attualità, politica italiana

"La corda del Senatùr", di Mario Lavia

Per come si sono messe le cose, il finale sembra già scritto: la Lega, esausta, stacca la spina, la corda si spezza e il governo Berlusconi se ne va a casa. Obiettivo: le urne. Per fare il pieno al Nord, proseguire nell’opera di penetrazione al centro, raccogliere malcontenti di vario tipo e proiettarli su un terreno “di lotta e di governo”. Perché a Bossi sta bene tutto tranne una cosa: la politichetta tardo-prima repubblica, il tirare a campare senza una meta, il bordeggiamento che scivola inevitabilmente nel trasformismo.
Allora la verità la sanno tutti. L’Umberto di oggi pare il Craxi dei governi Andreotti quando sbuffava «mi sto rompendo» con quel che segue. Chi era presente alla sua esternazione alla buvette di Montecitorio di ieri lo può confermare: Bossi si sta stufando. Altrimenti, che senso avrebbe ripetere «sono convinto che era meglio andare al voto, così si evita di stare nel pantano»? Certo – ha aggiunto – Berlusconi è uno «capace» con i numeri, in grado (tradotto, ndr) di impapocchiare una maggioranza al netto dei finiani: ma ogni volta bisognerà andare a chiedere i voti «a loro», ai meridionali dell’Mpa e di Noi Sud: vade retro. E allora? Allora niente. Meglio chiudere baracca e burattini.
Il problema vero è che nessuno può sapere cosa succederebbe “dopo”. Bossi non è per nulla convinto che la strada sarebbe in discesa verso le gabine elettorali. Sa perfettamente che in parlamento ci potrebbe essere una maggioranza a sostegno di un nuovo governo, almeno per fare una decente legge elettorale. E però è un rischio che uno come lui può accettare. Ecco perché – sono ancora parole sue – «la via è molto stretta». È chiaro infatti che se il presidente del consiglio si mette in mano all’onorevole Nucara non ne viene fuori: ma come si può pensare di costruire un’ipotesi politica su quelle basi? Come ci si può illudere che il problema politico posto da Fini sia aggirabile con un pugno di peones?
La conseguenza non può che essere una.
Anzi, due. La prima è che, soprattutto a Montecitorio, il governo dovrà trattare tutto, ma proprio tutto, con Futuro e libertà. E successivamente con i vari Pionati, Pisacane, Poli, Iannaccone, Belcastro, Gaglione, Milo, Sardelli, Porfidia, forse Tanoni, Melchiorre e Grassano (ci perdonino quelli di cui non ci ricordiamo ma si tratta di un elenco per definizione provvisorio e traballante): anche un bambino capisce che per un esecutivo che alla camera è già andato “sotto” in questi due anni una cinquantina di volte – e Fli non era nata – questa non è vita. E allora Bossi, che è uno che bazzica il parlamento da più di 20 anni, non ci crede più di tanto, al presidente-prestigiatore.

da Europa Quotidiano 17.09.10