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«Duri o buonisti l'equivoco sui rom», di Giuliano Amato

Serve solo a suscitare emozioni contrapposte dividersi in duri e buonisti sulla questione dei Rom. La avvertiamo insieme come un rischio per la nostra sicurezza e come una macchia per la nostra coscienza ed è solo dipanando questa matassa e separandone i fili che riusciremo a venirne a capo. In gioco infatti c’è di sicuro la nostra difesa dalla piccola e non sempre piccola criminalità che spesso alligna nei campi nomadi, ma c’è anche la libertà di movimento dei cittadini comunitari (quando si tratta di Rom di provenienza comunitaria) e ci sono i diritti di una minoranza, che dovremmo riconoscere e che ancora non abbiamo riconosciuto.

Procediamo con ordine. Ai Rom e ai loro modi di vita eravamo abituati da decenni, ma c’è stata un’impennata delle loro trasmigrazioni verso l’Italia, la Francia e la Spagna con l’ingresso nell’Unione dei paesi dell’Est europeo nei quali le loro condizioni di vita erano divenute sempre più grame. Possiamo restituirli a quei paesi per liberarci dei loro accampamenti degradati e dei pericoli che vi scorgiamo? La materia è regolata dalla direttiva europea 38 del 2004, che è appunto quella sulla libertà di movimento dei cittadini comunitari.

È una direttiva tutta scritta in chiave di garanzia e anche se contiene disposizioni per l’espulsione, con divieto di rientro, di coloro che rappresentino una «minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società», è molto attenta nel delimitare il caso.

Precisa che l’esistenza di condanne penali non giustifica da sola la misura, che non la giustificano neppure «ragioni di prevenzione generale» e che, in particolare, non la si può adottare per motivi economici, e cioè per mancanza di mezzi di sussistenza. Se un cittadino comunitario ne risulta sprovvisto dopo tre mesi dal suo ingresso in un altro paese, può essere allontanato, ma non gli si può vietare il rientro.

L’ispirazione della normativa è trasparente. La si può accusare di non aver previsto quei massicci spostamenti di poveri diavoli, spesso frammisti a male intenzionati, che in concreto ci siamo trovati addosso.

Sarebbe anche ragionevole emendarla nel senso che lo stesso allontanamento per motivi economici sia accompagnato dal divieto di rientro. Ma nessuno – spero – oserebbe toccare il fondamentalissimo principio che una cosa è la mancanza di mezzi, una cosa diversa è la pericolosità sociale e che, in ogni caso, qualunque provvedimento deve scaturire da una motivazione che riguarda singole persone, non gruppi sociali.

Immaginiamo comunque di avere tutti i mezzi legali per liberarci di chi è pericoloso e anche per allontanare con più efficacia chi non ha mezzi di sussistenza. Avremmo così risolto la questione dei Rom? I Rom non sono una congerie di diseredati che si ritrovano nei campi uniti solo dalle loro precarie condizioni di vita. Sono una minoranza con tradizioni culturali e linguistiche che, per cominciare, include italiani e non italiani, comunitari e non comunitari, cristiani e musulmani, cattolici e ortodossi. Hanno vissuto per secoli allevando cavalli ed eccellendo in attività artigiane e di manutenzione, che li hanno resi in passato fiorenti. Poi si sono trovati in un mondo che non aveva più bisogno di loro, le loro comunità hanno vissuto fra difficoltà crescenti e da un lato si è estesa nelle loro file la piccola criminalità come fonte di sussistenza, dall’altro molti di loro hanno cominciato a divenire stanziali e a integrarsi nei modi di vita che noi consideriamo normali.

Decisivo è diventato a questo punto l’atteggiamento verso di loro delle nostre società, cioè di tutti noi. I diversi hanno sempre destato diffidenza, a volte vere e proprie persecuzioni. E non ne sono stati indenni i Rom, 500mila dei quali furono vittime delle camere a gas naziste insieme agli ebrei. Ma questo, in molti paesi, non è bastato a farli vedere come vittime, a cogliere i loro nuovi bisogni, ad accettarli dunque via via che loro stessi venivano accettando forme nuove d’integrazione, che pure salvaguardassero la loro identità. Eppure, dove la si è praticata, l’integrazione funziona.

È accaduto così che nelle sedi europee abbiamo approvato raccomandazioni contro il razzismo, risoluzioni per la scolarità dei bambini Rom e stanziamenti sul bilancio comunitario per progetti d’integrazione. Poi alcuni paesi (come documenta Leonardo Martinelli nel suo articolo di venerdì su questo giornale) sono stati coerenti, mentre noi in Italia, abbiamo fatto nel 1999 una legge per la tutela delle minoranze, ma l’abbiamo limitata alle minoranze territoriali e ne abbiamo per ciò stesso escluso i rom, lasciandoli nel loro limbo.

Quando ero ministro dell’Interno conobbi un ragazzo Rom di diciotto anni. La sua famiglia era fuggita dalla Bosnia durante la guerra dei primi anni 90 e proprio a causa della guerra erano bruciati gli atti dello stato civile da cui poteva risultare la sua cittadinanza. Da noi era andato a scuola e ora, dopo diciotto anni, o gli si dava un permesso di soggiorno, o lo si doveva espellere, mandandolo non si sa dove. Ma il permesso di soggiorno non poteva essere fatto, perché non aveva una cittadinanza, legalmente non esisteva.

Lo salvai dall’espulsione, ma mi convinsi una volta di più che una legge sulla minoranza Rom era quello che mancava. Cominciai a lavorarci ma, come già ho raccontato in un articolo precedente, venni invitato dalla mia maggioranza ad aspettare il momento più opportuno e poi, all’inizio ormai del 2008, cadde il governo.

Ecco, siamo a questo punto, salvo gli episodi di positiva integrazione in non molti comuni italiani. Chissà quanti sono i ragazzi come quello di cui ho parlato che, a differenza di lui, sono finiti nei gorghi delle procedure di espulsione, anche se non eseguite perché di fatto non eseguibili. Si staranno nascondendo in qualche campo, vivranno di espedienti e di sicuro si sentiranno più solidali con chi fa spedizioni notturne per asportare il rame dalle linee ferroviarie che non con tutti noi, “gage” ostili che cerchiamo solo di evitarli. Le visite che ho fatto nei campi Rom mi hanno dato più di una prova dell’errore che facciamo usando solo la durezza e usandola in modo indifferenziato. L’unico risultato è che si rinserrano le fila e viene frustrato così il desiderio (formulatomi esplicitamente) di non vivere più fianco a fianco con i ladri e i delinquenti che invece spadroneggiano nel necessitato silenzio degli altri. Immagino che sia quello che sta accadendo in questi giorni in Francia.

Torno così al punto di partenza. Non facciamone una partita fra duri e buonisti, perché comunque finisca noi la perderemmo. La partita si vince se la si gioca su entrambi i fronti e, se lo si fa, noi stessi possiamo uscirne più soddisfatti. Vogliamo la sicurezza, ma non ci piace sentirci la coscienza sporca. O no?

da www.ilsole24ore.it