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"11 settembre, missione incompiuta: tutti gli errori Usa nella lotta al terrore", di Loretta Napoleoni

In America, l’anniversario dell’11 settembre si profila polemico. Da una parte la destra cristiana incita a bruciare il Corano nelle pubbliche piazze e dall’altra il Tea Party, il movimento conservatore, accusa il Presidente Obama di essere musulmano.
Invece di onorare i 3 mila morti nell’attacco terrorista più spettacolare della storia moderna, l’America cerca vendetta. Eppure pochi giorni fà le truppe di stanza in Iraq sono tornate a casa, una decisione che Washington ha preso per motivi elettorali: l’amministrazione non vuole arrivare alle mid-term elections di novembre, considerate una sorta di referendum sulla sua popolarità, con i cadaveri dei soldati americani negli aeroporti militari.

Voltare pagina senza una vittoria è però difficilissimo. L’elettorato sa bene che le truppe si sono lasciate alle spalle una nazione democratica, che però da sei mesi non riesce a formare un governo, un Paese etnicamente diviso dove la violenza sta tornando a far parte del quotidiano. Il desiderio di vendetta della destra cristiana nasce proprio dalla certezza di aver perso la guerra contro il terrorismo, non solo in Iraq ma anche in Afghanistan dove l’esercito talebano continua ad avanzare ed Osama bin Laden è ancora a piede libero. Quello del resto del Paese invece è stimolato dalla crisi economica dal momento che molti intuiscono che tra terrorismo ed economia esiste un filo diretto.
Per seguirlo bisogna rivisitare l’assurda certezza di bin Laden, espressa alla fine degli anni Novanta in una serie di lettere, le Epistole Ledenesi, dove spiegava che l’11 settembre avrebbe inflitto un colpo mortale all’economia americana. Anche se i danni a Wall Street sono stati trascurabili, paradossalmente la risposta di Bush ha messo in moto una serie di eventi che hanno fatto precipitare l’America e l’occidente nel pantano economico attuale.

Il Patriot Act, introdotto poche settimane dopo la distruzione delle Torri Gemelle, non solo non ha tarpato le ali al finanziamento del terrorismo ma ha inflitto un durissimo colpo al dollaro.
Per paura di essere perseguitati, gli investitori musulmani hanno rimpatriato circa 3000 miliardi di dollari mentre le banche internazionali, per evitare i controlli delle autorità monetarie americane, hanno suggerito alla clientela di ridurre gli investimenti in dollari ed aumentare quelli in euro. Infine, il riciclaggio del denaro sporco ha traslocato dagli Stati Unti in Europa, dove ancora oggi non esiste una legislazione simile. Questi eventi hanno rivoluzionato i flussi dei capitali, riducendo drasticamente la domanda mondiale di dollari che a sua volta ha fatto crollare il valore del biglietto verde.

La war on terror passerà alla storia come il conflitto più costoso mai intrapreso e questo perché lo scopo vero non era catturare Osama bin Laden e distruggere al Qaeda, ma ridisegnare la mappa geopolitica del mondo. Un’impresa gigantesca preannunciata nel lontano 1993 dall’allora sottosegretario alla difesa Dick Cheney che voleva rilanciare il ruolo egemonico degli Stati Uniti nelle aree strategiche del pianeta.
L’Iraq dove dal 1991 tutte le amministrazioni americane, inclusa quella di Clinton, avevano cercato di sbarazzarsi di Saddam Hussein, era una di queste. Con l’elezione di Bush figlio questa visione del mondo diventa il credo dei neo-conservatori e la guerra contro il terrorismo lo strumento per metterla in atto.

A finanziare questa follia economica e politica non è però l’erario pubblico ma la vendita del debito pubblico statunitense all’estero. E per rendere competitivi i 4 mila miliardi di dollari di buoni del tesori che l’America di Bush ha smerciato sul mercato dei capitali internazionali la Federal Riserve non esita a tagliare drasticamente i tassi di interesse. Si tratta di un vero crollo: dal 6% alla vigilia dell’11 settembre al 1,2% nei primi mesi dell’estate del 2003 quando Bush dichiara Missione Compiuta.
Alan Greenspan persegue questa politica deflazionista in un momento in cui l’economia mondiale cresce troppo rapidamente e c’è pericolo che si formino bolle finanziarie, quando insomma c’è bisogno di una politica di tassi alti per frenare l’economia. Lo fa perché l’abbattimento dei tassi è lo strumento utilizzato per combattere tutte le crisi economiche della globalizzazione, da quella del Rublo, a quella dei mercati asiatici, e l’11 settembre ha innescato in occidente una mini recessione.

Oggi sappiamo che questa politica ha creato le condizioni ideali per la creazione e diffusione dei mutui subprime e per la cartolarizzazione del debito insolvente, ovvero la genesi della crisi del credito. A quasi 10 anni dall’11 settembre l’America ha capito che la guerra contro il terrorismo è alla radice dei suoi mali economici e cerca quella vendetta che ne’ Bush ne’ Obama hanno saputo darle: la distruzione del vero nemico.

L’Unità 11.09.10