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"Proteggere l'arte ma non limitare la libertà in rete", di Marco Zatterin

Il Parlamento europeo ritiene che scaricare o scambiare un file senza autorizzazione su Internet possa essere un reato penale punibile con la galera. Lo afferma nella relazione scritta dalla conservatrice francese Marielle Gallo e approvata ieri con una buona maggioranza, un testo di indirizzo che invita la Commissione Ue a legiferare «sui diritti della proprietà intellettuale» secondo la linea dura «à la Sarkozy». E’ il segnale che avvia un processo politico certo lungo e crea i presupposti per temere che qualcuno possa un giorno avere il potere di limitare in modo arbitrario la libertà di accesso alla «world wide web».

L’esigenza è reale. La rapidità del cambiamento tecnologico ha superato la capacità di reazione dell’industria dell’intrattenimento, soprattutto di quella musicale, incapace di affrancarsi da schemi obsoleti. Lo scambio illegale dei file ha danneggiato soprattutto gli artisti meno gettonati e rivoluzionato la fruizione di immagini e suoni. Molti, fra cui la Gao che vigila sui conti del governo Usa, hanno comunque fatto notare che le cifre allarmanti diffuse dall’industria erano state gonfiate e che bisognava valutare anche i lati possibili del downloading, come diffusore della cultura e dei suoi nuovi prodotti.

Strasburgo vuole colpire con decisione. Non c’è traccia nella relazione dell’idea (buona) di tassare i provider che ospitano il filesharing e lo streaming musicale e cinematografico per poi dividere il ricavato fra tutte le Siae del mondo. Posto che le copie private sono ammesse, il testo non differenzia l’uso personale e la frode su larga scala. Un’incognita grave la pone laddove immagina di affidarsi a «mezzi non legislativi», o ad «accordi volontari» tra proprietari dei diritti e operatori con restrizioni di accesso e filtraggi mirati. Lo Stato, in questo caso, abdicherebbe dal ruolo di legislatore e garante, mentre i privati avrebbero superpoteri utilizzabili anche per altri fini. E’ un arma a doppio taglio. Perché è giusto proteggere l’arte. Ma è pericoloso creare strumenti potenzialmente in grado di limitare la libertà di informazione e il diritto di accesso alla cultura.

La Stampa 23.09.10