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"L´aquila, l´ultimo custode della città distrutta", di Jenner Meletti

Il racconto parte dalla notte del 6 aprile 2009 e arriva fino ad oggi. Passando per le speculazioni degli affaristi, le new town, il rischio di diventare come Pompei. ll silenzio non mi fa paura. Mi fa paura la città che muore. In poche ore, dopo il sisma, 45 mila persone sono scomparse dalla città. Da oltre un anno sono l´unico abitante del centro storico». Raffaele Colapietra, anni 80, una vita passata a insegnare storia all´università di Salerno, è il simbolo di un´Aquila che dopo il terremoto ha difeso la propria identità e cercato un futuro. È anche il “testimone chiave” de Il disastro. L´Aquila dopo il terremoto: le scelte e le colpe, scritto da Francesco Erbani, edizioni Laterza. Questa almeno l´impressione, dopo la lettura delle 164 pagine. Il racconto parte da quella notte del 6 aprile 2009 e arriva ai giorni nostri. Ci sono la morte e il dolore, «la cricca» che ride, gli affari, le new town che sorgono e deturpano le campagne e le montagne, i vecchi che negli hotel della costa e del Gran Sasso aspettano un ritorno a casa che non arriverà mai. Ma il professor Colapietra resta sempre “dentro”, e anche quando Francesco Erbani scrive del Friuli e dell´Irpinia, delle scelte fatte in questi luoghi lontani, viene naturale chiedersi: che direbbe, il professore?
Un appartamento a piano terra, in un palazzina bassa costruita a metà del Novecento. Questo il “fortino” di Raffaele Colapietra, il suo punto di osservazione di una città che rischia di diventare come Pompei. «Per cacciarmi hanno minacciato di usare la forza. Sono venuti quelli della Protezione civile e i vigili del fuoco. Un giorno mi hanno mandato anche uno psicologo. Ma io ho detto: il terremoto non c´è più, resto qui». Dalle finestre la vista del Gran Sasso e delle altre abitazioni abbandonate. «Molti di questi edifici con pochi soldi si sarebbero potuti riparare fin da subito. Tanta gente avrebbe potuto tornare a casa a giugno, luglio o anche a settembre del 2009. Quanti soldi avrebbe potuto risparmiare lo Stato che invece manteneva migliaia di persone negli alberghi di Giulianova o a Lanciano? E che valore simbolico avrebbe avuto il rientro in città di cento, cinquanta o anche solo dieci famiglie?». Ha continuato a lavorare, il professore. Dopo il sisma ha scritto, assieme a Mario Centofanti, Aquila, dalla fondazione alla renovatio urbis. Della propria città conosce ogni pietra e ogni documento. Quando esce, per mangiare un boccone in un hotel ancora pieno di sfollati o per comprare il cibo per i suoi gatti, cerca di non vedere i turisti del macabro. «In centro ora si vede molta più gente di un anno fa, ma sono tutti con il naso all´insù, guardano i palazzi crepati, vengono anche gruppi di turisti con la guida. Contemplano. Ecco, il centro dell´Aquila diventerà una struttura da contemplare».
Chi conosce la storia non accetta l´impotenza di oggi di fronte a chi, venuto da fuori, vuole decidere il futuro della città. «Il 2 febbraio 1703 ci fu un devastante terremoto ma l´Aquila non fu sgomberata. Quindici giorni dopo il sisma nella piazza del mercato c´erano già cinquanta baracche con commercianti e artigiani. Una baracca ospitava il Comune e lì venne eletto il nuovo sindaco, essendo il precedente morto sotto le macerie. Ho trovato io il documento. Poi fu nominato un vicario generale addetto alla ricostruzione, Marco Garofalo della Rocca, che già a maggio se ne andò perché i cittadini avevano avviato da soli la riedificazione dei palazzi. Per dieci anni restò in vigore l´esenzione fiscale e il centro fu ricostruito integralmente».
All´Aquila sono invece arrivate le new town, le «case di Berlusconi», e la città è stata trasformata in un set con mille luci per raccontare all´Italia e al mondo le magnificenze del governo. Francesco Erbani racconta ogni momento di questo angosciante post-terremoto, iniziato con le risate di chi, a Roma, già sperava di fare affari. Racconta una città che ha consegnato le proprie chiavi a una Protezione civile che ha deciso di decidere tutto. Ha ascoltato chi, nei sismi precedenti, ha compiuto scelte completamente diverse. Ha ricordato le frasi di chi veniva a promettere miracoli. «La new town sarà un ghetto? Macché. Sarà un quartiere nuovo per giovani senza casa. Le case distrutte, invece, saranno tutte ricostruite. Andate a vedere Milano 2 e Milano 3 e poi ditemi se sono ghettizzati (Silvio Berlusconi nel giorno dei funerali)». I risultati si sono visti. «I bambini dell´Aquila – dice il professor Colapietra – cresceranno senza sapere com´era fatta la loro città».

La Repubblica 22.09.10