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"Ricercatori in rivolta: blocchiamo le lezioni", di Maurizio Minucci

Si accende la protesta contro la riforma Gelmini. La Rete 29 aprile in assemblea nazionale alla Sapienza: “Il ddl segna la fine dell’università pubblica, non ci stiamo”. Confermato il blocco della didattica. Oggi svolgono un terzo delle lezioni al posto dei professori. Se si rifiutassero, dal momento che il contratto non obbliga alle sostituzioni, le conseguenze per la didattica sarebbero devastanti. Ne sono consapevoli, i ricercatori universitari, ma a malincuore vanno avanti nella loro protesta contro la riforma Gelmini. Nel mirino c’è l’intero impianto del disegno di legge già approvato dal Senato, a partire proprio dal taglio agli studiosi che collaborano con i titolari di cattedra. Attualmente sono 25mila, tutti con un dottorato in tasca, ma il ddl punta a cancellare le assunzioni a tempo indeterminato, oltre a tagliare drasticamente i fondi agli atenei pubblici al minimo degli ultimi otto anni.

Ecco i motivi che hanno spinto alla nascita della “Rete 29 Aprile”, il network dei ricercatori che oggi (17 settembre) si è riunito nella facoltà di Chimica della Sapienza, a Roma. L’assemblea nazionale si è svolta in un’aula stracolma di studiosi giunti da tutta Italia, almeno 400, tutti d’accordo: la riforma va cambiata. E l’enorme frase di Leonardo Da Vinci in caratteri bianchi che campeggia dietro la cattedra, “Tristo è il discepolo che non avanza il maestro”, appare come un monito che dà forza alle loro richieste. Finora la Rete ha raccolto i dati su 46 atenei (su 66 totali), per un totale di 328 facoltà: ebbene, su 17.901 ricercatori, 10.344 di loro (pari al 58%) si sono dichiarati indisponibili alla didattica non obbligatoria per legge.

Emblematico il caso dell’università di Bologna, dove il rettore ha inviato una lettera ai 250 ricercatori in protesta invitandoli a decidere entro 48 se proseguire nella mobilitazione o perdere il lavoro. “Quella missiva – spiega all’assemblea Daniele Bigi, uno di loro – ha avuto l’effetto opposto a quello per cui era stata scritta. Non solo nessuno di noi ha accettato l’ultimatum. Anzi, altri hanno capito che la nostra protesta è importante e si sono aggiunti a noi”.

Una delle proposte per rimediare alle storture del ddl è quella di istituire il “ruolo unico della docenza” per inglobare tutte le figure coinvolte nell’insegnamento. In questo modo non si entrerebbe più a lavorare nelle università come precari senza prospettive, bensì inquadrati nella figura di docente, sebbene a un livello iniziale, che poi potrà crescere o meno secondo criteri di merito. Per dare forza alla protesta i ricercatori propongono anche di rinviare l’avvio degli anni accademici, invitando i precari non coprire i posti lasciati vuoti dai ricercatori, e annunciando anche una manifestazione nazionale per metà ottobre.

“La nostra battaglia – spiega Massimiliano Tabusi, della giunta nazionale della Rete 29 aprile e ricercatore dell’università per stranieri di Siena – non è corporativa. Vogliamo aggregare le coscienze di tutto il mondo accademico sul fatto che non è possibile trattare l’università in questo modo”. Secondo il ricercatore, infatti, quella del ministro Gelmini è più che altro una riforma mediatica. “Si usano parole chiave condivisibili, come merito, lotta ai baroni, spazio ai giovani. Poi si fa il contrario. Per esempio, si affidano le scelte nei concorsi ai professori ordinari, si difende il potere ‘imperiale’ dei rettori nei consigli d’amministrazione. Sono prospettive aziendalistiche che avvantaggiano solo le università private e porteranno alla morte di quelle pubbliche”.

Addirittura paradossale la ricetta per premiare il merito: “Si prospetta una specie di riffa: gli studenti dovranno pagare con le loro tasche per accedere all’esame che dovrà accertare chi sono i più meritevoli. È un’idea che non possiamo accettare”. La lotta ha ottenuto l’appoggio anche di una parte di professori ordinari e associati, riuniti nell’associazione Universitas Futura: duemila docenti pronti a dimettersi da tutte le cariche se il problema dei ricercatori non verrà risolto. L’autunno caldo dell’università è già iniziato.

da rassegna.it