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I vescovi alla Gelmini: "non speculi sulla pelle dei giovani"

Si può scrivere e suggerire, come f al’Avvenire, ieri, nell’editoriale, che «bisogna salvare l’essenziale», fermare le«strumentalizzazioni», guardare i bambini, i «nostri cerbiatti», i «nostri bambini-giaguaro» negli occhi, pensarli come un «plotone d’esecuzione» che ci mette «al muro delle nostre responsabilità» e considerare che «non c’è reato più grave oggi in Italia che trattare male la scuola». Oppure si può fare lo sciopero della fame per sedici giorni e poi gridare che «la scuola è l’ultimo baluardo di democrazia in questo paese», che «se cediamo sulla scuola non c’è più nulla», che «i tempi sono maturi per una grande mobilitazione, entro settembre, in difesa dell’istruzione e delle pari opportunità per tutti, i figli dei contadini come di questi onorevoli che guadagnano tanti soldi»,come fanno, sotto il sole di piazza Montecitorio, Giacomo Russo e Caterina Altamore, i due precari palermitani, tecnico di laboratorio lui, maestra elementare lei, diventati simbolo di questa stagione di proteste,appena iniziata. Con manifestazioni spontanee e digiuni, in tutta Italia.
L’essenziale, per dirla con il quotidiano dei vescovi, dovrebbe passare comunque. È il grido di dolore che sale dalla scuola italiana. Attraversale proteste dei precari. Come le colonne dell’Avvenire, attente a cesellare in modo equanime il discorso sulle responsabilità, che «vale per il Ministro,e per ogni adulto che ha una funzione nella scuola». Il ministro dell’Istruzione, appunto, dovrebbe, quantomeno, ascoltarlo. Invece anche ieri l’occasione è andata sprecata. Il botta e risposta innescato dall’editoriale si sposta subito sul delicatissimo terreno dei rapporti tra mondo cattolico e governo. Mai così accidentato. E prima che qualcuno si metta a dare fuoco alle polveri, come è accaduto con Famiglia Cristiana, tocca a direttore e all’editorialista, Davide Rondoni, spiegare che «la tempesta di interpretazioni in chiave anti-ministro non sta né in cielo né in terra». E poco importa a quel punto se nell’editoriale si parla di «avvio confuso e non privo di ombre» dell’anno scolastico, di riforme dell’università non meno«accavallate» («ora se ne aspetta una un po’ ordinata e di prospettiva»). «Da Avvenire nessun attacco al ministro», incassa subito Maristella Gelmini. Evidentemente ai suoi occhi l’essenziale è quello. L’essenziale, invece, lo racconta un altro fotogramma di ieri, caduto fuori dai riflettori. Piazza Montecitorio, di là dalle transenne, è quasi deserta, inattesa che riprenda l’attività parlamentare. Di qua, telecamere, cartelloni,insegnanti. Una signora sui cinquanta taglia la scena e si avvicina a Giacomo Russo e a Caterina Altamore, in attesa che cominci la conferenza stampa, convocata sotto il sole settembrino. «Sono venuta a manifestarvi la mia solidarietà», dice sottovoce. Si chiama Lorella De Matteis, 49 anni,insegnante di latino e greco al liceo Mamiani. «Io sono di ruolo, ma questa precarietà ci sta uccidendo e non è solo la loro, nella scuola è endemica e permanente, riguarda anche noi che siamo assunti e soprattutto i ragazzi, che si ritrovano in classi sempre più numerose, con le ore di insegnamento ridotte, con insegnanti che vanno e che vengono. Dire questo è politica? Ma la nostra vita è azione politica. Altrimenti cosa resta: la raccomandazione?», finisce di dire, che Caterina e Giacomo prendono la parola. Dicono che smetteranno lo sciopero della fame, che invece altri stanno continuando, a Pordenone come a Benevento. «Ora la parola deve passare alla piazza, porteremo la gente nelle strade, ha ragione il ministro quando dice che la scuola non è uno stipendificio, la scuola siamo noi, teste pensanti».

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