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"La sinistra non c’entra, i precari sono aumentati con Craxi e la Dc", di Fabio Luppino

Gelmini contando sulla scarsa memoria di politici e commentatori lancia slogan che non hanno alcun fondamento storico e anche politico. L’ultimo è il seguente: l’abnorme numero di precari è colpa della sinistra. Proviamo a spiegare quanto questa affermazione faccia a botte con la realtà delle cose. I precari della scuola hanno seguito lo stesso percorso del debito pubblico. Il rigonfiamento senza ritorno si ebbe nel decennio 1980-1990 che mai vide alla guida del governo un uomo di sinistra. Erano gli anni del pentapartito di Craxi, degli sfondamenti, dell’onda lunga, della magnifica epoca in cui si dilapidava il patrimonio pubblico e si fece raddoppiare il debito con pratiche che l’inchiesta Tangentopoli svelò nelle più trite degenerazioni. E a fare i ministri della Pubblica Istruzione si succedettero nell’ordine Valitutti (Pli), Bodrato-Falcucci- Galloni-Mattarella-Bianco-Misasi (tutti Dc). Erano anche gli anni in cui si bandivano concorsi (quello alle Poste divenne leggendario) per cinquemila posti che, per motivi elettorali, vista la breve durata di alcuni esecutivi, venivano artatamente elevati a quindici-ventimila, anche se non servivano. Nella scuola, che ancora viveva della fase ascendente della generazione del boom della natalità (quelli degli anni sessanta) per le stesse ragioni, fu inventata, complice i sindacati, la doppia graduatoria per l’accesso alla professione insegnante. Nei primi anni ottanta bastava laurearsi in Lettere o in Matematica e si iniziava in pochi mesi a fare supplenze: i ragazzi erano molti, con tutto che la numerosità delle classi era elevata, ma l’altrettanto alto numero di aspiranti insegnanti aveva la possibilità di trovare una collocazione, precaria, ma con una garanzia di continuità negli anni. Nello stesso tempo l’accesso al ruolo avveniva solo per concorso: in quel decennio se ne fecero due, uno nell’85 e l’altro nel ‘90. Fare i concorsi costa. Il numero di professori che serviva per mandare avanti la scuola era enorme: lavoravano, ma senza abilitazione. Si decise, allora, invece di fare i concorsi ogni biennio, o ogni anno, di creare una graduatoria per anzianità: si chiese a chi aveva fatto anni di supplenza di portare certificati di servizio che lo attestassero e si creò una graduatoria, nota ormai da trent’anni come doppio canale, da cui nelle varie materie di insegnamento si iniziò ad attingere per le immissioni in ruolo. Così, il 50% di prof iniziò ad entrare nella scuola per concorso e l’altro 50% attraverso il doppio canale: quest’ultimi hanno ottenuto l’abilitazione «riservata» all’insegnamento, qualcuno anche mai. La presenza di prof di oltre cinquant’anni ancora precari deriva da questa sanatoria-stortura. Trent’anni fa il numero di precari era molto minore. Ma con la fine degli anni ottanta le curve insegnanti- alunni iniziarono a divergere: i primi rimasero costanti, i secondi divennero sempre di meno. Sicché il numero dei precari aumentò paurosamente e per coloro che avevano superato il concorso gli anni d’attesa per l’immissione in ruolo divennero quasi biblici: quando si fece l’ultimo, quello del ‘99, le graduatorie di nove anni prima non erano affatto esaurite. E non lo sono oggi quelle di undici anni fa, tant’è che continuano ad arrivare telegrammi per contratti a tempo indeterminato a chi nel frattempo ha cambiato vita. La politica, per peggiorare la situazione di persone che comunque ogni anno si sono messe a disposizione dello Stato, ci ha messo del suo. Usare il dato meramente matematico del numero di insegnanti per studenti come fa Gelmini, ma comenegli anni precedenti hanno fatto Luigi Berlinguer o Padoa Schioppa, non ha alcun senso. Basta girare l’Italia, le migliaia di comuni con mille o duemila abitanti per rendersi conto cosa bisogna fare per garantire a tutti il diritto all’istruzione. Non solo. L’assenza di uno screening puntuale sulle reali necessità territoriali di prof, questa sì una urgenza federalista, ha fatto sì che a fronte di un numero scarso di laureati al Nord, anche per insegnare, ce ne continuasse ad essere uno sovrabbondante al Sud. Ed ecco che si spiegano le storie di persone che, da precarie, hanno girato l’Italia, da Sud a Nord e che adesso lo Stato vuole lasciare a casa. A dare l’ultimo colpo ci ha pensato la legge 133 Gelmini-Tremonti.Macosì si uccide la scuola e continua lo scaricabarile sui precari.

L’Unità 08.09.10

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