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"Così Don Vito faceva politica", di Francesco La Licata

Con il materiale ora in possesso delle Procure di Palermo e Caltanissetta, prende forma il «quadro politico» che don Vito Ciancimino ha tenuto in piedi per anni – dai Settanta fino alla morte (2002) – attraversando praticamente la storia della Dc, prima, e tentando, poi, di entrare anche nella «Seconda Repubblica».

Per tutta la giornata di ieri, mattina a Palermo e pomeriggio a Caltanissetta, Massimo Ciancimino è stato sentito sui documenti recentemente acquisiti agli atti di indagini aperte da qualche tempo. Che cosa contengono quelle carte, in parte trovate nel corso della perquisizione ordinata dai magistrati di Caltanissetta, in parte consegnate dallo stesso Ciancimino?

C’è di tutto, là dentro: scritti autografi di don Vito, riflessioni politiche sul partito (la Dc) che si apprestava a «mollarlo» consegnandolo all’opinione pubblica come «unico capro espiatorio» del sistema politico-mafioso. Ci sono anche «pizzini» indirizzati a Bernardo Provenzano: corrispondenza interessante sul giro di soldi che fluttuava tra partiti e cosche.

E c’è lo sfogo politico di don Vito che, secondo un costume mai tramontato, denuncia di essere vittima di una macchinazione giudiziaria e lamenta «una differenza di trattamento», da parte della magistratura, fra le sue vicende ed altre storie, a suo dire, ignorate o sottovalutate perché riguardanti personaggi più importanti, come Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.

Fra la documentazione ritrovata in casa della sorella Luciana e in casa della madre, inoltre, è stato trovato un biglietto scritto a macchina e «commentato» a penna da don Vito. Si tratta di una sorta di rendiconto di soldi a lui pervenuti tra il 1979 e il 1983. È un documento davvero sorprendente perché, se fosse provato il contenuto, sarebbe accertato – per esempio – che prima ancora dei legami con Bettino Craxi – Berlusconi avrebbe intrattenuto rapporti con Giulio Andreotti, fino a sostenerlo finanziariamente. Ciò si evince dal flusso di denaro (20 milioni in contanti e 35 in assegni) che il «cavaliere» – allora soltanto imprenditore in ascesa – invia al «divo». Quei soldi, secondo le spiegazioni di Massimo, sarebbero serviti per «risarcire» il padre delle spese sostenute per il tesseramento della sua corrente in quel momento entrata in quella andreottiana.

Una bella storia, quella di Ciancimino che passa con Andreotti ma pretende un risarcimento per le spese di tesseramento, come stabiliva la mediazione sottoscritta da Salvo Lima, l’uomo di Andreotti in Sicilia. Ovviamente non si sa se questa versione sia quella vera; si sa – però – che a don Vito arrivarono soldi «girati» da finanziatori di Andreotti.

Secondo il «pizzino», oltre a Berlusconi, anche Ciarrapico e Caltagirone avrebbero offerto un lauto contributo. Ma è possibile immaginare un Ciancimino nella corrente del suo acerrimo nemico Andreotti? È lo stesso don Vito che racconta come andò, convinto dalle parole del capocorrente che prometteva l’«abbraccio mortale per i comunisti». E siccome il sindaco corleonese non si fidava di nessuno, conservò gelosamente gli assegni come prova dell’«inciucio» con Andreotti.

Così faceva politica, don Vito. E mentre trattava con amici di partito, teneva rapporti stretti con Provenzano. In un altro biglietto, anche questo consegnato, indica a don Binnu come spartire una certa somma a suo dire proveniente «da Berlusconi» non è chiaro a quale titolo. Ma il documento che i magistrati di Palermo analizzano con attenzione è uno «sfogo» di don Vito scritto a macchina e corredato di note autografe. Con la solita prosa astiosa, l’ex sindaco impreca contro giudici e investigatori per la «persecuzione giudiziaria» riservatagli.

Ma mentre impreca scrive di essere stato di grande aiuto a Dell’Utri e Berlusconi nell’impresa edilizia di Milano. Il riferimento va ancora alla Edilnord, a Milano 2, e alla presunta partecipazione economica di soldi mafiosi e di personaggi come i Buscemi e i Bonura.

Che cosa scrive don Vito? «Quello che Berlusconi ha fatto a Milano io ho fatto a Palermo. Ma a lui l’han fatto Cavaliere del lavoro, a me mi hanno arrestato».

La Stampa 14.09.10