attualità, politica italiana

«Una tregua tormentata che fa intravedere la tensione Nord-Sud», di Massimo Franco

Un coro per la stabilità ma intanto continuano gli attacchi a Fini

La parola d’ordine «governare» è così ripetuta, quasi gridata, che acquista il suono di un esorcismo. Serve a scacciare il fantasma di uno scioglimento delle Camere a ottobre, inseguito fino a due giorni fa dalla Lega e minacciato dallo stesso Pdl dopo la defezione del gruppo Futuro e libertà. Vuole evocare una maggioranza allargata, proprio perché il movimento del presidente della Camera, Gianfranco Fini ha tolto certezze alla coalizione uscita trionfante dal voto del 2008. Scansa il pericolo di una crisi ravvicinata, con il timore che una volta aperta nessuno riesca a controllarla; e magari si tenti di formare un’altra maggioranza. E forse rende meno difficile un accordo nel centrodestra che garantisca al premier uno scudo nei processi che lo vedono imputato.

Apparentemente, la Lega è isolata. La sua corsa verso il voto è stata fermata da Silvio Berlusconi, che avrebbe convinto Umberto Bossi additandogli «il trauma» per gli elettori e i mercati internazionali, ha spiegato il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Ma ieri il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, ha fornito una lettura tutta «sudista» dell’appoggio del suo Mpa al governo. Per Lombardo le elezioni adesso farebbero volare il Carroccio; e danneggerebbero il Mezzogiorno. Ma il sostegno a Berlusconi non è a scatola chiusa. E questo rende uno schieramento trasversale «antileghista» contro il voto ancora gracile. La sua eterogeneità ed i numeri parlamentari altalenanti garantiscono la stabilità solo nell’immediato.

Eppure, l’analisi del governatore siciliano segnala l’urgenza che il Pdl ha di riequilibrare l’immagine di una coalizione fondata sull’«asse del Nord». Operazione difficile. L’idea leghista di spostare ministeri a Milano, Torino e Venezia la accentua e crea problemi a Berlusconi. Non a caso i finiani rispondono chiedendo ministeri anche a Napoli, Palermo, Cagliari, Bari: vogliono pescare consensi come «partito del Sud», a spese del Pdl. Sanno che il movimento di Umberto Bossi è determinante negli equilibri del centrodestra; e confidano nelle tensioni che la geografia e la crisi economica produrranno. Lo sbocco elettorale rimane dunque più che possibile: anche se magari a primavera e non in autunno.

Gli attacchi berlusconiani contro Fini e la sua «aziendina politica» sferrati ieri dalla Russia confermano la guerriglia. Fanno capire che il presidente del Consiglio non crede ad un periodo di pacificazione con il cofondatore del Pdl. Si può arrivare a una tregua tattica, ma i veleni non sono smaltiti. Altrimenti, durante la sua partecipazione al Forum per la democrazia a Yaroslav non avrebbe rispolverato la polemica col presidente della Camera né quella con la magistratura che minaccerebbe la governabilità del Paese promuovendo processi «con accuse inventate». Massimo D’Alema, del Pd, presente al Forum, lo ha accusato di «nuocere al prestigio» dell’Italia; e l’Udc di dire «sciocchezze».

Ma l’aspetto più interessante è la miscela di parole di pace e di guerra che affiora all’ombra del «no» al voto anticipato. Così, il 28 settembre in Parlamento Berlusconi non chiederà a Fini di lasciare. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ieri ha spiegato quello che già si era capito: e cioè che Fini «non è sfiduciabile». Poi ha definito Giorgio Napolitano «punto di riferimento fondamentale»: un omaggio ripreso dall’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede. Ma, nonostante Schifani, il Pdl continua a invocare le dimissioni di Fini. Per questo non si capisce se ci sia un ripensamento generale, dopo uno scontro che certifica l’impotenza di tutti; oppure se la moderazione del presidente del Senato veli una campagna elettorale in alacre incubazione.

da www.corriere.it