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"Urbanistica impazzita e scarsa manutenzione spiegano i perché delle emergenze Seveso in Italia", di Michela Finizio

«Emergenze come quella del Seveso se ne registrano sempre più spesso sul territorio nazionale. Sono fenomeni che crescono in modo esponenziale in diverse città, da Roma a Torino». A dirlo è l’ingegner Bernardo De Bernardinis del Dipartimento Nazionale della Protezione civile, che in queste ore sta seguendo il caso milanese direttamente da Roma. Conosce bene questi fenomeni e invita le istituzioni a cogliere l’occasione per allargare lo sguardo su scala nazionale.

Come è possibile che le nostre città si allaghino con un solo temporale?
Oltre a Milano, ci sono tre o quattro quartieri esposti al rischio esondazione anche a Roma. A Torino sono stati rialzati i ponti della Dora. Siamo intervenuti anche a Genova nel quartiere dove scorre il Ferregino, affluente del Bisagno. In via Etnea a Catania è morta una ragazza. Questi fenomeni sono stati esasperati negli ultimi anni, in seguito alla progressiva antropizzazione urbana. Quest’ultima non è mai stata armonizzata con la radicalizzazione degli eventi naturali, sempre più imprevedibili, concentrati, violenti e improvvisi.

Quali sono le cause di questi fenomeni?
Ultimamente abbiamo cercato di aprire un dialogo con le rappresentanze degli urbanisti, come l’Istituto nazionale di urbanistica, per affrontare questo problema. Lo sviluppo urbanistico delle città, ma non solo di quelle metropolitane, non è mai stato armonizzato e il quadro normativo non è in alcun modo legato alla perimetrazione dei rischi.

In che senso?
La disciplina dell’idrologia urbana è un ramo dell’urbanistica. Finora in questo ambito hanno avuto una visione limitata e parziale. Gli sviluppi di nuovi quartieri, i nuovi reticoli urbani, non sono stati commisurati all’esistenza di pericolosità, compresi i pericoli di esondazioni. L’uso intensivo del suolo e la scarsa manutenzione degli edifici, dei sistemi fognari e dei collettanti delle acque superficiali hanno creato degli elementi di rigurgito e non sono più in grado di assorbire queste acque.

Perché non succede in altri paesi? All’estero sono riusciti a pianificare meglio l’espansione urbanistica?
Noi abbiamo delle peculiarità. Abbiamo un territorio con bacini molto corti e, la maggior parte, sono torrentizi. Questi allagamenti sono provocati principalmente da affluenti minori, che interagiscono con zone urbane molto significative. Abbiamo avuto delle crescite urbanistiche molto intensive lungo le aste torrentizie.

Non esistono dei vincoli normativi in caso di rischio idrogeologico o ambientale?
Il problema è che queste urbanizzazioni si fondano tutte sulla vecchia idrografia. Sicuramente c’è un problema normativo. La legge sulla difesa del suolo e delle acque non impone alcun vincolo tra la pianificazione di bacino e l’identificazione delle zone a rischio. La pianificazione urbanistica si sviluppa con le sue regole e quasi sempre è solo questione di buona volontà. Di recente stanno nascendo alcuni tavoli di confronto tra urbanisti e addetti ai fattori di rischio, cioè chi si occupa dei rischi naturali e di quelli naturali indotti dall’eccessivo inurbamento. Bisogna prima individuare le vulnerabilità del territorio per poi poter programmare uno sviluppo equilibrato.

Milano si avvicina all’approvazione del Piano di governo del territorio, per poi correre dritta verso Expo…
Eh già. Per Milano è il momento della verità. La sfida milanese in questo senso è molto interessante. Speriamo che da questi ultimi accadimenti nasca una nuova coscienza, una volontà di dialogare e ripensare certe cose.

Il Sole 24 Ore 23.09.10