partito democratico, politica italiana

Veltroni non convince Franceschini "Che amarezza il documento di Walter", di Matteo Tonelli

Il capogruppo democratico alla Camera a Repubblica Tv. “Il testo l’ho letto sui giornali, io lavoro per rafforzare Bersani e resto fedele al patto con i nostri elettori”. “Pronti a votare la mozione sulla Rai dei finiani”. “Leader? Decideranno le primarie”. “Bisogna chiudere con l’era Berlusconi, poi si decidera che fare”. “E’ stata una vicenda dolorosa sia dal punto di vista politico che da quello personale. E qui mi fermo..”. Dice di non volerne parlare Dario Franceschini della mossa di Walter Veltroni. Ma in realtà ne ha una gran voglia. Lui, che dopo le dimissioni del segretario prese il suo posto, lui che vede la minoranza che capeggia spaccata in due dalla conta veltroniana, quel documento con le 75 firme in calce non l’ha digerito 1. Dannoso, inutile, intempestivo. Ennesimo segnale di “un virus autodistruttivo 2” l’aveva definto a caldo. E oggi, davanti alle telecamere di Repubblica Tv, resta su quelle posizioni: “Non c’era bisogno di questa cosa adesso, non nego il dibattito perché non siamo un partito identitario, ma se è vero che c’è l’emergenza democratica non è questo il momento di dividersi. Io lavoro per rafforzare Bersani”.

Discutere non è dividersi, dice Veltroni. Discutere non è raccogliere firme, replica Franceschini: “C’è un problema di mantenimento della parola data agli elettori: dopo le primarie avevamo detto che avremo sostenuto il vincitore e io sono vincolato a quel patto”. Eccola l’amarezza politica: “Nel momento in cui raccoglie le firme, si contano quelle più del contenuto del documento e non basta dire che non si vuol fare una corrente, tutte le correnti sono nate così”. Infine l’amarezza personale: “Il documento io l’ho visto sui giornali e segnalo che alla Camera sono seduto vicino a Veltroni”.

Una bocciatura senza appello. Nonostante l’articolo con cui oggi Veltroni nega di voler spaccare il partito, Franceschini vede un elettorato “che non ne può più” di un partito “che litiga sui giornali”. Un partito che ripropone una storia infinita, fatta di una tentazione, insopprimibile, di segare le gambe al leader: “Dall’Unione in poi è sempre stata la stessa storia: prima Occhetto, poi Prodi, D’Alema, Amato, Veltroni, Fassino e Rutelli, il sottoscrito. E’ tempo di dire basta”.

Facile a dirsi, si dirà. Eppure lo scenario presenta un centrosinistra che, nel momento di maggior difficoltà della destra, non trova di meglio che litigare. Franceschini, però, rifiuta l’equiparazione delle due crisi: “Non sono paragonabili. Quella della destra è strutturale, è esploso un modello. Da noi, invece, c’è una discussione non una crisi di modello”.

E allora se la priorità è battere Berlusconi, restano da decidere le strategie da seguire. Anche in questo caso la lettura dei giornali offre un’opposizione alle prese con ricette diverse. C’è chi, come Parisi, propone una mozione di sfiducia al governo. Chi la vorrebbe limitare all’interim del ministero allo Sviluppo. Franceschini è cauto. “Bisogna ottenere risultati e non fare unicamente bella figura sui quotidiani”. Meglio allora sostenere la mozione che i finiani vogliono presentare sulla libertà di informazione. Un vero siluro per il governo: “Il nostro dovere è lavorare nelle spaccature della maggioranza senza ricompattarli, fare una mozione su sfiducia contro l’esecutivo è una tafazzata. Diversa è quella sull’interim, perché questa potrebbe avere qualche possibilità”.

Nel frattempo il Pd resta alla ricerca della sua identità. Che per Franceschini deve essere quella di un partito “che non deve avere un blocco sociale di riferimento”. Che punti su scuola, welfare totale e legalità. E guai a parlare di candidato premier. “Questa discussione è un riflesso del berlusconismo. In realtà, in Europa come in Italia, abbiamo rinunciato a sfidare la destra sui valori, limitandoci ad inseguirla”. Accanto alle idee, però, servono uomini per metterle in pratica. E anche su questo terreno la confusione all’ombra del Pd è ai massimi livelli. “Lo Statuto dice che il segretario del Pd è anche il candidato premier. Il ‘papa straniero’, se ci sarà, dovrà vincere le primarie e non potrà essere scelto da 5 capi di partito”. Per questo sarebbe meglio che Niki Vendola non passasse ogni giorno “a parlare di candidati perché se la legislatura arriva fino al 2013 le primarie saranno nell’autunno 2012”.

Pd ma non solo nelle parole di Franceschini. Che fissa come obiettivo primario quello di “chiudere l’era Berlusconi”. Per farlo, nel caso in cui il Cavaliere puntasse alle elezioni anticipate, non c’è che una strada: “Poche discussioni, serve un fronte comune delle opposzioni. Bisogna fare come con la Resistenza: prima si libera il Paese e poi si discute. Anche perché siamo al massimo dei rischi per la democrazia. Antiberlusconismo dannoso? Davanti alla gravità delle cose che accadono se non si alza la voce adesso quando la si alza?”. Alzare la voce, dunque. Magari dicendo tutti la stessa cosa.

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