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"Uccide i genitori e li getta nel lago: erano un peso", di Ferdinando Camon

Adesso la speranza è che il figlio che ha ucciso i due anziani genitori, gettandoli nel Lago di Garda, non l’abbia fatto per le ragioni che, in modo confuso, trapelavano ieri sera. Perché se le ragioni fossero quelle, allora il delitto sarebbe, non il più atroce, perché un parricidio-matricidio è sempre atroce, ma il più allarmante. Per tutti noi. Venivan fuori, ieri sera, ragioni di soldi: nonostante che i due anziani fossero pensionati, il figlio avrebbe dichiarato che «avevano pensioni troppo basse». A queste ragioni si sovrapponevano i disturbi mentali del figlio, la depressione. La speranza è che questi disturbi coprano tutte le altre cause. Perché altrimenti questo non sarebbe il caso del figlio che fa fuori i genitori perché hanno molto denaro e vuol impossessarsene (come Maso, come Carretta), ma un caso di nuova specie, un figlio che fa fuori i genitori per punirli perché hanno poco denaro, non sono in grado di darne anche a lui. Pensioni basse, non meritano di vivere. I genitori avevano 76 anni lei e 75 lui, il figlio ne ha 46: a 46 anni succhia ancora denaro dai genitori, non anziani ma ormai vecchi, e se non ne hanno li ammazza. Qui i problemi sono due: fino a quando i padri devono mantenere i figli, all’infinito?, finché morte non li liberi?, e se i genitori debbano lavorare per ottenere una buona pensione, non al fine di mantenersi, ma al fine di non venire ammazzati.

A 75-76 anni puoi stare tranquillo con la tua pensione non se mantiene te, ma se mantiene i figli. Se questa restasse la spiegazione, non avremmo scampo, la famiglia dove i figli dipendono eternamente dai genitori diventa per tutti una trappola mortale. Nessuno riesce a scappare. Né padri né figlio.

È così che nel figlio può essersi impiantata la depressione, tipica malattia delle situazioni senza via d’uscita, dove vedi che tutto ti va male oggi e prevedi che tutto andrà peggio domani. Insoddisfazioni economiche e crisi depressive si sommano, le une potenziano le altre, e impediscono che vengano risolte. Figli quarantenni economicamente dipendenti sono un dramma. Figli quarantenni con crisi depressive sono un dramma ancora peggiore, la più cupa sofferenza che ti possa avvelenare la vita, e, se sei vecchio, la morte. La depressione è una impossibilità di vivere sia in società (uscire, lavorare, avere amicizie o relazioni), sia in famiglia (fratelli, genitori). Il depresso è un peso. Lo sa. Sapendolo si deprime ancora di più. Sentendosi un peso si tormenta e cerca una liberazione. Quelli che gli stanno vicino sono in pericolo, e non lo sanno. Le cronache parlano troppe volte di madri depresse che tolgono di mezzo i figli e poi se stesse. Coloro che apprendono le loro gesta dai giornali provano orrore e quindi odio. Ma coloro che le curano, o convivono, coloro che sanno di più, provano soltanto pena. Qui, a Carpi, ieri sera e ieri notte le spiegazioni del parricidio-matricidio si sovrapponevano, nessuna eliminava le altre. Se questo figlio ha fatto quel che ha fatto perché la depressione l’ha accecato, pietà per lui. Se l’ha fatto perché i genitori non hanno una pensione sufficientemente alta e quindi non val la pena lasciarli vivere, allora, dobbiamo dirlo, pietà per noi.

La Stampa 22.09.10