ad alimentarsi il prima possibile» scrivono i medici. Ma Caterina, ormai il simbolo di questa protesta durissima che sta saldando Nord e Sud contro i tagli che hanno espulso dal mercato del lavoro migliaia di insegnanti, va avanti. «Lo faccio per i miei figli, a cui ho comunicato l´orgoglio per lo studio e per il sapere, e infatti hanno la media del 10. Ma lo faccio per i ragazzi di tutta Italia, a cui questi tagli travestiti da riforma stanno togliendo il diritto costituzionale ad avere una scuola pubblica che funzioni, e non con classi di 40 alunni e le aule fatiscenti. Lo faccio per quei bimbi del “Capo” di Palermo, quelli che avevo in classe, e che senza tempo pieno resteranno per strada, in attesa di diventare soldati della mafia. E per noi, vite da precari, disposti a tutto pur di fare gli insegnanti, anche appunto a lasciare i miei tre bambini in Sicilia e andare in Lombardia». Nuovi migranti tra i migranti, e in gran parte donne, aggiunge Caterina. «Perché non è vero che la gente del Sud non si muove, non si sposta. A Brescia l´esperienza è stata bella e importante, lì ci sono ricchezza, strutture, ma il taglio di fondi sta demolendo anche quel mondo. Un anno di viaggi e di valige, di nostalgia, e meno male che a casa c´erano mia madre e mia suocera…». La famiglia appunto. Un punto fermo per Caterina, cattolica praticante, che si è sposata a 21 anni, e poi con Angelo ha fatto tre figli. «Ma non ho mai saltato una supplenza, ogni volta che mi è stato dato un incarico l´ho portato fino in fondo, e ancora oggi ho lo stesso entusiasmo, credo davvero che le cose possano cambiare, la gente se ne sta accorgendo, certo la cosa assurda è che per parlare di scuola pubblica ci voglia il gesto estremo dello sciopero della fame».
Dimessa dall´ospedale Caterina torna al presidio davanti a Palazzo Chigi. Il referto sotto il braccio. L´avvertenza di smettere il digiuno e di bere il più possibile. Il morbo di Crohn è una malattia grave, provoca ulcere e lesioni interne. «Senza lavoro per me sarà anche più difficile curarmi, la Sanità in Sicilia è così distrutta che spesso devo utilizzare le strutture private e una colonoscopia costa anche mille euro». Un velo di tristezza, di preoccupazione. Ma è un attimo. Caterina torna allegra. «Meno male che da ieri sera è arrivato il camper della Cgil. Ora la notte sarà meno dura». Ad aspettarla lì, come ormai da giorni, gli altri colleghi con cui condivide lo sciopero della fame, Giacomo Russo e Salvo Altadonna. «Quanto andrò avanti? Fino a che non avremo delle risposte, fino a che le forze me lo permetteranno. I miei figli? Lo sanno e mi sostengono. Mio marito? E´ preoccupato, ma sa che io non mi fermo. Non posso. Corro un rischio, è vero, ma è una battaglia di civiltà».

La Repubblica 03.09.10

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“Scuola, i perché del solito caos”, di Paola Fabi

La Gelmini promette rigore con gli studenti ma, a una settimana dal via, gli istituti non sono pronti.
Loro fuori a protestare, anche con sciopero della fame, lei dentro al ministero di viale Trastevere ad attaccare. Chi si illudeva di avere una parola di speranza dal ministro Gelmini sul posto di lavoro è rimasto deluso: «Ora non ricevo i precari». E pur manifestando solidarietà «a chi protesta per la perdita di lavoro » il titolare del ministero dell’istruzione non risparmia una frecciata: «Sono strumentalizzati dalle forze politiche di opposizione. Chi protesta ancora non sa di essere stato escluso dalle supplenze». E, quindi, per ora niente dialogo.
Parla, però, della «riforma epocale» della secondaria di secondo grado che prenderà avvio con l’anno scolastico ormai alle porte, del tempo pieno alle elementari che aumenta rispetto allo scorso anno (secondo i conti del ministero), del nuovo concorso per dirigenti scolastici, del sostegno e dell’altra riforma «epocale» per il reclutamento degli insegnanti.
Un «libro delle favole» secondo l’opposizione, i sindacati e i coordinamenti dei precari. Questi ultimi, in particolare, ribattono: «Troppo facile accusarci di essere militanti politici, di essere pretestuosi».
I dati dei precari sono presto detti: 67mila docenti e 35mila Ata hanno perso il posto in due anni, «e non c’è bisogno di attendere per sapere che non avranno un lavoro quest’anno: basta guardare le disponibilità pubblicate dai provveditorati e i numeri dei convocati. Chi è fuori sa già di esserlo, molti lo sono già dallo scorso anno. Diecimila assunzioni – ribattono – sono irrisorie, a fronte di 67mila posti a tempo indeterminato tagliati e 130mila cattedre tuttora vacanti».
Su una cosa sicuramente il ministro ha ragione: la maggior parte dei supplenti ancora non sa se salirà in cattedra. Si tratta di circa 120mila insegnanti che ancora non sono stati nominati per le difficoltà degli uffici scolastici provinciali. Il primo settembre si è svolta la tradizionale riunione di inizio anno, quella che serve a organizzare l’attività scolastica: i 700mila insegnanti di ruolo hanno partecipato, i supplenti no. E ci vorranno almeno due o tre settimane per avere tutti i posti coperti.
Inoltre, secondo i primi dati sugli organici definitivi, le classi saranno ancora più affollate e i disabili dovranno vedersela con una riduzione delle ore di sostegno (anche se la Gelmini ha annunciato trionfalmente che i posti aumenteranno).
La riforma delle superiori (quella «epocale») vedrà oltre ai nuovi licei il calo dell’orario di lezione in tutti le classi e indirizzi e anche la “dimenticanza” del ministero di emanare il decreto sui tetti di spesa per le prime classi della nuova scuola secondaria superiore.
Ma i tagli si sono abbattuti anche sul tempo pieno alla scuola elementare. Le prime a tempo pieno sono diminuite dell’8 per cento. La scure di Tremonti determina, dopo quella dell’anno scorso, anche una ulteriore contrazione delle classi: meno tremila e settecento, nonostante gli alunni siano in crescita di 20mila unità.
Ma l’anno scolastico 2010-2011 sarà soprattutto l’anno dei presidi part-time. Sono, infatti, oltre 1500 le scuole a cui è stato assegnato un dirigente scolastico reggente, cioè un preside che ha già un istituto da dirigere ma che dovrà occuparsi anche di un altro istituto con preside vacante.

da Europa Quotidiano 03.09.10

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“Il solco tra il dire e il fare”, di Luigi La Spina

Fare il ministro della Pubblica Istruzione, oggi in Italia, è uno dei mestieri più difficili e, nello stesso tempo, più determinanti per il nostro Paese. Si è destinati a guidare una struttura elefantiaca, dove convivono eccellenze professionali sorprendenti assieme a sacche di inefficienze, mediocrità, menefreghismo irriducibili. Un mondo, quello della scuola, condizionato da un sindacalismo corporativo che, associato al clientelismo politico, ha costruito nei decenni uno pseudowelfare assistenziale responsabile di illusioni e di strumentalizzazione per migliaia di giovani, vittime di un precariato quasi perenne. D’altra parte, a quel ministro è affidata una missione assai impegnativa: garantire il futuro occupazionale ai nostri figli, farne dei cittadini consapevoli del nostro Stato e selezionare la classe dirigente dei prossimi anni.

Il compito, già molto arduo, è stato reso, per l’attuale ministro del governo Berlusconi, ancor più difficile dalle ristrettezze del bilancio pubblico, sul quale l’occhiuta vigilanza del collega Tremonti non permette eccezioni.

Mariastella Gelmini, come ha ribadito nella conferenza stampa di presentazione del nuovo anno scolastico, ha scelto, in queste condizioni, una strategia sostanzialmente mediatica, affidata a una serie di annunci-intenzione, fondati su un messaggio semplice ma efficace: occorre ripristinare, nelle aule italiane, un clima di serietà e di rigore meritocratico. Sia nei confronti degli studenti, sia nei riguardi del corpo insegnante.

L’immagine di durezza, di intransigenza che la Gelmini ha diffuso in questi anni di guida al ministero di viale Trastevere è stata persino volutamente inasprita dai due principali nuovi suoi annunci, quello sulla bocciatura di chi colleziona più di 50 giorni di assenza e quello sulla chiusura a qualsiasi trattativa per l’assunzione dei precari. E’ evidente la sua volontà di farsi sostenere dalla maggioranza dell’opinione pubblica, favorevole a un ritorno della severità negli studi, per sconfiggere le resistenze della burocrazia e, soprattutto, dei sindacati scolastici.

Le strategie dei politici, come quelle degli amministratori delle aziende, un paragone che non dovrebbe dispiacere al ministro Gelmini, si giudicano, però, non dalle intenzioni, ma dai risultati. Soprattutto dal confronto non dal mondo come dovrebbe essere, ma da quello che realmente esiste. Nell’attuale situazione della scuola italiana, il rischio della sua strategia è evidente: l’esasperazione, quasi provocatoria, delle diagnosi e delle terapie sui mali dell’istruzione pubblica, in molti casi fondate, potrebbero portare a tali reazioni da suscitare effetti opposti a quelli che si vorrebbero suscitare. La Gelmini si potrebbe trovare davanti a un vero «muro di gomma», fatto di pervicace boicottaggio e di resistenza passiva di chi dovrebbe attuare quelle direttive, tale da vanificare qualsiasi volontà riformatrice.

Il sistema della scuola italiana è molto più complicato di quanto la Gelmini faccia finta di credere ed è difficile si possa smuovere senza la collaborazione e il consenso della grande maggioranza di coloro che ne fanno parte. E’ vero che il ministro deve disinnescare una «bomba precari», la cui miccia è stata accesa da predecessori irresponsabili e da gravi complicità sindacal-politiche, ma non può ignorare la condizione drammatica di tanti giovani ed ex giovani destinati a una sicura disoccupazione. Con l’aggravante di accuse generalizzate e ingiuste sulla loro militanza politica. Prima di tutto assolutamente presunta e, poi, eventualmente, del tutto legittima in un Paese democratico.

Così come è evidente che bisogna frequentare con costanza l’aula scolastica. Ma le eccezioni alla regola dei 50 giorni di assenza, peraltro già ammesse dal suo ministero, rendono abbastanza irrilevante un annuncio la cui concreta attuazione si affida al solito buon senso del collegio degli insegnanti. Siamo tutti d’accordo, naturalmente, sulla meritocrazia, come condizione essenziale per una selezione che non sia fondata sull’iniziale livello della condizione sociale degli alunni. Ma il confine con il darwinismo scolastico si misura su una condizione essenziale: che al mondo dell’istruzione siano concesse maggiori risorse di quelle che, finora, sono state riservate a questo settore.

Ed è del tutto inutile parlare continuamente di quanto sia importante l’investimento sul futuro dei nostri giovani, sulla formazione e sulla ricerca, se poi, a questi buoni propositi, non seguono stanziamenti adeguati. Purtroppo, il confronto con i maggiori Paesi del mondo, in questo campo, boccia l’Italia, anche quella che, nelle nostre aule, non fa più di 50 giorni di assenza.

La Stampa 03.09.10