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«Così spariscono i soldi per l'edilizia scolastica», di Cinzia Gubbini

Ci sono ma non si vedono. O forse neanche ci sono? È un bel mistero quello dei fondi stanziati in finanziaria per l’edilizia scolastica. Soldi di cui non si parla mai, visto che la polemica negli ultimi mesi si è concentrata sui 358 milioni del Fondo per le aree sottosviluppate (Fas), che secondo le regioni meridionali sono stati «scippati» dalle regioni del nord. Fatto sta che la legge finanziaria 2010 prevede lo stanziamento «fino a 300 milioni di euro» per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, in un comma dove non si fa altro che parlare di «massima celerità» e di «immediatezza». Invece non se ne è ancora fatto niente, e soprattutto si viene a scoprire che per ora i fondi a disposizione sono solo 130 milioni.
Ma lo «scandalo» è un altro. E cioè che di fronte a una vera emergenza nazionale, quella delle «sgarrupatissime» scuole italiane, di punto in bianco salta fuori che i soldi possono essere spesi solo previo «indirizzo delle commissioni parlamentari», istruzione e bilancio. Mentre la Corte dei conti, nella relazione di luglio, mette sotto la lente di ingrandimento i complicatissimi e sommamente inutili meccanismi burocratici che impediscono di spendere anche quei pochi soldi che ci sono, nella Finanziaria della crisi qualcuno ha pensato di infilare un ennesimo lacciuolo: devono prima decidere le Commissioni parlamentari. E così tutto si blocca. Perché il termine per la deliberazione dell’atto (con proroga) è scaduto il 30 giugno. Il Pd criticò la norma già all’epoca della sua approvazione. Manuela Ghizzoni e Raffaella Mariani, rispettivamente capogruppo alla commissione cultura e infrastrutture, spiegano che il ruolo del parlamento può anche trovare un suo spazio, ma solo nell’indicare i criteri generali, perché che ne sa un parlamentare dove servono i soldi per mettere a posto le scuole? Ma il «colpo di mano» a favore dei parlamentari non piace neanche al sottosegretario alle infrastrutture Mario Mantovani, l’uomo del governo nelle questioni di edilizia scolastica, che tuona: «Diciamolo fuori dai denti, qualcuno spera di portare un po’ di acqua al proprio mulino. Ma a me non interessa, o le Commissioni deliberano, o io quei soldi li utilizzo comunque».
Ma la storia non finisce qui, perché resta da capire se le commissioni non deliberano per inerzia – e vista la situazione dell’edilizia scolastica sarebbe gravissimo – o perché «dall’alto» (cioè dal ministero del Tesoro) è arrivata l’informazione che i soldi non ci sono, quindi meglio aspettare.
D’altronde scavando nella complicatissima vicenda dei finanziamenti per l’edilizia scolastica il «succo» alla fine è proprio questo: per mettere in sicurezza le scuole ci vorrebbero 4 miliardi di euro (lo dice la Corte dei Conti) ma la crisi morde e nelle casse dello Stato non c’è il becco di un quattrino. Basta guardare la vicenda dei fondi Fas: 1 miliardo di euro promesso dal governo e di cui finora sono stati concretamente spesi solo 220 milioni per permettere l’avvio dell’anno scolastico in Abruzzo dopo il sisma. Poi, a maggio, il Cipe ha sbloccato una seconda tranche di 358 milioni di euro scatenando le ire delle regioni meridionali a cui spetta l’85% del finanziamento per le aree sottosviluppate: il governo, invece, ha deciso di utilizzare questi fondi per dare finanziamenti alle scuole considerate più a rischio. Una classifica emersa dall’ultima rilevazione nazionale – conclusa all’80% – sugli elementi non strutturali degli edifici. Una decisione sensata, peccato che il criterio utilizzato per mettere in fila le regioni italiane sia stato quello della popolazione scolastica e del numero delle classi: prima in assoluto è risultata la Lombardia (patria del ministro Gelmini ma anche del sottosegretario Mantovani) a cui andranno 50 milioni di euro. La promessa è che la prossima tranche riequilibrerà questo strappo: «Sarà destinata solo alle 8 regioni del sud, questo è certo», spiega Mantovani. Ma il fatto è che pure i fondi Fas, al momento, sono fantomatici: l’agognato stanziamento è stato pubblicato solo l’altro ieri in Gazzetta ufficiale. E con una precisazione che non lascia ben sperare: il finanziamento «sarà erogato secondo modalità temporali compatibili con i vincoli di finanza pubblica». Potrebbe voler dire mai.
dal Manifesto

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«Se la scuola perde pezzi», di Leo Lancari
Verrebbe quasi da chiedersi come si fa ad arrivare alla fine dell’anno scolastico. Tra pezzi di intonaco che cadono, fili elettrici scoperti, assenza di maniglioni antipanico e di scale di sicurezza e aule sovraffollate, per un ragazzo andare scuola è diventato quasi come frequentare un corso di sopravvivenza, con la speranza di arrivare sano e salvo fino alla fine. E c’è poco da sperare in un intervento «riparatore» da parte dello Stato, perché nonostante una prima tranche di 358 milioni di euro sbloccata nelle scorse settimane dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), i finanziamenti stanziati per l’edilizia scolastica sono sufficienti appena a mettere le classiche pezze. Basti pensare che, per stessa ammissione del ministero dell’istruzione, in Italia ci sono ben 12 mila scuole a rischio sicurezza per le «particolari criticità» che presentano. Scuole nelle quali si consiglia di non aumentare il numero di studenti per classe. Raccomandazione che appare inutile, visti i tagli al numero degli insegnanti fatto dalla Gelmini.
Una radiografia delle condizioni delle scuole italiane arriva dall’annuale rapporto di Cittadinanzattiva in cui si riassumono i risultati di un’indagine eseguita su un campione di 82 edifici scolastici in 11 province di 8 Regioni: Piemonte, Lombardia, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. «Purtroppo – denuncia l’associazione – anche i dati di quest’anno dimostrano come la situazione non si possa ancora definire in netto miglioramento anche se si registrano sforzi e risultati incoraggianti almeno sul fronte delle iniziative di prevenzione». Basti pensare che il 16% delle scuole prese in esame è in condizioni davvero precarie, mentre appena una su cinque conquista la sufficienza. Ma a fatica. Andiamo a vederli allora gli edifici di questa scuola italiana. Con una premessa: la conformazione del territorio italiano fa sì che ben 3.458 scuole siano a rischio frane o sono costruite in zona sismica. Per mettere in sicurezza queste servirebbero 13 miliardi di euro. Da considerare inoltre che poco più di una scuola su tre tra quelle monitorate possiede la certificazione di agibilità statica (37%).
Piovono calcinacci
Il 15% delle scuole presenta crepe sulla facciate esterna e all’interno dell’edificio. Distacchi di calcinacci sono stati rilevati nei corridoi (29% dei casi) nei laboratori (23%), nei bagni (21%) e nelle aule (20%). Nel rapporto si evidenzia come la maggior parte di questi cedimenti dipendono dalla mancanza di manutenzione, riscontrata nel 28% delle scuole. E questo anche se il patrimonio immobiliare destinato all’istruzione è comunque da considerarsi vetusto, visto che il 67% degli istituti presi a campione è stato costruito prima del 1974. Ma al di là dei numeri, c’è quanto accade quotidianamente. Il 6 ottobre del 2009 nell’Istituto professionale «Rossini» di Bagnoli un pannello del controsoffitto di mezzo metro è cauto sfiorando la testa di una bambina della seconda F. Lo stesso giorno il sindaco di Montelepre (Palermo) dispone la chiusura dell’edificio che ospita l’asilo comunale e le prime classi di una scuola elementare dopo che nella notte è crollata una parte del soffitto.
Aule sovraffollate
Non va meglio se si pensa alla sicurezza degli impianti. Nel 6% delle biblioteche e delle mense, nel 4% delle aule, nel 3% delle aule con computer e nel 2% delle palestre prese in esame sono stati trovati fili elettrici scoperti, insieme al 4% dei cosiddetti percorsi comuni, come i corridoi, nel 5% delle sale docenti e nel 3% delle segreterie.
Non va meglio se si esaminano le aule. Oltre all’«ordinaria insicurezza» denunciata da Cittadinanzattiva, si aggiungono i problemi creati dalla legge 133/2008, la Riforma Gelmini che all’articolo 64 prevede l’innalzamento progressivo del numero degli alunni per classe. Il che porta il numero di studenti massimo a 29 per la scuola d’infanzia, a 27 per la primaria, a 30 per la secondaria di primo grado e secondo grado.
Igiene?
Il taglio ai bilanci ha inevitabilmente finito con l’influire anche sulle pulizie degli istituti. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, studenti, famiglie e docenti. «Corridoi, bagni e aule detengono il primato degli ambienti più sporchi» denuncia il rapporto, notando come particolarmente deficitaria sia la situazione dei bagni spesso sprovvisti di carta igienica, sapone e asciugamani.
Per cercare di risanare almeno in parte questa situazione, Cittadinanzattiva chiede al governo di creare un’anagrafe dell’edilizia scolastica prevedendo anche sanzioni per gli amministratori locali che si rifiutano o di fornire i dati, ma anche rivedere i limiti imposti dal patto di stabilità per permettere agli enti locali di spendere i fondi stanziati e la revisione dell’articolo 64 della Riforma Gelmini che consente di inalzare il numero di studenti per classe, creando così «situazioni di illegalità che mettono a repentaglio la sicurezza di studenti e personale».
dal Manifesto